giovedì 7 ottobre 2010

Agi 7.10.10
Sarah: Fagioli, non è un caso speciale, montato per coprire altro

(AGI) - Roma, 7 ott. - Non e' un caso speciale, particolare ed eccezionale: e' diffusissimo da tempo in ambito familiare. C'e' qualcosa di nuovo? Non mi pare, casi del genere accadono spesso e quando non accadano e' perche' la donna tace. Semmai c'e' una montatura di esso, per coprire altre efferatezze: lo scandalo della pedofilia, con gli abusi di tanti bambini anche da parte dei preti. Lo afferma lo psichiatra Massimo Fagioli, per il quale l'assassino della giovane Sarah, il vecchio zio materno, e' tutto sommato "una persona normale, tranquilla, lucida, con un rapporto con la realta' materiale, cose ed oggetti, preciso, ma alterato con la realta' umana". Anzi, per come sono andate le cose, "direi pure intelligente ma - chiosa - criminale per la ferocia dell'atto". Quel che lo psichiatra stigmatizza e' 'l'eccesso di interesse' per un caso, uccidere una donna se si rifiuta, ripetutosi da diversi anni e quasi ogni giorno. "La montatura di questo caso mi pare evidente e serve a nascondere e negare ben altri casi di efferatezza: abusare di bambino per me e' l'atto piu' orrendo che ci sia", conclude.


l’Unità 7.10.10
L’intervista
Marc Augé: «Rendiamo eterno il presente per paura del futuro»
L’antropologo francese parla del «nontempo» che caratterizza la nostra epoca e dei rischi di una società globale divisa in classi che ci porterà verso una pericolosa «oligarchia planetaria» piena di disuguaglianze
di Flore Murard-Yovanovitch


