venerdì 8 ottobre 2010

Apcom e Virgilio Notizie 7.10.10
Editoria/ Asino d'oro e Stroemfeld pubblicano Fagioli in tedesco
L'edizione per la Germania verrà presentata a marzo 2011 a Lipsia
Milano, 7 ott. (Apcom) - La casa editrice Asino d'oro e l'editore Stroemfeld pubblicano un'edizione in tedesco di "Istinto di morte e conoscenza", opera prima dello psichiatra Massimo Fagioli. La casa editrice romana presente alla "Buchmesse" del libro di Francoforte, presenterà il libro di Fagioli alla fiera di Lipsia, che si terrà il marzo prossimo.
Dal 2009 a oggi l'Asino d'Oro ha pubblicato libri sul tema della bioetica come "Ru 486, non tutte le streghe sono state bruciate" e "La pillola del giorno dopo" di Carlo Flamigni, altri di tema filosofico-psicologico come l'identità umana" di Livia Profeti o "Il ritorno di Lilith" di Joumana Haddad. Entro la fine del 2010 è prevista l'uscita di "Chiesa e Pedofilia", inchiesta del giornalista Federico Tulli. Nel 2011 verranno inaugurate le collane di psichiatria, letteratura,cultura araba e una di saggistica cinese intitolata "Cina".

Adnkronos 7.10.10
Fiera Francoforte: In Germania L’Asino d’oro con “Istinto di morte e conoscenza”: L’opera di Massimo Fagioli esce a Marzo 2011


Francoforte, 7 ott. (Adnkronos) - La casa editrice romana l'Asino d'oro approda alla Fiera del libro di Francoforte con undici titoli pubblicati nell'ultimo anno e mezzo. E annuncia l'uscita in Germania, nei primi mesi del nuovo anno, con lo storico editore Stroemfeld, della traduzione in lingua tedesca di 'Istinto di morte e conoscenza', prima e fondamentale opera di Massimo Fagioli. Il volume verra' presentato nel marzo 2011 alla Fiera di Lipsia. Nel 2011, inoltre, L'Asino d'oro inaugurera' una nuova collana di letteratura ed una nuova collana di psichiatria.
La giovane casa editrice fondata a Roma nel 2009, che deve il suo nome alle 'Metamorfosi' di Apuleio del II secolo d. C., presenta come asse portante i libri di dello psichiatra dell'Analisi Collettiva Massimo Fagioli, ai quali si affiancano nel catalogo un'ampia collana di saggistica (storia, politica, societa'), una collana di poesia letteratura e saggistica cinese, intitolata ''Cina'' ed un'altra dedicata alla cultura araba.
'Istinto di morte e conoscenza', scritto dallo psichiatra romano quaranta anni fa e pubblicato in una nuova edizione italiana da L'Asino d'oro nel 2010, contiene i fondamenti della teoria della nascita, nota ormai a livello internazionale ed espressione di un nuovo movimento culturale, scientifico e umanistico. Oltre ai nuovi libro di Fagioli ('Fantasia di sparizione', 'Left 2006' e 'Left 2007'), dal marzo 2009 ad oggi, L'Asino d'oro ha gia' pubblicato: 'Il ritorno di Lilith' di Joumana Haddad, 'Lombardi e il Fenicottero' di Carlo Patrignani, 'L'identita' umana' di Livia Profeti, 'RU 486, non tutte le streghe sono state bruciate' e 'La pillola del giorno dopo' di Carlo Flamigni e Corrado Melega, 'La rosa e la peonia' di Valentina Pedone, 'Italia a lume di candela' di Marzio Bellacci.

Agi 7.10.10
Buchmesse: L’Asino d’oro, “Istinto di morte e conoscenza in tedesco


Roma, 7 ott. - 'Istinto di morte e conoscenza' l'opera fondamentale dello psichiatra Massimo Fagioli uscira' anche in Germania, quindi in tedesco, per l'editore Stroemfeld: e verra' presentato alla Fiera di Lipsia di marzo 2011. Lo si legge in una nota della casa editrice 'L'Asino d'oro' - undici i titoli pubblicati nell'ultimo anno e mezzo - presente alla Buchmesse di Francoforte e che di recente ha ristampato Istinto in una nuova edizione a 40 anni da quando e' stato scritto. Nel 2010 la casa editrice, fondata nel 2009 da Matteo Fago e Lorenzo Fagioli, prevede una nuova collana di letteratura ed un'altra di psichiatria. "L'asse portante - precisa la nota della casa editrice italiana, che deve il suo nome alle Metamorfosi di Apuleio, romanzo del II secolo d. C., che a sua volta contiene la favola di 'Amore e Psiche' - sono i libri dello psichiatra dell'Analisi Collettiva Massimo Fagioli, ai quali si affiancano nel catalogo un'ampia collana di saggistica (storia, politica, societa'), una collana di poesia letteratura e saggistica cinese, intitolata "Cina" ed un'altra dedicata alla cultura araba. "Istinto di morte e conoscenza", che reca in effige sulla copertina rossa l'immagine di "Amore e Psiche", contiene i fondamenti della teoria della nascita, nota ormai a livello internazionale ed espressione di un nuovo movimento culturale, scientifico e umanistico. Oltre ai nuovi libri del professore Fagioli ("Fantasia di sparizione", "Left 2006" e "Left 2007"), dal marzo 2009 ad oggi, L'Asino d'oro - prosegue la nota - ha gia' pubblicato: "Il ritorno di Lilith" di Joumana Haddad, "Lombardi e il Fenicottero" di Carlo Patrignani, "L'identita' umana" di Livia Profeti, "RU 486, non tutte le streghe sono state bruciate" e "La pillola del giorno dopo" di Carlo Flamigni e Corrado Melega, "La rosa e la peonia" di Valentina Pedone, "Italia a lume di candela" di Marzio Bellacci. Entro la fine del 2010, e' prevista l'uscita di "Chiesa e Pedofilia", sconvolgente saggio- inchiesta del giornalista Federico Tulli e una raccolta delle Storie di Amore e Psiche, sull'origine e diffusione della favola "in ogni parte del mondo", dall'India al Mediterraneo, fino ai mari del Nord, di Annamaria Zesi". In fase di pubblicazione, conclude la nota, "L'Asino d'oro ha una serie di biografie parallele tra figure di letterati, pensatori e artisti vissuti nella stessa epoca (Dante e Cavalcanti, di Noemi Ghetti; Caravaggio e Giordano Bruno, di Annamaria Panzera), la cui vita ed opera hanno avuto sviluppi e fortuna completamente diversi".


l’Unità 8.10.10
Cortei degli studenti in sessanta città italiane, con loro anche i ricercatori delle università
Ddl Gelmini in aula alla Camera il 14 ottobre. Non c’è copertura finanziaria per la riforma
In piazza per difendere scuola e atenei pubblici
Le manifestazioni indette per difendere il diritto allo studio e all’offerta formativa. Pantaleo (Cgil): «Lo studio sta diventando un diritto per pochi, il sistema dell’istruzione al centro del modello per uscire dalla crisi».
di Iolanda Bufalini


Macerie: è quel che resta della scuola pubblica dopo i tagli che hanno riportato il numero degli studenti per aula a cifre da dopoguerra, abolito laboratori anche nei professionali e la possibilità di studiare due lingue, cancellato l’informatica e ridotto le ore di italiano. Caschetti gialli in testa, dunque, gli studenti delle superiori saranno oggi in 80 cortei annunciati dall’Uds, nelle strade e nelle piazze di 60 città italiane. Ma non saranno soli. Ci saranno anche gli universitari, perché il disegno di legge del ministro Gelmini, in discussione alla Camera, mina anziché riformare le fondamenta dell’università pubblica. l’Unione degli universitari ha lanciato sul sito costruttori di sapere (costruttoridisapere.it) una foto-petizione: 1600 fotografie con caschetto giallo in testa. Anche Roberto Saviano raccontano gli studenti dell’Udu di Pavia ha solidarizzato, accettando una maglietta con la scritta «costruttori di sapere», dopo una conferenza sulla lotta alle mafie.
Insieme a ragazze e ragazzi che hanno coniato lo slogan «chi apre una scuola chiude una prigione», ci saranno i sindacati e la rete dei ricercatori e dei precari delle università.
Sciopera Unicobas mentre l’indicazione della Flc-Cgil, è di scioperare alla prima ora (all’ultima nei turni pomeridiani o serali). «Saremo in tanti alle manifestazioni studentesche», spiega il segretario Domenico Pantaleo, perché saranno tanti «i precari licenziati, i ricercatori, le rappresentanze delle Rsu». Quella di oggi, secondo il sindacalista, «è solo una prima tappa di una mobilitazione che non deve spegnersi con un unico grande fuoco». Mobilitazione che vedrà un altro momento importante il 14 ottobre (e un altro sciopero di un’ora), quando alla Camera si discuterà il Ddl Gelmini. «Il baratto accettato dai rettori sostiene Pantaleo e scandaloso, si sono accontentati di briciole, anzi di promesse vuote». Finanziamenti, superamento della precarietà e diritto allo studio sono gli obiettivi della mobilitazione nelle università. Offerta formativa che «è sempre più povera, particolarmente nel Mezzogiorno» e lavoro per «le migliaia di precari licenziati», gli obiettivi per la scuola. E poi il pericolo che accomuna i diversi gradi: «la privatizzazione del sistema dell’apprendimento, che sta diventando un diritto per pochi». È, sostiene Pantaleo, «un arretramento culturale simboleggiato dalla farsa degli sponsor privati, leghisti a Adro, da supermercato nella provincia Andria Trani Barletta».
14 OTTOBRE
L’assenza di risorse nella riforma dell’università ha avuto, ieri, la prova del nove in commissione cultura alla Camera. Nella discussione alcuni emendamenti delle opposizioni sono stati accolti ma «nulla di sostanziale», precisa Manuela Ghizzoni, capogruppo Pd. L’unico emendamento presentato dalla maggioranza per 1500 concorsi ad associato, «meno di un terzo sostiene Giovanni Bachelet del necessario», non ha copertura finanziaria, la commissione bilancio si pronuncerà mercoledì. Riformulato, su indicazione dell’opposizione, l’articolo che avrebbe consentito ai rettori di restare in carica fino a 78 anni, «una vera gerontocrazia», secondo Manuela Ghizzoni.
Il Ddl Gelmini andrà, dunque, alla discussione in Assemblea, immutato nei punti sostanziali del centralismo e del reclutamento dei docenti. La maggioranza (compresa la componente Fli che chiede il ripristino degli scatti di anzianità), chiederà probabilmente alla conferenza dei capigruppo, lunedì, di anticipare la discussione prevista per il 14. Ma, a parte obiezioni di tipo regolamentare, sostiene Manuela Ghizzoni che «è giusto giocare a carte scoperte», sapendo, cioè, «cosa si prevede nella sessione di Bilancio per la riforma universitaria, a cominciare dal maltolto, un milirado e mezzo di tagli».


Repubblica 8.10.10
"Bersani più adatto di Vendola per sfidare Silvio alle elezioni"     


In un sondaggio di Ipr Marketing viene valutata la fiducia nei leader che possono sfidare Silvio Berlusconi. Al primo posto si piazza il segretario del Pd Pier Luigi Bersani con 47 punti, seguito da Nichi Vendola (45). È stato chiesto un giudizio su Montezemolo e Profumo. Il presidente Ferrari è al terzo posto, dietro di lui Gianfranco Fini. Un risultato simile emerge anche dallo studio sul profilo d´immagine: Bersani è sempre avanti, alle sue spalle Vendola e Montezemolo.


Repubblica 8.10.10
Pre-intesa sulla legge elettorale Fini, Bersani e Casini accelerano
Ma è già lite coi fan dell´uninominale. Schifani cauto
di Giovanna Casadio


ROMA - Cancellazione o modifica del premio di maggioranza. Soglia di sbarramento. Nuovo rapporto tra eletto e elettore attraverso i collegi uninominali o ripristinando le preferenze. La pre-intesa tra Bersani, Casini e Fini sulla legge elettorale c´è già, anche se per ora sono stati fissati solo i principi-base e su molte questioni - come l´indicazione del premier - la distanza tra democratici e centristi resta. Ci sono stati due incontri tra i leader e altrettanti tra gli "ambasciatori" per giungere a un "modello" elettorale di massima. Fini ribadisce che la riforma elettorale è indispensabile: «È un´eresia dire che la democrazia è restituire all´elettore la possibilità di scegliere i suoi rappresentanti? Ho votato questa legge, ho fatto autocritica. D´altronde se chi l´ha formulata la chiama Porcellum un motivo ci sarà». Insomma, discutere di legge elettorale «non è una provocazione, né un tentativo di minare una solida maggioranza ma un elemento di discussione che in tanti, anche nel Pdl, dovrebbero fare».
Frena invece il presidente del Senato, Renato Schifani sostenendo che una riforma della legge elettorale va vista «all´interno di un pacchetto complessivo di riforme del funzionamento del nostro paese». Anche perché, ragiona la seconda carica dello Stato, «se si dovesse passare al Senato federale, non v´è dubbio che occorrerebbe approvare una legge elettorale diversa rispetto a quella della Camera che dà la fiducia al premier». Comunque, a Palazzo Madama in commissione Affari costituzionali l´iter per la legge elettorale è già cominciato. Anche se a Montecitorio Pd, Udc, Fli, Idv e Api reclamano di potersene occupare. Chi la spunterà? Difficilmente la Camera. Schifani minimizza: «Sono fattori procedurali che valuteremo. Col presidente Fini mi sento quotidianamente. Quindi sicuramente non sarà necessario un incontro formale».
Nella Lega l´unico spiraglio al cambiamento della legge viene dal ministro Roberto Calderoli, l´ideatore del Porcellum, ma solo per affermare che, una volta approvato il Senato federale, allora «la riforma elettorale sarà obbligata». Intanto si costituisce ieri formalmente la "lega per l´uninominale" maggioritario. A darle vita un gruppo bipartisan che raccoglie i democratici più convinti del bipolarismo e del maggioritario (Ceccanti, Ichino, Chiti, Gentiloni, Marino, Verini), Emma Bonino, Marco Pannella e i radicali, i finiani Urso, Viespoli, Baldassarri (presso il suo centro studi avrà sede il comitato), Germontani. I fan dell´uninominale pensano anche a un referendum di consultazione per capire verso quale riforma si orienterebbero gli elettori. Evidente che la "lega per l´uninominale" va nel senso opposto rispetto ai tentativi di intesa che si stanno facendo tra i leader di Pd, Fli e Udc. Dario Franceschini, il capogruppo dei Democratici, parla dello sforzo per tessere un patto e cambiare davvero la legge. Gianclaudio Bressa (che è il "tecnico" del Pd in commissione affari costituzionali alla Camera) non apprezza l´insistenza sull´uninominale: «È il narcisismo della politica italiana: se fai un´azione blindandoti su un modello preciso, è difficile arrivare a un risultato». Il "futurista" Carmelo Briguglio in un´intervista all´Unità, ritiene che dovrebbe essere Berlusconi stesso a dare il via per cambiare la legge elettorale, «se non lo fa, sappia che potrebbe nascere un governo di transizione per farlo». Alla vigilia dell´assemblea nazionale del Pd a Varese (oggi e domani), Walter Veltroni avverte: «Il maggioritario non va messo in discussione».


l’Unità 8.10.10
Intervista a Michael H. Gerdts
«Rom e immigrati? In Europa vogliamo società aperte»
Il nuovo ambasciatore tedesco riflette sui 20 anni dalla riunificazione: «L’integrazione è il tema centrale le spinte localiste non freneranno la corsa europea»
di Roberto Brunelli


Lui c’era, lì a Praga, quando il ministro degli Esteri della Repubblica federale Genscher pronunciò il fatidico discorso dal balcone dell’ambasciata: c’erano migliaia di tedeschi dell’Est accalcati sotto quel balcone, e Genscher disse loro cose fino a quel momento inconcepibili: «Siete liberi». Disse loro che la Ddr aveva ceduto, che aveva dovuto accettare di farli transitare verso l’Ovest. Era il 30 settembre 1989: dopo poche settimane cadde il muro di Berlino e poco più di un anno dopo, il 3 ottobre 1990, la Germania divenne un Paese solo. Oggi Gerdts, all’epoca vice capo gabinetto del ministro, è il nuovo ambasciatore tedesco a Roma. Ruolo che aveva ricoperto già dal 2004 al 2007. Il suo ritorno avviene nel pieno di un ventennale che vede la Germania porsi sempre di più come baricentro politico ed economico dell’Europa.
Signor ambasciatore, grazie ai dati economici e alla sua forza politica, spesso la Germania viene definita un gigante, un gigante oramai soprattutto centro-europeo che guarda a Est... «Quella tedesca è stata un’unificazione nel cuore d’Europa. La Germania è circondata, per la prima volta nella sua storia, solo da Paesi amici: la priorità primaria è quella di contribuire a formare un’Unione europea sempre più stretta. A questa si aggancia l’esigenza di porsi sempre di più come grande soggetto di stabilizzazione nei confronti sia di quei Paesi che ancora devono entrare nell’Unione, sia nella capacità di sviluppare l’amicizia transatlantica e di costruire una partnership sempre più stabile nei confronti della Russia, che è il più grande dei nostri vicini, sia di sapersi confrontare con le potenze emergenti politicamente ed economicamente come la Cina, l’India, anche l’America latina. Il nostro punto di vista, ripeto, è esclusivamente la prospettiva europea, che è l’unica che ci permette di essere incisivi a livello globale». Lo ha detto, qualche sera fa proprio qui a Roma, anche l’ex ministro Genscher: con la riunificazione tedesca i popoli si unirono «con un’unico sentimento». Oggi però vi sono sintomi di crescenti egoismi nazionali e locali... «Vede, in passato, la storia europea è stata caratterizzata da guerre, da conflittualità sulle linee di frontiera. Oggi per la prima volta vi è grande stabilità politica, armonia economica e culturale, sicurezza comune. Lo spazio di questa stabilità si è espansa anche nei confronti dei vicini europei che non sono componenti dell’Unione grazie anche alla nostra politica di buon vicinato. Singoli movimenti o determinate realtà importanti sotto il profilo regionale non incideranno più di tanto».
Qualcuno pensa che ci possa essere il rischio che il gigante tedesco possa diventare troppo ingombrante... «Quella di “gigante” è un’espressione sbagliata. L’Europa è il lavoro comune di quasi 500 milioni di persone, l’euro è la moneta comune di 16 Paesi, per ora, altri ancora intendono entrare nel sistema dell’euro: è una zona monetaria che già di per sé produce stabilità. Quello che vedo è il comune sforzo di uscire insieme dalla crisi economica attraverso la solidarietà degli Stati, attraverso il lavoro comune volto ad impedire che crisi di questo genere possano ripetersi. È questo l’unico modo di essere politicamente ed economicamente un attore centrale di un mondo globalizzato».
Di recente c’è stata la vicenda francese che ha visto al centro le popolazioni rom. Che ruolo intende giocare la Germania in questo tipo di contrapposizioni?
«Il nostro è un Paese con otto milioni di stranieri, circa il 10% della popolazione. Abbiamo un approccio molto aperto nei confronti dei temi dell’immigrazione e dell’integrazione, nonché molta esperienza: basti pensare ai 2,2 milioni di turchi che vivono in Germania. Oggigiorno quello dell’integrazione è il tema centrale in Europa. Anche considerando la sempre minori crescita demografica ed il calo delle nascite, pensiamo che gli stranieri rappresentino una realtà imprescindibile se vogliamo mantenere i nostri standard di benessere: le nostre società devono essere aperte per le persone che condividono i nostri valori e che vogliono lavorare insieme a noi per un futuro migliore. Riteniamo che una concezione moderna di mobilità non possa prescindere dall’arricchimento di persone derivanti da altre realtà culturali».
Quant’è cambiata la Germania in questi ultimi vent’anni? «La Germania è stata capace di prendere in mano degli importanti processi, e di liberarsi anche dalle ferite psicologiche legate alla divisione del paese. Abbiamo assistito alla crescita comune delle due Germanie, ci siamo impegnati a far sviluppare la Germania dell’est, la cui economia era stata letteralmente distrutta dal socialismo reale. Le persone sono davvero “cresciute insieme” in questi anni. Oggi siamo orgogliosi di una nuova normalità che la Germania ha saputo riconquistare. Un Paese che in questi anni ha dimostrato un grande dinamismo nelle riforme, nel mercato del lavoro, nelle sue strutture sociali. Il simbolo più bello di questo dinamismo è Berlino, una realtà pulsante che rappresenta un’indicazione importante per il futuro».