Immigrazione e Rom
«Non esiste una “questione Rom”, ma una cattiva accoglienza dei Rom. Quanto alla multietnicità è un fenomeno naturale»
L’ultimo suo appuntamento italiano è stato il Festival della Filosofia svoltosi il mese scorso a Modena Carpi e Sassuolo. Ma non sono i «luoghi» a interessare Marc Augé, e neanche il tempo... Al «nonluogo», il neologismo da lui coniato nel ’92, ha ora aggiunto il «nontempo», ovverosia il presente eterno che caratterizza questa nostra epoca recente. Abbiamo incontrato il celebre antropologo francese in un nonluogo e nel nontempo per chiedergli uno sguardo sulla costruzione di un’Europa multietnica, sulle attuali reazioni di xenofobia che Francia e Italia hanno in comune e sul tema della diversità.
Professor Augé, cominciando dal presente, che fine ha fatto l’idea di uguaglianza nella società contemporanea?
«A livello globale c’è più ricchezza, ma non funziona il meccanismo di redistribuzione e il divario tra ricchi e poveri sta aumentando in modo vertiginoso. La società globale verso cui andiamo è irriducibilmente divisa in classi. Non puntiamo, perciò, verso una “democrazia planetaria”, come pensa Fukuyama, bensì verso una “oligarchia” planetaria... Con il rischio di una disuguaglianza inimmaginabile oggi, perché riguarda soprattutto la conoscenza, tra quelli che saranno alla punta del sapere e quelli chiusi in una permanenza del non sapere».
Ma c’è ancora un futuro, visto che nel suo recente libro «Che fine ha fatto il futuro?» parla del «nontempo» che sarebbe davanti a noi? «Oggi c’è una sorta di ideologia del presente, si parla molto meno del “tempo”. Siamo accerchiati da strumenti di comunicazione che ci bombardano di messaggi e di immagini. C’è una istantaneità che, combinata alla sovrabbondanza visiva, dà l’impressione di essere rinchiusi dentro una specie di presente “artificiale”, eterno». Dalle sue parole sembra che siamo condannati all’«eterno ritorno dell’uguale» di nietzschiana memoria...
«È solo una impressione, che corrisponde alla nostra paura del futuro. Anche se la storia e la scienza vanno avanti velocemente, c’è come una sorta di rifiuto del presente. Abbiamo la coscienza che il pianeta è fragile, i nostri sogni di benessere non si realizzano, non c’è uguaglianza sociale e la storia è violenta. Ne sembriamo sorpresi,
allorché la storia è sempre stata violenta». Come spiega che, nonostante il suo tragico passato di nazismo e fascismo, in Europa stiano riapparendo discorsi e atti xenofobi?
«C’è una crescita dei movimenti di estrema destra in Europa occidentale e nei paesi ex comunisti, come avevo già segnalato anni fa. L’Occidente ha una sua reazione di paura, ma non è l’unica, anche altri sono violenti. Ci sono ideologie mortifere nell’ombra, situazioni di tensione che purtroppo possono essere facilmente strumentalizzate».
A questo proposito, esiste una reale «questione Rom» o è una costruzione mediatica e politica? «Non c’è un “problema Rom”, ma una questione di cattiva accoglienza dei Rom. Le strutture abitative non sono all’altezza, non hanno nemmeno decenti connessioni energetiche di base. Invece ci sarebbero cospicui finanziamenti europei per creare una degna politica di integrazione, ma essi sono sottoutilizzati e persino non utilizzati dai governi. D’altro canto, è una questione fittizia, dal momento che i rumeni sono comunitari, liberi di tornare quando lo desiderano, e che in Francia, i due terzi della cosiddetta “gente del viaggio” sono cittadini francesi. L’argomento, almeno nel mio Paese, è bassamente elettorale, in vista delle prossime elezioni».
Ma in Europa c’è, in generale, un attacco all’essere umano diverso, all’immigrato... «L’Europa è cambiata molto con l’immigrazione, è in corso un inedito rinnovamento della popolazione. Basta scendere nella metro parigina e la multietnicità salta agli occhi. Ma solo quando ci sono crisi o incidenti, si parla, e in termini negativi, della diversità... Quando invece si potrebbe riconoscere come essa sia “accaduta” in modo del tutto naturale e con una positività dei nuovi rapporti interculturali. Non sono convinto, d’altronde, che il fenomeno di rifiuto del diverso sia maggioritario.
Con questi presupposti, quale rivoluzione culturale e politica è auspicabile? «L’espressione “rivoluzione culturale” è troppo connotata storicamente. Fermo restando che la nozione di cultura e quella di rivoluzione dovrebbero essere sinonimi. La cultura dovrebbe essere sempre critica se non rivoluzionaria. La cultura non è lo specchio dell’esistente ma la sua disamina, la sua messa in causa; dovrebbe essere attenta, vigile. La cultura non è apolitica. E la politica, come la morale, dovrebbe ispirarsi alla scienza, che è il contrario della ideologia: fondarsi sullo stesso spirito della ricerca, prospettare ipotesi, cercare soluzioni anche provvisorie, formulare idee nuove, senza basarsi sui modelli del passato. Per questo faccio anzi l’elogio del futuro».

Chi è. Lo studioso che ha «inventato» il nonluogo
MARC AUGÉ

Già Directeur d’études presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, dopo aver contribuito allo sviluppo delle discipline africanistiche ha elaborato un’antropologia della pluralità dei mondi contemporanei attenta alla dimensione rituale del quotidiano e della modernità. Ha inoltre focalizzato la sua attenzione su una serie di esperienze contemporanee che attraversano la progettazione urbanistica, le forme dell’arte contemporanea e l’espressione letteraria. Tra le sue opere tradotte di recente: «Rovine e macerie» (Torino 2004); «Perché viviamo» (Roma 2004); «Tra i confini. Città, luoghi, interazioni» (Milano 2007); «Il mestiere dell’antropologo» (Torino 2007); «Il bello della bicicletta» (Torino 2009); «Il metrò rivisitato» (Milano 2009); «Che fine ha fatto il futuro? Dai non luoghi al nontempo» (Milano 2009). È componente del Comitato Scientifico del Consorzio per il festivalfilosofia.