il Fatto 8.10.10
Rom in Francia: schedati su base etnica
Rivelazione imbarazzante alla vigilia dell’incontro di Sarkozy con il Papa
di Alessandro Oppes


Non si poteva presentare con un biglietto da visita peggiore. Nicolas Sarkozy arriva oggi in Vaticano per un’udienza con papa Benedetto XVI sulla scia dell’ultima polemica provocata dalla rivelazione del quotidiano Le Monde: la gendarmeria francese utilizza un database “illegale e clandestino” per colpire i rom e i nomadi. Un file della vergogna battezzato “Mens” (minoranze etniche non sedentarie), costituito presso l’Ufficio centrale per la lotta contro la “delinquenza itinerante”, secondo la denuncia presentata dagli avvocati di quattro associazioni che protestano per la schedatura realizzata in base alle origini razziali ed etniche.
UN NUOVO SCHIAFFO alla credibilità del capo dell’Eliseo proprio nel giorno in cui Sarkozy dovrebbe tentare, attraverso il suo incontro con il Pontefice, una difficile ricucitura con la Chiesa e, quel che più gli sta a cuore, l’elettorato cattolico francese che non ha ancora digerito la politica del pugno di ferro imposta con l’espulsione di massa dei rom dall’agosto scorso. Con l’articolo pubblicato ieri in prima pagina, Le Monde smentisce anche la dichiarazione rilasciata nelle scorse settimane ai microfoni di Rtl dal ministro dell’Interno Brice Hortefeux, secondo il quale “non esistono statistiche su comunità specifiche”.
E mentre da Bruxelles, la polemica commissaria alla Giustizia – la lussemburghese Vivian Reding – ricordava ancora in questi giorni che “il caso non è chiuso” (la Francia ha tempo fino al 15 ottobre per adattarsi alla legislazione europea, in caso contrario potrebbe incorrere nei fulmini della Corte di giustizia), contro l’Eliseo si levano voci critiche sempre più autorevoli. Come quella del grande storico e sociologo Émile Poulat, uno dei maggiori esperti sulla questione religiosa nell’Europa contemporanea. “I rom in Francia? Non sono un grande problema, ma vengono utilizzaticome pretesto per una politica della mano dura”, dice lo studioso al Fatto Quotidiano nella hall di un grande albergo di Barcellona, dove ha partecipato al Meeting internazionale per la pace della Comunità di Sant’Egidio. “Siamo alla politica spettacolo e alla politica elettorale. Del resto, se c’è un problema rom, esistono soluzioni diverse da quella dell’espulsione che, tra l’altro, non è accompagnata da un divieto di ritorno. Il fatto è che in un momento in cui abbiamo più povertà, più scontento e più problemi non risolti, si cerca sempre un capro espiatorio. Si impone la politica muscolosa del governo, pensando che attiri nuovi elettori”.
VITTIME DESIGNATE per sviare l’attenzione in tempo di crisi? Ne è convinto anche il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo: “In altre epoche, furono altri popoli: pensiamo a quel che accadde dopo la crisi del ’29, quando gli ebrei vennero indicati come una delle cause. Gli zingari sono una popolazione che sembra tanto diversa dagli europei, che non ha un nazionalismo, che non sa difendersi. Quale minoranza in Europa sopporta in silenzio come loro? Però noi non possiamo approfittarci del fatto che non sono organizzati. Certe posizioni che stanno emergen-
do sono frutto di una politica gridata e non pensata”. E allora, conta più il pregiudizio esistente nelle nostre società o la politica di alcuni governi? Secondo Impagliazzo, “la cosa più grave è che i politici alimentino il pregiudizio. È una questione centrale per la coscienza europea. Non abbiamo ancora fatto i conti con lo sterminio avvenuto durante il nazismo: su questo restiamo colpevolmente in silenzio. E allora, noi diciamo: come è esistito ed esiste l’antisemitismo, oggi denunciamo l’anti-gitanismo”.
Una soluzione? Intanto fare in modo che si imponga la volontà dell’Unione europea, “che ha leggi molto più avanzate rispetto a quelle nazionali”. Ma anche guardare a casi concreti di integrazione che hanno avuto successo, come quello di Barcellona. Qui negli anni ’60 e ’70 esistevano molti campi nomadi. Poi il Comune decise di costruire un nuovo quartiere, La Mina: 15mila abitanti, molti di loro sono rom. Non un ghetto, ma un esperimento vincente per l’inserimento.


l’Unità 8.10.10
Via libera del premier Netanyahu al progetto di legge caldeggiato dal falco Lieberman
Laburisti contro. L’ira del ministro Barak. Gli arabi-israeliani: quelle sono norme razziste
Israele, nazionalità a chi giura fedeltà allo Stato ebraico
Il premier israeliano ha detto ancora una volta sì alla destra nazionalista che condiziona il suo governo. Ha dato il via libera al progetto di legge sulla nazionalità israeliana. Polemica sul giuramento di fedeltà.
di Umberto De Giovannangeli


Una vittoria della destra religiosa. Uno schiaffo in faccia all'Israele che prova a difendere ciò che resta della laicità statuale. In chiave politica, è il successo del ministro degli Esteri e leader di Yisrael Beitenu (destra nazionalista) Avigdor Lieberman, e l'ennesima debacle del ministro della Difesa e segretario generale del Labour, Ehud Barak. Esulta Avigdor il falco per il progetto di legge del primo ministro Benjamin Netanyahu che obbligherà i candidati alla cittadinanza a prestare giuramento a «Israele, Stato ebraico e democratico». Il progetto, che sarà presentato domenica al Consiglio dei ministri, modifica l'attuale legge sulla cittadinanza e introduce il seguente paragrafo:«Giuro di rispettare le leggi dello Stato d'Israele come Stato ebraico e democratico», riferisce un comunicato dell'ufficio di Netanyahu. L'emendamento è stato proposto dal ministro della Giustizia, Yaakov Neeman.
BUFERA POLITICA
Di segno opposto è la reazione di alcuni ministri laburisti. «Si tratta di una decisione scandalosa e irresponsabile», dichiara a l'Unità il titolare per gli Affari delle minoranze, Avishai Breverman. «Chiedo a Ehud Barak – aggiunge – una riunione urgente del gruppo parlamentare e della direzione del partito per decidere come contrastare questa deriva fondamentalista». A fianco di Braverman si schiera un altro ministro laburista, Yitzhak Herzog, titolare del dicastero del Welfare. «Spero che il sostegno di Netanyahu sia il rimborso a Lieberman, così il primo ministro potrà estendere il congelamento (delle costruzioni) senza rompere la sua coalizione», azzarda un terzo ministro laburista parlando in condizione di anonimato. Ma a gelare le aspettative è il numero due di Yisrael Beiteiu, il ministro della Sicurezza interna, Yitzhak Aharanovitch: «Non c'è stato nessuno scambio – taglia corto Aharanovitch – la nostra posizione sulla moratoria non è cambiata: siamo contrari». Per Ehud Barak è un doppio affronto: Netanyahu ha deciso senza consultare i laburisti, e ora i partiti religiosi e ultranazionalisti cantano vittoria. In serata Barak convoca gli altri ministri del Labour. È una riunione tesissima. C'è chi chiede l'uscita da un Governo «ostaggio dei fondamentalisti». Barak propone di votare contro nella riunione di domenica dell'esecutivo. Ma Netanyahu insiste. E rilancia: «Israele – afferma il primo ministro – è la patria del popolo ebraico. Lo è nella sua essenza, nei suoi simboli, nelle sue feste, nel suo governo e ciò si deve riflettere nella legge sulla cittadinanza». Secondo diversi commentatori in Israele, l'emendamento che dopo il placet del Governo dovrà essere sottoposto al voto della Knesset è rivolto soprattutto contro quei palestinesi che, avendo sposato arabi israeliani, mirano a ottenere la cittadinanza o almeno la residenza permanente nel Paese.
GRIDO D'ALLARME
«Il presente d'Israele è nelle mani di fanatici oltranzisti che stanno smantellando le fondamenta stesse di uno Stato plurale. Lo stravolgimento della legge sulla cittadinanza ne è una riprova», dice a l'Unità Yael Dayan, scrittrice, paladina dei diritti delle donne , più volte parlamentare laburista. «La logica che sottende questa decisione è la stessa che anima i coloni oltranzisti: è la logica del più forte che, come tale, considera l'altro da sé come un'anomalia da emarginare se non come una minaccia da estirpare. Questa logica si fa Stato e crea leggi che ipotecano il futuro d'Israele», aggiunge la figlia dell'eroe della Guerra dei Sei giorni, il generale Moshe Dayan. «Lieberman si muove come fosse il padrone d'Israele. Fosse per lui, noi arabi israeliani saremmo deportati a forza, ci considera razza inferiore, pensa e agisce come un razzista», denuncia il parlamentare arabo-israeliano Ahmed Tibi, raggiunto telefonicamente dall'Unità. E di razzismo parla anche il deputato Mohammed Barakeh, leader del partito Hadash( sinistra comunista, i cui elettori sono in prevalenza arabi) Non si mostra sorpreso Zeev Sternhell, tra i più autorevoli storici israeliani. «Da tempo – ci dice – ho espresso pubblicamente ciò che penso di Lieberman: si tratta dell'uomo politico più pericoloso della storia d'Israele perché rappresenta un insieme di nazionalismo, autoritarismo e mentalità dittatoriale. La realtà ha confermato questo giudizio. E ciò non induce certo all'ottimismo sia per le nostre vicende interne che per il proseguo del negoziato con i palestinesi». A protestare è anche Kadima, il partito centrista guidato da Tzipi Livni.
Durissima è la presa di posizione dell'Associazione per i Diritti Civili in Israele, secondo cui l'emendamento «è' fondamentalmente antidemocratico, discrimina su basi religiose tra aspiranti cittadini e chiede a una minoranza etnica di aderire a un principio al quale si ancora la discriminazione nei suoi confronti».


Repubblica 8.10.10
Cittadinanza, svolta a Gerusalemme si dovrà giurare sullo "Stato ebraico"
Netanyahu cede a Lieberman per salvare i negoziati
di Alberto Stabile

GERUSALEMME - «Niente giuramento di fedeltà, niente cittadinanza». Alla fine, Benyamin Netanyahu è capitolato davanti al discusso slogan lanciato mesi fa dal più scomodo dei suoi alleati di governo, l´ultra conservatore ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, e, domenica prossima, proporrà al Consiglio dei ministri di approvare un emendamento alla Legge sulla cittadinanza che impone agli stranieri che aspirano a diventare cittadini israeliani di giurare fedeltà a Israele in quanto «stato ebraico e democratico». Quest´obbligo, e qui si nasconde l´aspetto discriminante dell´emendamento, si applica ai non ebrei, mentre non vale per quanti chiedono la cittadinanza in base alla Legge del ritorno, vale a dire per gli ebrei.
Il giuramento di fedeltà ad uno stato del quale si voglia acquisire la cittadinanza, di per sé non deve scandalizzare. Basta citare la promessa di fedeltà che viene imposta dagli Stati Uniti e da molti altri paesi democratici. Una promessa molto semplice, del resto, è stata finora richiesta anche in Israele: «Prometto di essere leale allo stato d´Israele e alle sue leggi».
Ma non è parsa sufficiente. L´intento di Lieberman era originariamente quello di costringere tutti i cittadini, e soprattutto gli arabi-israeliani sulla cui lealtà il ministro degli Esteri nutre sospetti e pregiudizi, a proclamare la loro fedeltà allo stato ebraico come precondizione per acquisire i diritti di cittadinanza. Sta di fatto che l´emendamento sulle naturalizzazioni era, ed è, parte di un complessa normativa che ha sollevato le ire della minoranza araba, di buona parte della sinistra e delle organizzazioni israeliane di difesa dei diritti umani.
Come sempre quando si trova davanti ad una questione spinose, Netanyahu ha preso tempo. L´estate scorsa ha persino preparato un suo emendamento, in cui Israele veniva definito «lo stato nazione del popolo ebraico che garantisce piena uguaglianza a tutti i suoi cittadini». Ma ieri il premier ha deciso di dare il via libera al testo formulato dal ministro della Giustizia Neeman, un religioso oltranzista in sintonia con Lieberman.
Perché proprio adesso? Il motivo è semplice, dicono gli avversari di Netanyahu, fra i quali nelle ultime ore si rivedono quei laburisti che pure fanno parte della coalizione di governo. L´emendamento sulla cittadinanza sarebbe la contropartita offerta dal premier a Lieberman in cambio del tacito consenso del ministro degli Esteri al nuovo, temporaneo congelamento degli insediamenti (due mesi) richiesto dagli americani per salvare il negoziato di pace.
Il sì, o "ni" di Lieberman, consentirebbe a Netanyahu di salvaguardare la coalizione e mantenere buoni rapporti con Obama. Al quale Netanyahui avrebbe chiesto, in cambio del mini congelamento, la conferma degli impegni presi da Bush con la lettera a Sharon dell´aprile del 2004, nella quale il presidente americano affermava che un accordo sui confini con i palestinesi avrebbe dovuto tener conto dei mutamenti demografici intervenuti nei territori, vale a dire i grandi insediamenti ebraici che dovrebbero essere assorbiti da Israele. Principio che Obama finora non ha mostrato di condividere.

il Fatto 8.10.10
E il governo lanciò il master “W Hitler”
Il professor Moffa nega la Shoah nel corso presentato a Palazzo Chigi
di Giampiero Calapà


Un master dedicato a “Enrico Mattei” e alle politiche dell’Eni in Medio Oriente, in realtà libero sfogo del negazionismo (della negazione della Shoah: 6 milioni di ebrei sterminati dal nazifascismo) professato da Claudio Moffa dell’Università di Teramo e presentato in pompa magna addirittura a Palazzo Chigi, sede del governo italiano.
Il caso scoppia ieri. Repubblica racconta una lezione del 25 settembre scorso – finita online su YouTube – in cui il professore si spinge a giustificare il capo del nazismo Adolf Hitler: “Non c’è alcun documento di Hitler che dicesse di sterminare tutti gli ebrei”. Moffa, però, non è nuovo a episodi di questo tipo, tanto che nel 2007 l’Ateneo di Teramo chiuse le porte al master “Enrico Mattei”, per prendere le distanze dall’invito in aula a uno dei capi del “negazionismo” mondiale, Robert Faurisson, docente di Letteratura (non di storia). Nonostante questo precedente, grande come una trave in un occhio, l’Università di Teramo e la Facoltà di Scienze politiche – che nel frattempo hanno cambiato rettore e preside – ha riaccolto il master di Moffa.
Le scuse del ministro
MA IL GOVERNO, soprattutto, ha ospitato nella “sala polifunzionale” di Palazzo Chigi la presentazione del master, il 6 maggio scorso, alla presenza di Moffa, del rettore di Teramo Rita Tranquilli Leali e dello storico Franco Cardini. Tardiva, quindi, la condanna del ministro Maria Stella Gelmini, in un intervento di ieri al Tg5: “Le parole pronunciate sono inaccettabili, offendono profondamente la memoria degli ebrei morti nelle camere a gas. Non è possibile che nelle università italiane insegnino professori che seminano odio”. Già, perché in quella lezione del 25 settembre il professor Moffa, cita proprio il docente francese di letteratura Faurisson: “L’edificio che viene mostrato ad Auschwitz è un edificio che non ha nessuna delle caratteristiche tecniche atte ad essere stato una camera a gas. Il Zyklon B veniva usato per disinfestare gli abiti dei reclusi”.
La posizione della Facoltà
IL PRESIDE di Scienze politiche, Enrico Del Colle (succeduto a Adolfo Pepe che si spese contro il master di Moffa nel 2007) si giustifica: “Sul tema e ovviamente non sulla persona, la posizione dell’Università è chiara, ed è la stessa di tre anni fa quando già si era pronunciata ufficialmente in una occasione simile”. Appunto. Peccato che il master sia poi ricominciato. Il 13 ottobre è in calendario un Consiglio di Facoltà, ma il preside precisa subito che “non è organo competente per simili azioni”, in riferimento a un possibile provvedimento contro il professor Moffa, ma almeno ammette “una posizione di disagio gravissimo”. Nel 2007 in seguito al caso Fourisson, contro Moffa presero posizione numerosi storici dell’Ateneo di Teramo: “Abbiamo lavorato e continueremo a lavorare, nella ricerca e nella didattica, sui temi dell’antisemitismo, dei sistemi concentrazionari, della Shoah e della trasmissione della sua memoria”. Alla fine Faurisson non parlò in aula, l’università quel giorno venne addirittura chiusa dal rettore di allora, Mauro Mattioli. In quei giorni il ministro dell’Istruzione era Fabio Mussi (Sinistra e libertà): “All’Università di Teramo un professore, organizza un corso per negare l’Olocausto, presentandolo a Palazzo Chigi nel maggio scorso. Ci aveva già provato nel 2007, invitando a tenere una lezione il noto negazionista Faurisson. Il ministro di allora sollecitò e sostenne il rettore di allora, che giustamente la impedì, chiudendo l’ateneo abruzzese. Qui non c’entra niente la libertà d’espressione: c’entra l’odio razziale e l’apologia del nazismo, che fino a prova contraria sono reati. Quanto ci metterà il ministro Gelmini a capire che è un suo dovere intervenire a nome del governo con una chiara posizione?”.