Un etnologo nel metrò Pensieri sulla mobilità
Tra le ultime pubblicazioni in Italia di Marc Augé, due libri sulla «mobilità»... «Per un’antropologia della mobilità» (pagine 91, euro 12, Jaca Book), nel quale si occupa del concetto di frontiera, da ripensare nel mondo globale restituendone il significato profondo, quello di «passaggio» (e non sbarramento) e, metaforicamente, di avvenire e speranza. «Un etnologo nel metrò» (pagine 108, euro 12, Eleuthera) è uno studio sugli utenti del metro di Parigi: storie individuali (di individui che passano dalla vita familiare alla vita professionale, dal lavoro al tempo libero) e collettive che si sfiorano, si sovrappongono,

l’Unità 7.10.10
Il tribunale di Firenze solleva il dubbio di incostituzionalità dopo il ricorso di due piemontesi
Il governo: difenderemo noi la legge 40. Sacconi cita il premier: «Magistrati ideologizzati»
Fecondazione eterologa «La legge torni alla Consulta»
La legge sulla fecondazione assistita è già stata bocciata dalla Corte sull’impianto di tre embrioni insieme. Il Pd: normativa ideologica e da cambiare. Roccella: vogliono che torni il Far West.
di F. Fan.


La Legge 40 sulla fecondazione assistita torna al vaglio della Corte Costituzionale. Un anno fa la Consulta si era già pronunciata abrogando il divieto di impianto contemporaneo di tre embrioni e di crioconservazione degli stessi. Adesso la prima sezione del tribunale civile di Firenze ha sollevato il dubbio di costituzionalità per la parte che vieta la fecondazione eterologa (con ovuli o seme di donatore esterno alla coppia).
Il governo fa quadrato intorno alla legge 40, voluta e approvata dal centrodestra nel 2004 e sopravvissuta al referendum: «La difenderemo» annuncia il ministro della Salute Fazio, mentre per il titolare del Lavoro Sacconi «c’è il timore che alcuni settori ideologizzati della magistratura cerchino rivalsa». Tesi condivisa dal sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella: «Tribunali invasivi, vogliono smantellare la legge e tornare alla deregulation». Per il ciellino Maurizio Lupi «c’è un giudice a Firenze», ma non è un bene. Per Paola Binetti (Udc) si vuole «sovvertire il sistema delle regole democratiche».
Al contrario, Pd e IdV denunciano una «legge ideologica» e da rivedere. Bersani depreca che l’esecutivo «bastoni» le toghe che si muovono nel solco della Costituzione.
Marino replica alla Roccella che «il Far West c’è già» dato che chi può va all’estero per aggirare i divieti, e invita a riaprire il dialogo «senza tabù». Contrari a revisioni, nel Pd, Grassi, Bosone e Baio. Fiduciosi sull’esito del ricorso sono i medici-pionieri Antinori e Flamigni. E sulla coincidenza con il riconoscimento arrivato al padre della Fivet Robert Edwards scherza Paolo Ferrero: «La decisione fiorentina merita il Nobel».
I ricorrenti sono una coppia piemontese, impiegati di 35 e 37 anni. Lui soffre di azoospermia per terapie ricevute durante l’adolescenza: l’unica chance è offerta dall’utilizzo di materiale genetico altrui. Dopo sei tentativi a Lugano, Praga e Barcellona, hanno deciso di reagire. Si sono rivolti all’Associazione Luca Coscioni che li ha seguiti, tramite gli avvocati Gianni Baldini e Filomena Gallo. I due legali hanno sollevato rilievi accolti dal giudice fiorentino di «manifesta irragionevolezza del divieto assoluto di eterologa per l'evidente sproporzione mezzi-fini» e di «illegittima intromissione del legislatore in aspetti intimi e personali della vita privata».
Il punto di svolta arriva ad aprile di quest’anno. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo accoglie il ricorso di due coppie austriache che lamentavano una discriminazione (rispetto a coppie con sterilità meno gravi e risolvibili all’interno della coppia) e un’intromissione in aspetti fondamentali della vita privata quali le scelte procreative. I giudici lussemburghesi condannano l’Austria ad abrogare il divieto. Il ragionamento degli avvocati, dato che l’Italia ha ratificato la convenzione Ue dei Diritti umani, è che i principi di diritto contenuti nelle sentenze della Corte europea abbiano valore anche nel nostro Paese. Addirittura, fanno notare Baldini e Gallo, secondo il Trattato di Lisbona (anch’esso firmato dall’Italia), tali decisioni sarebbero direttamente applicabili senza bisogno della mediazione di un organo giudiziario nazionale.
Si attende il responso. La Legge 40 è già stata sconfessata in più parti dai magistrati. Dopo l’eliminazione dell’obbligo di impianto di 3 embrioni, considerato pericoloso per la salute della donna e del feto, restano irrisolte altre questioni. La diagnosi preimpianto necessaria per individuare malattie genetiche o ereditarie è stata bocciata ma al riguardo servono nuove linee guida. Se la Consulta confermasse i dubbi rispetto alla fecondazione eterologa, un altro pilastro della legge verrebbe a cadere.

il Fatto 7.10.10
La vita della legge 40 decisa dalla Corte costituzionale
di Wanda Marra


“Abbiamo    tentato per due anni. E per caso abbiamo scoperto che il problema di mio marito la mancanza di spermatozoi ci avrebbe impedito di avere figli”. A parlare è E. G., impiegata piemontese, architetto di 38 anni. È la protagonista, con il marito, M. C. di 34 anni, dell’ultimo, significativo, caso legato alla legge 40, che regola la procreazione assistita, in vigore dal 2004 e tornata in auge dopo le critiche del Vaticano al Nobel per la Medicina Edwards.
I DUE PIEMONTESI dopo aver percorso il “calvario” ormai condiviso da molte coppie sterili italiane, con i viaggi della speranza all’estero (sei i tentativi falliti in Svizzera e a Praga) e dopo essersi visti negare la fecondazione eterologa da un centro fiorentino, si sono rivolti all’Associazione Luca Coscioni, e agli avvocati Filomena Gallo e Gianni Baldini, che hanno presentato ricorso al Tribunale di Firenze. Con sentenza depositata ieri i giudici hanno deciso di sollevare il caso di fronte alla Corte costituzionale, che a questo punto dovrà riesaminare il testo.
Una legge controversa, la 40, che ha resistito anche a un referendum abrogativo con 4 quesiti e che è oggetto di una guerra giuridica, a colpi di ricorsi e sentenze della Corte costituzionale. Considerata da molti una “legge ideologica” (come ha ribadito ieri la piddina Livia Turco), anticostituzionale, oscurantista e di fatto lesiva della salute della donna, ha tra i punti cardine, il fatto che il ricorso alla procreazione assistita è consentito solo “qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità”. Proibisce, oltre alla fecondazione eterologa (cioè quella ottenuta con ovuli o seme non appartenenti alla coppia), “qualsiasi forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti” (passaggio tra più dibattuti dell’intero provvedimento, poiché vieta alle coppie, comprese quelle con malattie genetiche ereditarie, la diagnosi pre-impianto per stanare eventuali problemi del nascituro) e il congelamento degli embrioni. E imporre che gli embrioni prodotti (fino a un massimo di 3) vengano impiantati contemporaneamente, anche se malati.
“Violazione degli articoli 3 e 11 della Costituzione italiana, relativi rispettivamente al diritto di non discriminazione e all'obbligo di recepire il diritto comunitario”, le motivazioni della sentenza del Tribunale di Firenze. Ha spiegato Baldini: “Il giudice ha riconosciuto le istanze mosse dalla coppia, dopo aver rilevato profili di manifesta irragionevolezza del divieto assoluto di Pma eterologa per l’evidente sproporzione mezzi-fini; e di illegittima intromissione del legislatore in aspetti intimi e personali della vita privata. Questo pronunciamento, inoltre, ha a che fare anche con il Trattato di Lisbona, nel quale si afferma che le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo sono direttamente applicabili nel nostro ordinamento”.
IN REALTÀ, LA LEGGE 40 da quando è entrata in vigore è stata messa in discussione da ricorsi e sentenze pezzo per pezzo. In particolare, quello di ieri è il secondo rinvio alla Consulta, sempre del Tribunale di Firenze, che già due anni fa si rivolse ai giudici costituzionali i quali accolsero il rilievo eliminando l’obbligo di produzione di soli tre embrioni in ogni ciclo di fecondazione, l’obbligo del loro contemporaneo impianto, e annullando anche il divieto di congelamento degli embrioni in sovrannumero.
La sentenza ha riaperto anche il dibattito politico. Il Pdl ha parlato addirittura di tradi “disprezzo della volontà popolare”, facendo riferimento al fallimento dei referendum. Sulla procreazione "c’è una legge e va rispettata", ha affermato il ministro della Salute Ferruccio Fazio, mentre il sottosegretario Eugenia Roccella parla di rischio di “deregulation” e di un “ritorno al Far West” della procreazione. Rincara il ministro del Welfare Maurizio Sacconi per il quale “non si può entrare nella logica della selezione della specie”. L'Osservatore Romano, poi, interviene affermando il no alla “corsa al ribasso” innescata dalle tecniche di fecondazione artificiale, e indica il vero problema nella “prevenzione della sterilità”, spesso dovuta a un errato stile di vita e all’aumento dell’età media in cui le donne fanno figli.
Di segno opposto le reazioni del centrosinistra: La presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro, rileva che “il Far West c’è già ed è causato proprio dalla legge 40”. Ignazio Marino (Pd) e Ignazio Palagiano (Idv) chiedono un cambiamento urgente delle legge. E intanto altre 5 coppie hanno annunciato il ricorso in Tribunale contro il divieto dell’eterologa.