Avvenire 8.10.10
Emilia ’45, caccia al prete
Nell’opera monumentale dello storico Sandro Spreafico, dedicata alle vicende della Chiesa reggiana tra fascismo e dopoguerra, la descrizione dell’impressionante tributo di sangue versato dai cattolici
di Edoardo Tincani


Da tempo le pagine di Avvenire ospitano un interessante dibattito sul ruolo della Chiesa – ministri e popolo di Dio – nei sanguinosi tornanti della prima metà del XX secolo. Un contributo fondamentale viene ora dall’opera dello storico Sandro Spreafico, I cattolici reggiani dallo Stato totalitario alla democrazia. La Resistenza come problema. La monumentale antologia, composta da cinque volumi in sei tomi – quasi seimila pagine di grande formato – e recentemente completata con l’uscita della «Guida alla consultazione», sarà presentata questo sabato, alle ore 16, all’Hotel Posta di Reggio Emilia (piazza del Monte 2), in un incontro pubblico promosso dall’Istituto per la storia della Resistenza e della Società contemporanea (Istoreco) insieme ad altre associazioni civili ed ecclesiali.
Una città di provincia come Reggio Emilia si conferma così osservatorio affatto centrale per chi voglia affrontare in tutte le sue sfaccettature il complesso rapporto tra la coscienza religiosa di un popolo e le lacerazioni del trentennio 1919-1950.
Nell’analisi di Spreafico, capace di accostare centinaia di testimonianze, diari e tavole fotografiche a riflessioni sofferte sulle contrastanti passioni che portarono al rovesciamento del fascismo e alla nascita della Democrazia Cristiana, storia patria e locale s’intrecciano.
Sul finire del secondo conflitto mondiale e nell’immediato dopoguerra il clero reggiano pagò un tributo di sangue altissimo e diversificato, con sacerdoti uccisi dai nazifascisti – don Pasquino Borghi, fucilato a Reggio Emilia il 30 gennaio 1944, don Battista Pigozzi, fucilato dai tedeschi a Cervarolo con 23 suoi parrocchiani il 20 marzo 1944, e don Giuseppe Donadelli, parroco di Vallisnera, assassinato dai fascisti il 2 luglio 1944 – e altri soppressi dai partigiani – don Luigi Manfredi, parroco di Budrio di Correggio, che fu ucciso il 14 dicembre 1944 perché erroneamente ritenuto implicato nella cattura di don Borghi, don Dante Mattioli di Cogruzzo, 11 aprile 1945, e don Carlo Terenziani, parroco di Ca’ de’ Caroli, 29 aprile 1945. Altri presbiteri caddero per mano comunista 'semplicemente' a causa della loro condanna del giustizialismo sanguinario.
Rientrano in questa casistica l’agguato mortale a don Umberto Pessina, parroco di San Martino Piccolo di Correggio, 18 giugno 1946, e i martirii in odio alla fede di don Giuseppe Iemmi, curato di Felina, 19 aprile 1945, e del seminarista quattordicenne Rolando Rivi, ucciso a Piane di Monchio il 13 aprile 1945, per il quale è a buon punto la causa di beatificazione. E in contesti non dissimili persero tragicamente la vita anche i parroci di Garfagnolo di Castelnovo Monti don Luigi Ilariucci, 19 agosto 1944, di Nismozza don Sperindio Bolognesi, a causa di un ordigno il 25 ottobre 1944, e di Grassano don Aldemiro Corsi, 22 novembre 1944.
La lente d’ingrandimento di Spreafico risale però più indietro nel tempo e indaga le cause di quei delitti con grande sforzo di obiettività e con spirito costruttivo, nel tentativo di portare in superficie una memoria il più possibile acclarata e condivisibile, 65 anni dopo la Liberazione. Grazie all’abbondante documentazione pubblicata, raccolta in circa trent’anni di ricerche attraverso la consultazione di decine di archivi parrocchiali e l’intervista a centinaia di protagonisti minori sopravvissuti, lo storico reggiano si spinge oltre il martirologio ufficiale della Chiesa e la doverosa condanna di ogni efferatezza per offrire un panorama veramente popolare e diffuso della Resistenza in territorio emiliano.
Spiccano infatti, nella storia dei cattolici reggiani, elementi di singolarità che fanno ben risaltare le dinamiche resistenziali. Le pagine dell’antologia mostrano la tempra di un cattolicesimo reggiano minoritario che, anziché deprimersi per l’opposizione delle forze antagoniste, reagisce con una vivacità orgogliosa della propria fede, incarnata in una sequela di umili membri e dirigenti di opere cattoliche. La lettura critica si sofferma sulle dialettiche interne alle forze che si confrontarono, dalla minoranza di clero filofascista che pensava a una 'cattolicizzazione' del fascismo dall’interno, alle spinte laiche dell’intransigentismo, con l’Azione Cattolica impegnata a 'salvare' la fede dal socialismo anticlericale e dal massimalismo comunista.
Il principale, vasto nucleo tematico dell’opera consiste proprio nel raccontare le premesse alla scelta resistenziale da parte dei cattolici, la maturazione dapprima di un antifascismo critico e 'coscienziale' e poi militante, fino all’opzione armata, la nascita della Dc clandestina, il rapporto fra i partigiani cristiani e quelli comunisti, in maggior numero e meglio organizzati, sull’asse tracciato da Domenico Piani, Giuseppe Dossetti e Pasquale Marconi. A partire dal comandante delle 'Fiamme Verdi' don Domenico Orlandini, 'Carlo', i nomi di alcuni resistenti cattolici sono noti: Luigi Ferrari, don Angelo Cocconcelli, Ettore Barchi, Lina Cecchini.
Altre storie si sono aggiunte col tempo, con un ritardo a volte sorprendentemente cospicuo, se si pensa – puntualizza Spreafico – che solo a distanza di decenni sono stati pubblicati i memoriali di internati cattolici in Germania, come Alberto Codazzi e Giorgio Gregori, o che ne restano tuttora di inediti, come quello di Mirco Piccinini.
Ancora, solo per citare un paio di altri casi tra i più clamorosi, i quaderni di Deblin-Thorn, scritti di getto nei lager dal medico cattolico Giorgio Emilio Manenti, sono rimasti sigillati per sessant’anni. E il diario di Dante Zobbi 'Rinaldo', collaboratore di don Pasquino Borghi e uno dei primi uomini fidati di 'Carlo', ha atteso per mezzo secolo l’arrivo di uno storico.
I partigiani cattolici diedero un contributo determinante alla 'tenuta' del movimento resistenziale, e non è un caso che 60 di loro figurino nella prima Dc 'ufficiale' all’indomani della Liberazione.
L’opera di Spreafico racconta la fatica di mantenere la lotta armata entro binari minimi di 'legalità', le stragi e le vendette del giustizialismo più sanguinario, i contenziosi causati da 'incidenti' e incomprensioni tanto tra militanti delle Fiamme Verdi e Garibaldini, quanto all’interno delle due formazioni combattenti.
Ecco spiegata la Resistenza come 'problema'. Tra gli estremi di un’apologetica inamovibile e di un frettoloso revisionismo, Spreafico concede l’ultima parola ai morti di tutti gli schieramenti, tanto che se il suo fosse un romanzo, parafrasando Giampaolo Pansa, potrebbe dunque intitolarsi «Il sangue di tutti». La sua speranza, più che mai 'cattolica', è che la ricerca storica possa contribuire ad una grande catarsi collettiva, capace di vincere una volta per sempre i risorgenti rancori. E così lasciare, far 'resistere', solo la memoria dei nostri avi caduti, anche per noi.
Trent’anni di ricerche attraverso la consultazione di decine di archivi parrocchiali e l’intervista a centinaia di protagonisti minori sopravvissuti, andando oltre il martirologio ufficiale Da don Pasquino Borghi e don Battista Pigozzi, fucilati dai nazifascisti, al seminarista quattordicenne Rolando Rivi e don Giuseppe Iemmi, uccisi dai comunisti in odio alla fede


l’Unità 8.10.10
Una giornata tra autorità e incontri con esponenti dell’economia
Napolitano: «Cina e Italia hanno eccellenti relazioni»
Il premier cinese a Roma Accordi per 2,25 miliardi
Prima tappa al Quirinale, poi incontri con le altre alte cariche dello stato. La giornata romana del primo ministro della Repubblica popolare cinese è stata segnata da accordi commerciali per più di due miliardi.
di Marcella Ciarnelli