Repubblica 7.10.10
Umberto Veronesi, oncologo e senatore Pd: tutelare la capacità di autodeterminazione
"Per un figlio è giusto avere la libertà di ricorrere a tutti i mezzi disponibili"
Un bambino è tuo in quanto lo hai desiderato è allevato, il patrimonio genetico non c´entra con l´amore
di Carlo Brambilla


MILANO - «Penso che un figlio sia tuo figlio in quanto lo hai desiderato e lo hai allevato. Il patrimonio genetico non è rilevante ai fini dell´amore genitoriale» Umberto Veronesi, oncologo e senatore del Pd, impegnato da anni sui temi della laicità della scienza, commenta favorevolmente la decisione del Tribunale di Firenze che ha sollevato il dubbio di costituzionalità sulla norma della legge sulla fecondazione artificiale con la quale si vieta la fecondazione eterologa.
Nel caso di cui si è occupato il Tribunale di Firenze, i coniugi chiedevano una fecondazione eterologa, perché l´uomo soffre di mancanza di spermatozoi.
«Nel caso specifico della coppia di Firenze ci troviamo di fronte a una condizione umana obiettivamente drammatica perché il compagno è un uomo perfettamente sano a cui alcune cure nell´infanzia hanno bloccato la spermatogenesi, cioè la capacità di produrre spermatozoi. Penso sia giusto che, in mancanza di una capacità procreativa si possa ovviare al problema con una fecondazione eterologa. Anche perché con una fecondazione di questo tipo il 50% del dna appartiene comunque a uno dei genitori».
Il divieto di fecondazione eterologa è una invasione della legge nella sfera delle libertà personali?
«Sì. La Corte Europea dei Diritti dell´Uomo si è espressa in questo senso. Prima di tutto il legislatore europeo difende l´autonomia decisionale della coppia e la capacità di autodeterminazione delle persone. Se una coppia lo vuole deve poter ricorrere ai mezzi disponibili. E sicuri per la salute della mamma e del bambino».
Cosa pensa delle prese di posizione contrarie del Vaticano?
«Che il Vaticano abbia sollevato polemiche è comprensibile e legittimo, perché il loro obiettivo è diffondere il credo cristiano. E chi crede che la vita sia dono e proprietà di Dio non può ricorrere a metodi anticoncezionali né a metodi di procreazione assistita. Ma questo riguarda, appunto, i fedeli. Chi non crede o aderisce ad altre religioni o anche chi ritiene in coscienza di non infrangere alcuna regola ricorrendo alla donazione di ovuli dovrebbe avere il diritto di poterlo fare».