E’ stata una giornata intensa quella trascorsa a Roma dal primo ministro della Repubblica popolare Cinese, Wen Jiabao, caratterizzata da incontri politici ai massimi livelli e una serie di accordi commerciali per oltre due miliardi di euro. Il primo a ricevere il premier cinese è stato il presidente della Repubblica, atteso a Oporto per la riunione del Cotec, ma che non ha voluto mancare l’incontro col rappresentante di un Paese con cui «l’Italia ha eccellenti relazioni». Napolitano si recherà in Cina nell’ultima settimana di ottobre in visita di Stato. Nel corso del colloquio è stato sottolineato che «l’apertura dell’anno della Cina in Italia costituisce una importante occasione di rafforzamento delle relazioni bilaterali »cominciate quaranta anni fa. Ma si è parlato anche di Europa e dell’importanza che l’Unione, nel suo complesso, diventi un interlocutore del colosso cinese. «L’Italia è in prima fila tra i Paesi dell’Ue nel promuovere energicamente le relazioni Cina-Ue» ha detto Wen Jiabao.
LANTERNE ROSSE
L’incontro con il presidente della Camera, Gianfranco Fini, poi quello con Silvio Berlusconi per firmare una serie di accordi che segnano una sempre più stretta collaborazione economica tra i due Paesi. Per raggiungere le sedi degli incontri, la successiva conferenza stampa a Villa Madama e il Teatro dell’Opera per l’apertura ufficiale dell’anno della cultura con un concerto, il premier cinese ha attraversato una città addobbata per l’occasione con lanterne rosse. Ed anche il Colosseo è stato coinvolto nella scenografia. C’è stato chi non ha gradito la disponibilità. La questione dei diritti civili in quel grande paese è ancora aperta. «Ne parleremo tenendo presente che la Cina è un grande paese» ha detto il ministro Frattini. La Cina è nell’elenco dei 43 Paesi a cui l’Unione europea, con un documento votato a stragrande maggioranza, ha chiesto una moratoria sulla pena di morte. Oggi al dissidente Liu Xiaobo potrebbe essere assegnato il premio Nobel per la pace.
Ma la visita del premier ha avuto più che altro un importante significato economico nell’obbiettivo di portare l’interscambio tra Italia e Cina dagli attuali 40 milioni a 100 miliardi di dollari in cinque anni pari a settantadue miliardi di euro. I rapporti «eccellenti» hanno portato a sottoscrivere accordi per 2,25 miliardi di euro. Porti, alta velocità ferroviaria, aeroporti, autostrade. Ma anche lo sviluppo delle piccole e medie imprese e delle telecomunicazioni. In questo ambito Tiscali e la cinese Zte, leader mondiale, hanno firmato un accordo per accelerare la diffusione della banda ultra larga in Italia. Ogni ramo di impresa è stato coinvolto. Gli imprenditori italiani sono «i Marco Polo di oggi». Definizione di Berlusconi che prevede a breve il sorpasso della Cina sugli Usa.


il Fatto 8.10.10
Anatomia del paese dei record
“Una popolazione immensa, una crescita squilibrata”: parola di Wen Jiabao
di Giuseppe Cassini


Si può scattare un’istantanea della Cina moderna? È difficile, ma ci si può almeno provare. La Cina è un quinto della popolazione mondiale e la seconda potenza economica del pianeta, avendo ora superato anche il Giappone. Al ritmo attuale di crescita sarà quindi normale che, di ogni cinque prodotti fabbricati nel mondo, uno sia Made in China. E la Cina ci riuscirà, grazie a un yuan sottovalutato come a suo tempo faceva l’Italia per conquistare mercati esteri a beneficio delle proprie infant industries. La Cina è il paese dove la nascita di una femmina era accolta come una disgrazia, fino all’arrivo del comunismo. Da quando Mao definì la donna “l’altra metà del cielo”, la liberazione femminile non si è più fermata: oggi sono donne i due terzi dei dirigenti statali, un terzo dei top executives delle società private e un quinto dei parlamentari. Né gli Stati Uniti né l’Europa (salvo la Scandinavia) possono vantare queste percentuali. La Cina è il paese che un tempo mandava migliaia di giovani a studiare in università straniere. Oggi il flusso di stranieri che vanno a studiare in Cina supera quello dei cinesi che studiano all’estero. La Cina è il paese che in un ventennio ha costruito più infrastrutture e manufatti del resto del mondo: le reti metropolitane più estese, il numero più cospicuo di grattacieli, la ferrovia a più alta quota (sopra i 5000 metri), il sommergibile in grado di scendere alle profondità più abissali (e quindi vincere la corsa allo sfruttamento dei preziosi minerali sottomarini).
Produce un quinto di Co2 del pianeta
LA CINA È QUEL PAESE dove 300 milioni di abitanti hanno lasciato le campagne e altri 300 milioni dovranno inurbarsi presto; passeggiando in qualsiasi città si riconoscono a prima vista le facce smunte dei contadini inurbati. Ma è anche il paese dove 100 milioni di persone oggi soffrono di obesità, un tempo appannaggio dei pochi benestanti e delle statue del Buddha. La Cina è il paese che, essendo ancora dipendente dal carbone, sta investendo 750 miliardi (poco meno di quanto stanziato da Washington per salvare gli Usa dalla crisi finanziaria) per avere entro il 2020 il 15% di energia prodotta da fonti rinnovabili. Già oggi è il primo produttore mondiale di energie rinnovabili. La Cina è il paese che emette un quinto della Co2 del pianeta, in linea dunque con la sua popolazione ed esattamente quanto ne produce l’America. Con la differenza, però, che gli americani sono 300 milioni, non un miliardo e 300 milioni.
La Cina è Chongqing. Dov’è Chongqing? È la metropoli situata al centro del paese e siccome Cina si dice in cinese Zhong Guo (che significa Terra di Centro), si potrebbe dire che Chongqing sta al centro del mondo. Vale quindi la pena di visitarla, anche perché – con i suoi 32 milioni di abitanti – è la metropoli di gran lunga più popolosa della terra. Entrando in città si fa fatica a riconoscere le sue colline un tempo verdeggianti, immerse come sono in una nebbia impastata di smog; si fa fatica persino a ritrovare lo Yangtze, il Fiume Azzurro (azzurro forse un tempo) che scendendo dal Tetto del Mondo l’attraversa per poi irrigare le vaste pianure dell’Est. Fino al dopoguerra la città non aveva neppure un milione di abitanti né fabbriche né grattacieli né smog. Ecco perché Chongqing è la Cina.
La Terra di Centro, ombelico del mondo
LA CINA È IL GIGANTE dai piedi d’argilla. Quest’estate Pechino moriva di sete, mentre a sud frane alluvionali provocavano duemila vittime. Lo sversamento di petrolio nel porto di Harbin è stato un disastro senza precedenti, messo in ombra solo da quello contemporaneo nel Golfo del Messico. E tuttavia, nella fantasmagorica Expo di Shanghai, il padiglione più gettonato era l’Oil Pavilion, realizzato dalla maggiore compagnia petrolifera mondiale (che è cinese): erano migliaia i cinesi ad estasiarsi davanti agli spot sul petrolio come elemento base per produrre tutto, dalle auto al cibo. La leadership cinese è comunque cosciente dei costi ambientali che questo sviluppo comporta. Le autorità locali che s’incontrano si dicono preoccupate dell’ambiente urbano e il governo centrale comincia discretamente a frenare l’esuberanza delle imprese private restituendo fondi e potere alle imprese statali. Questa settimana il premier cinese Wen Jiabao è sbarcato in Europa. Intervenendo davanti al Parlamento greco, ha dato del suo paese una definizione lapidaria: “Una popolazione immensa, una base economica debole, una crescita squilibrata: questa è la realtà”. Mi era capitato di accompagnarlo, durante la sua precedente tournée europea, a visitare Firenze, Pisa, la Piaggio a Pontedera e il polo industriale del cuoio sull’Arno. Come tutti gli asiatici si era estasiato davanti alla Torre Pendente, ma da vero ingegnere gli interessava conoscere come se la cavavano i poli industriali toscani, noti per essere composti da una miriade di piccole industrie complementari tra loro. Ne rimase impressionato e i suoi presero molti appunti. A forza di prendere appunti, la Cina è ridiventata un impero.
Chi ha tardato ad accorgersene è rimasto penalizzato. Fra il 2001 e il 2006 – anni cruciali per la conquista del mercato cinese – tutti i governanti europei prendevano la via di Pechino una volta l’anno; Berlusconi si scomodò solo nel 2003, ma in veste di presidente del Consiglio europeo e quindi impossibilitato a tirare la volata all’imprenditoria italiana. Dovette pensarci Prodi, appena tornato al governo nel 2006, a guidare una folta delegazione confindustriale e scusarsi della miserevole battuta con cui il suo predecessore aveva irritato Pechino pochi mesi prima. Ricordate? “I comunisti cinesi non mangiavano i bambini, li bollivano per concimare i campi”.


il Fatto 8.10.10
Tiro alla Fiom, sport nazionale
Assodato che violenza è sinonimo di demenza, contro il sindacato dei metalmeccanici è in atto una campagna tesa a indicarli come squadristi: un metodo filologico che non rispetta nessun dissenso
di Paolo Flores d’Arcais


La Fiom è sotto tiro, contro l’organizzazione dei metalmeccanici e contro i suoi dirigenti è iniziata una vera e propria campagna di criminalizzazione. Siamo ormai alle velate accuse di proto-terrorismo, mentre quelle di violenza e di squadrismo si sprecano. Il pretesto sono due episodi avvenuti a Roma e a Merate (provincia di Lecco) due giorni fa. Ma il “la” era stato già dato in precedenza dal Corriere della Sera con un articolo in prima pagina di Dario Di Vico (ex dirigente della Uil ed ex vicedirettore del quotidiano) dall’appetitoso titolo “La Fiom e la strategia delle uova”, nel quale si addebitavano senza tante distinzioni a Maurizio Landini e all’organizzazione che dirige la responsabilità di “ripetuti assalti alle sedi della Cisl” (a Treviglio e a Livorno). Ora, è ben noto che “le parole sono pietre” e parlare di “assalti a sedi sindacali” significa rievocare lo squadrismo di Mussolini che devastava con gli opimi finanziamenti degli agrari gli ultimi ridotti delle organizzazioni dei lavoratori. Ma tutto quello che è stato invece imputato ai lavoratori di Treviglio, perfino secondo la ricostruzione unilaterale della Cisl, è un lancio di uova dai trenta metri di “debita distanza” cui li teneva un cordone di polizia. Quale “assalto” si possa compiere in tali condizioni è più enigmatico della sfinge. Stessa storia per l’analogo episodio a Livorno.
Quando la verità raccontata è di parte
QUANTO a Merate, “le cose sono andate in tutt’altro modo” come ha spiegato puntualmente il segretario generale della Fiom Lombardia, Mirco Rota (noto oltretutto come esponente dell’ala più moderata del sindacato): “Fosse vera l’irruzione nella sede Cisl, si tratterebbe di un atto gravissimo. Ma a Merate le cose sono andate in tutt’altro modo. Lo dicono i fatti, non la Fiom. Attorno alle 10, quattro lavoratori – tra i quali due delegati della Fiom – si sono presentati davanti alla sede della Cisl. Dopo aver preavvisato le forze dell’ordine, due di loro – sotto gli occhi della forza pubblica – sono entrati nei locali e hanno consegnato un volantino. Gli altri due sono rimasti all’esterno. La storia è finita. Non abbiamo altro da aggiungere, se non il nostro profondo dissenso verso qualunque forma di protesta non civile, sbagliata e dannosa”.
A Roma, poi, l’estraneità della Fiom alle scritte che hanno imbrattato la sede Cisl è addirittura conclamata, visto che tali scritte sono firmate “Action diritti in movimento” (sigla enigmatica, ma certamente non Fiom) e che Maurizio Landini ha condannato “con la più netta contrarietà gli episodi di intolleranza che hanno interessato sedi della Cisl”. (Poiché, aggiungiamo noi, ogni gesto di violenza è demenza).
Perché allora questa insistenza insensata – attenendosi ai fatti – sul clima di violenza e squadrismo che verrebbe alimentato dalla Fiom? In realtà, il motivo per cui è iniziata la campagna di criminalizzazione contro il sindacato metalmeccanico era stato “confessato” nell’articolo di Di Vito: i dirigenti Fiom sono refrattari a piegarsi alle “relazioni industriali orientate alla collaborazione”,nelsensopreteso da Finmeccanica e Confindustria secondo il ben noto e anticostituzionale diktat Marchionne.
Ecco perché Landini, Cremaschi e gli altri dirigenti Fiom vengono accusati di “surriscaldare la temperatura in fabbrica”, come se non fossero Marchionne e Sacconi e la loro politica selvaggiamente anti-operaia a far salire la tensione. Ecco perché vengono accusati di voler impedire che si firmino i contratti di altre categorie, come se non si trattasse esattamente dell’opposto: la Fiom non rifiuta né la contrattazione né il suo esito positivo (un sindacato fa questo per mestiere), rifiuta invece che l’esito delle prossime vertenze segni un arretramento delle condizioni dei lavoratori di oltre mezzo secolo, arretramento tale da far rimpiangere addirittura la politica anti-sindacale dell’ingegner Valletta. Quanto all’accusa contro la Fiom di “presentare Raffaele Bonanni come il nuovo campione del sindacalismo giallo”, nonsonocertoidirigentimetalmeccanici a farlo, sono semmai molti lavoratori a pensarla così.
La criminalizzazione secondo Di Vico
INFINE la Fiom va criminalizzata perché, come sottolinea Di Vico, sta diventando il punto di riferimento e di aggregazione di altri settori sindacali, anche non operai, quello del pubblico impiego e soprattutto quello della scuola. Insomma, la Fiom va criminalizzata perché potrebbe diventare il modello di un sindacato che lotta, pensate un po’! Eppure proprio di questo hanno bisogno i lavoratori, le cui condizioni salariali e normative hanno conosciuto un peggioramento tragico proprio mentre cricche di grassatori e di evasori prosperano con redditi (illegali) a sei zeri. Proprio di questo, anzi, ha bisogno l’intero Paese.
Infine, non è certamente un caso – anzi è una sincronia evidente – che la campagna di criminalizzazione del sindacato di Maurizio Landini (“che fa rima con la vecchia segreteria di Rinaldini”, accusa Di Vito, come se Rinaldini non fosse ancor oggi il miglior candidato alla segreteria generale della Cgil, come se il passaggio dalla segreteria Fiom a quella Cgil non fosse stata la norma in tutti i decenni della “grandezza” del sindacato fondato da Di Vittorio) si apra quando mancano pochi giorni alla manifestazione Fiom del 16 ottobre a Roma, attorno a cui si sta mobilitando – per la liberazione dal regime di Berlusconi-Marchionne e per la realizzazione della Costituzione – l’intera società civile, dai cristiani di base ai precari della scuola, dalle associazioni antimafia ai gruppi viola. Una manifestazione a cui hanno aderito Altan e Tabucchi, Sabina Guzzanti e Ascanio Celestini, Moni Ovadia e Corrado Stajano, Sonia Alfano e Luigi De Magistris, Furio Colombo e Pancho Pardi, Gianni Vattimo e Lidia Ravera, Giorgio Parisi e Carlo Lizzani, Giuliano Montaldo e Valerio Magrelli, per non parlare di don Mazzi, don Farinella, don Barbero, don Fiocchi, don Sudati, don Fiorini, don Antonelli...
La Fiom non è affatto isolata. Sono anzi certo che la mobilitazione dell’Italia civile accanto e in sinergia con la Fiom crescerà ancora, anche per rispondere alla criminalizzazione di cui viene fatta oggetto.


l’Unità 8.10.10
Martin Lutero, che gettò le basi della laicità
Al padre della Riforma protestante, che visitò Roma nel 1510, la capitale dedica due giornate e forse pure una strada...
di Roberto Monteforte


Celebrare Martin Lutero a Roma, nella città del Papa, la capitale della cattolicità. Quello che forse sino a ieri era impensabile, ora è possibile. Non per provocazione, ma quasi a sottolineare l’apertura al confronto della capitale. L’occasione è un anniversario: i cinquecento anni della visita del padre della Riforma protestante a Roma, avvenuta nel 1510. Due e non a caso distinti i momenti per ricordarlo. Quello «laico», legato all’attualità del suo pensiero, si terrà lunedì 11 ottobre presso la sala della Protomoteca in Campidoglio. Il secondo, invece, religioso, sarà la celebrazione ecumenica e intereligiosa prevista per il 31 ottobre presso il Tempio valdese di piazza Cavour. Data non casuale: è quella in cui Lutero presentò le sue 95 tesi ed è considerata la nascita della Chiesa Luterana.
L’UTILE ERESIA
Non deve stupire che in tempi come questi, in una Europa che ricerca la sua anima, ci si interroghi sul contributo dato dal teologo «eretico» per eccellenza alla costruzione dell’identità dell’uomo contemporaneo. Non si devono forse anche al suo insegnamento quella separazione tra Stato e Chiesa, quell’affermazione della libertà religiosa e di coscienza che è alla base della moderna idea di laicità? Lo chiarisce il teologo e storico valdese Paolo Ricca che ieri con Dora Bognandi della Chiesa Avventista, il pastore luterano Jens-Martin Kruse e la coordinatrice dell’iniziativa «Lutero a Roma», Anne marie Dupré con il direttore della rivista Confronti, Gian Maria Gillio, ha presentato l’iniziativa. La mattina incontro con gli studenti. Nel pomeriggio confronto sull’attualità del suo pensiero.
L’obiettivo è guardare all’oggi. Non solo approfondire il valore storico della proposta di Lutero, che portò «alla frattura della cristianità occidentale», alla nascita delle Chiese riformate e ad una stagione di radicale cambiamenti anche nella Chiesa di Roma, con il Concilio di Trento e con la Controriforma. Il teologo Ricca attualizza la provocazione di Lutero. Invita ad interrogarsi su cosa posa rappresentare oggi «la buona notizia cristiana». Su cosa si costruisce «attorno a questo annuncio di verità e di libertà». È un invito a riavviare il confronto ecumenico osserva fattosi negli ultimi anni più difficile. «Non vi è più alcun tavolo nazionale dove confrontarci con la Chiesa italiana. E non si aiuta l’ecumenismo quando ciascuno pretende di parlare per tutti». I temi da approfondire non mancano dal fine vita, all’aborto, all’educazione religiosasu cui verificare convergenze o dissensi.
L’appuntamento «Lutero a Roma» dovrebbe servire anche a questo. A riconoscere quanto la cultura contemporanea, l’idea stessa di laicità, sia debitrice nei confronti del monaco agostiniano. Per questo le Chiese della Riforma hanno chiesto all’amministrazione capitolina di intitolare una strada a Martin Lutero.