Repubblica 7.10.10
Sei anni di battaglie e sentenze così la legge è stata smantellata
Dalla diagnosi pre-impianto agli embrioni congelati, quanti pezzi persi per strada
di Maria Novella De Luca


ROMA - Sei anni di battaglie e di ricorsi. Di bimbi nati e di altri attesi invano. Di coppie con la valigia sempre pronta per viaggi della speranza nelle cliniche della fertilità. Di donne e uomini affetti da malattie genetiche esclusi dalla possibilità di diventare genitori. Ora che il divieto di fecondazione eterologa, ultimo cardine della legge 40 sulla procreazione assistita approvata il 19 febbraio del 2004, verrà sottoposto alla Consulta, l´intera legge appare come bombardata, di fatto priva di senso e di autorità. A forza di sentenze di tribunali civili, tribunali regionali, e soprattutto di pronunciamenti della Consulta, tutti gli articoli più contestati sono stati via via smantellati.
Approvata dopo una battaglia più politica e ideologica che scientifica, la legge è stata poi confermata dal referendum del 2005, che doveva abrogarne alcuni articoli, ma non è riuscito a raggiungere il quorum. Ed è iniziata allora, nel 2005, la battaglia legale, così come avevano promesso le associazioni. «Faremo una valanga di ricorsi in nome di tutte le coppie sterili, discriminate da questa legge». Sia nelle aule dei tribunali che con atti di vera e propria disubbidienza civile. Ed è stata una donna sarda, Simona, affetta da talassemia, a compiere nella primavera del 2005 la prima azione di resistenza. Simona rifiuta di farsi impiantare gli embrioni che aveva prodotto con una fecondazione assistita, violando l´articolo della legge che prevedeva l´obbligatorietà. «Chiedo di fare la diagnosi pre-impianto, altrimenti rischio di mettere al mondo un bimbo malato». I ginecologi dell´ospedale Microcitremico di Cagliari sono costretti a congelare gli embrioni. Nel settembre del 2007 Simona vince la sua battaglia, e il tribunale del capoluogo sardo ammette la diagnosi pre-impianto sugli embrioni, pur in presenza del divieto della legge 40.
Migliaia di coppie intanto "migrano" ovunque nel mondo pur di riuscire ad avere un bambino. La Spagna è la meta preferita, ma i paesi dell´Est inaugurano il low cost della fecondazione, in una corsa, spesso pericolosa, al ricchissimo business della procreazione. Intanto aumentano i ricorsi di coppie che chiedono di poter congelare gli embrioni, di non doverli impiantare tutti e tre, e di accedere alla fecondazione eterologa. Nel 2008 il ministro della Salute Livia Turco vara delle nuove linee guida: è una piccola rivoluzione. Pur nelle strettissime maglie della legge 40 la Turco introduce un´apertura alla diagnosi pre-impianto e ammette il ricorso alle tecniche per le persone affette da Hiv o epatite C. Avvocati e coppie, medici e costituzionalisti, insieme ad associazioni come Hera di Catania, Amica Cicogna e Luca Coscioni, si costituiscono in vere e proprie class action contro la legge.
Nell´aprile del 2009 arriva la spallata più forte: la Consulta dichiara incostituzionali gli articoli che riguardano il divieto di crioconservazione degli embrioni, il divieto di congelarli, e la diagnosi pre-impianto. In moltissimi centri si ricominciano ad eseguire le tecniche vietate da oltre 5 anni. Un anno dopo, siamo ormai allo scorso inverno, si ricostituisce la class action contro l´articolo 4, ossia il divieto di fecondazione eterologa. Il 21 maggio del 2010 è tribunale di Strasburgo a pronunciarsi: «La fecondazione eterologa è un diritto», dicono i giudici europei. Poi le date incalzano: pochi giorni fa Robert Edwards, inventore della fecondazione in vitro riceve il Nobel per la Medicina. La Chiesa insorge, tuona contro l´etica violata. Ieri infine il tribunale di Firenze che rinvia la parola alla Consulta. Che dovrà ora pronunciarsi sull´articolo 4, il più difficile, il più controverso.