l’Unità 8.10.10
Telecom e Mondadori: ecco la prima libreria digitale
di Maria Serena Palieri


Si chiama «Bibletstore» e, con 1.200 titoli, è da ieri sera la prima libreria digitale italiana online (fatta salva la sperimentazione in chiave gratuita avviata in agosto da BookRepublic). Con una particolarità: parte con 1.200 titoli tutti rigorosamente Mondadori (cioè oltre Mondadori Piemme, Einaudi e Sperling & Kupfer) 800 di catalogo e 400 novità, compreso il neo-uscito ultimo Ken Follett. E un’altra particolarità: a idearla e gestirla è Telecom Italia. L’annuncio ieri, in gran spolvero, alla Buchmesse, presenti per Telecom Franco Bernabè e per il gruppo di Segrate il vice ad Maurizio Costa.
Bibletstore in senso tecnico offre nell’ordine una piattaforma di caricamento, un data-base, un back-office di gestione e un sistema per proteggere i diritti di autori ed editori. In senso gestionale la possibilità di raggiungere i clienti senza passare per librerie stile Amazon e determinando in proprio prezzi e scelte commerciali. E con una facilitazione in più: la possibilità di pagare l’ebook tramite scheda telefonica. Di qui a Natale, poi, il lancio di «canali tematici», prime modalità nuove di coinvolgimento coi lettori-clienti. Tramite lo «store» i libri in formato digitale saranno scaricabili su qualunque «device». Ma qui si fa anche l’annuncio dell’uscita sul mercato, in tempi ravvicinati, di un «tablet» Olivetti, tutto italiano.
L’alleanza strategica Telecom-Mondadori (dobbiamo ricordarlo? Il gruppo editoriale del presidente del Consiglio) alla vigilia dell’annuncio suscita orticaria nella santa alleanza Gems-Rcs-Feltrinelli unita per la piattaforma digitale Edigita. Ma Bernabé butta acqua sul fuoco: «Bibletstore è per tutti, per chi voglia accedere al servizio» dice. Intanto Gems annuncia che già dal prossimo 18 ottobre saranno online i primi titoli (700 entro Natale). Tra gli autori che distribuirà con Edigita Altan, Gianni Biondillo, Catherine Dunne, Nick Hornby, Arundhati Roy.

Corriere della Sera 8.10.10
Se la famiglia diventa una trappola
Di Vittorino Andreoli

La famiglia è diventata il luogo della violenza, dove dominano le pulsioni, gli istinti e non le regole, come se un luogo di pace e persino il nido che i poeti chiamavano dell’amore non ne avessero bisogno. Il pozzo dell’orrore nel quale ci ha portato la triste vicenda di Sarah, la ragazza assassinata dallo zio, riapre una questione cruciale del nostro tempo. Perché la famiglia ha dimenticato regole e riti e si è trasformata in un insieme caotico in cui non ci sono ruoli, ma domina un padrone violento che insidia una nipote, o una figlia, dove la donna è diventata una vittima che deve accettare ogni sopruso per arginare il rischio di farsi preda, colpita sul piano psicologico prima e poi nel corpo dominato dalla violenza che è una forma di potere e di padronato.
Penso sempre all’abitudine che porta a togliersi, appena entrati in casa, la giacca elegante, la cravatta delle occasioni importanti e indossare una casacca qualsiasi, sgualcita e priva di forme, come se il sacerdote salisse l’altare in tuta invece che con la pianeta antica e sacra. I rituali servono a controllare il nostro comportamento. E altrettanto fa la cultura. Aveva ragione Vico quando vedeva lo sviluppo dell’umanità nel passaggio dagli istinti alla cultura che nella sua espressione più semplice percepiva come un insieme di regole per vivere insieme rispettandosi.
Oggi ritorna il selvaggio che gli antropologi pensavano chiuso nell’archeologia e che invece si è rifatto cronaca. E se per diventare persone e formare insiemi civili e animati dal rispetto servono epoche storiche, basta una generazione per regredire, per ritornare a stadi che sanno di primitivo. Non si può non lamentarsi del ruolo che la cultura ha nella nostra società, è vista come qualcosa di inutile poiché il potere sembra non averne bisogno e allora i potenti la deridono e giungono a esibire la propria animalità. E basterebbe valutare con un poco di critica la nostra televisione, la nostra politica e il livello in cui è tenuta la scuola che dovrebbe essere il luogo in cui si insegna a vivere. Non c’è dubbio alcuno che un segno della cultura lo si legge nel significato che una società attribuisce alla donna, tolta dagli oggetti della sessualità e posta nel rango di madre e di educatrice. Mentre oggi viene esibita come corpo e come corpo volgare, usata per la pubblicità dell’auto poiché la si usa e la si guida e poi la si ficca nel garage pronta a partire quando si vuole. Certo l’antropologia è piena di storie di donne ridotte a oggetti del piacere, ma si tratta di una antropologia pulsionale che dovrebbe essere superata dalla conquista culturale. Oggi assistiamo invece ad un aumento di delitti in famiglia che non sono solo da attribuire al bisogno di violenza dei mass media e alla loro spettacolarizzazione. Tra il numero di omicidi che nel nostro Paese sono stabili (intorno a 1400-1500 l’anno) quelli dentro la famiglia sono aumentati di 4-5 volte e mostrano che la famiglia è un luogo di massacro con vittima la donna che diventa ancora una preda delle pulsioni, della sessualità. E in questa prospettiva ogni donna perde tutte le proprie specificazioni e una figlia o una nipote non ha nulla di distinto da una donna di strada, e non di casa, anzi quella che si ha a portata di mano è privilegiata, perché non costa nulla. E il dominio giunge fino a uccidere, segno che l’oggetto appartiene totalmente al padrone e non è altro se non il proprio oggetto di cui si può fare di tutto fino a buttarlo in un pozzo.
La famiglia è agonizzante, non ha più un’anima, manca di quel senso dell’appartenenza che è un legame sentimentale. E i sentimenti danno sicurezza, mentre ormai ci sono figlie che non riescono a stare tranquille proprio a casa loro e temono di venire aggredite, e vogliono scappare e non sanno dove andare. Dove va una adolescente, una madre che subisce violenza con continuità e che sente addosso la paura dentro casa? Tende ad accettare tutto senza opposizione favorendo così la propria condizione di vittima designata che si immola sull’altare della casa.
Il nostro Paese era un esempio della forza dei legami familiari e ora una simile affermazione appare persino paradossale. Quel legame è diventato una trappola poiché abbiamo meno forza di staccarci dalla famiglia anche quando sa di violenza e di pericolo, proprio perché l’abbiamo innalzata a luogo della nostra identità. Siamo il Paese in cui si fanno sacrifici enormi per la casa, perché divenga una proprietà e poi la usiamo come calvario per le donne, poiché occorre dirlo sono le donne a morire di casa e di famiglia. L’asimmetria è netta, è l’uomo selvaggio a uccidere, il cacciatore di prede umane. La casa come serraglio. Lo so bene che ci sono famiglie diverse, per bene, ma non ci si può consolare in nessuna maniera quando le cronache sono piene di donne stuprate e poi buttate via come oggetti consumati. Il consumo dei sentimenti e degli attaccamenti.
È tempo di fare della crisi familiare un tema di cultura, di impegno sociale. Ci troviamo nel corso di una regressione rapidissima in cui si stanno perdendo le conquiste fatte in tempi lunghi. Non sentiamo nemmeno più la Chiesa parlare della famiglia come di un principio che sa persino di cielo, occorre svegliare uno Stato che sta delirando su questioni ridicole mentre nessuno si occupa di emergenze. È difficile quando la violenza sa di morte come in questi giorni, ricordare che oltre ad una violenza del corpo esiste quella della personalità che può ferire senza una goccia di sangue. Ed esiste anche una violenza sociale che impedisce di avere un ruolo e di mostrare una dimensione umana, chiusi o abbandonati nella solitudine dentro il numero sempre più vasto dei «nessuno». La violenza e la paura sono le vere emergenze del tempo presente.