l’Unità 7.10.10
Sui temi etici il Pd cominci a dire dei sì e dei no chiari
Testamento biologico e legge 40 da rivedere. Non si possono avere esitazioni, saranno entrambi temi della campagna elettorale. E i cittadini attendono posizioni non equivoche
di Ignazio Marino


Decidere presto
Evitiamo che si arrivi ancora una volta al parere dirimente della magistratura per risolvere il conflitto tra le leggi e tra queste e i progressi della conoscenza

Louise Brown, 32 anni, mamma di un bambino di 4. La storia di una donna che ha cambiato la storia di milioni di altre è tornata in questi giorni all’attenzione del mondo, con l’assegnazione del premio Nobel per la medicina a Robert Edwards, padre della fecondazione assistita.
Louise il 25 luglio 1978 divenne infatti la prima bambina al mondo nata dopo un concepimento in provetta. Oggi alla fecondazione assistita si ricorre non solo per problemi di infertilità all'interno di una coppia, ma anche per evitare la trasmissione di malattie genetiche dai genitori al figlio.
Nel 2010 Edwards è dunque il papà scientifico di oltre 4 milioni di persone, ma purtroppo sono relativamente pochi gli italiani nati in Italia, che a lui devono la vita: il nostro paese, imbrigliato dalla legge 40, costringe infatti migliaia di coppie con problemi di fertilità a rivolgersi all’estero.
Eppure, proviamo a ragionare: se consideriamo normale e responsabile eseguire dei controlli prima di una gravidanza, con lo scopo di individuare eventuali malattie, allora perché in uno Stato laico non dovrebbe essere normale, avendo lo stesso obiettivo, la diagnosi preimpianto? Perché la legge dovrebbe obbligare una donna all'impianto anche di un embrione con una gravissima malattia genetica e poi consentire di interrompere la gravidanza con l'aborto?
A rispondere la Corte Costituzionale, che due anni fa eliminò l'obbligo di produzione di soli tre embrioni in ogni ciclo di fecondazione e l'obbligo del loro contemporaneo impianto. La Consulta è adesso nuovamente chiamata a rispondere dal tribunale civile di Firenze, questa volta sulla costituzionalità della norma che vieta alle coppie sterili di accedere alla fecondazione eterologa, con ovuli e seme donati da altri. Il sottosegretario alla salute Roccella teme il ritorno al far west, ma il far west è già qui, con la confusione che regna nei centri per la riproduzione assistita e tra le coppie, costrette al turismo riproduttivo.
L’impostazione generale della legge 40 è ideologica, dunque sbagliata: articolo per articolo, il testo viene sostanzialmente modificato, dovendo fare i conti con le evidenze scientifiche e il dettato costituzionale. Eppure sarebbe bastato, sei anni fa, gettare uno sguardo al resto d’Europa e magari fare anche un salto oltreoceano.
Nel Regno Unito, che vede il Prof. Edwards insegnare a Cambridge, nel 2006 è stata autorizzata per la prima volta la selezione embrionale in una coppia che non aveva problemi di fertilità. Lì a decidere è l'Authority per l'embriologia e la fecondazione assistita. In Spagna vi è un’analoga commissione speciale. E la selezione embrionale, negli Stati Uniti, viene autorizzata anche nel caso di rischio di una mutazione di un gene responsabile, per esempio, di un tumore al colon, sebbene non sia certa l’insorgenza della malattia.
L’America è lontana, purtroppo, anche sul fronte della ricerca: una delle prime decisioni del Presidente Obama fu quella di eliminare le restrizioni alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, che non potevano disporre dei finanziamenti pubblici. D’altro canto, nel 2008, Obama fece della ricerca uno dei punti centrali della sua campagna elettorale. E vinse le elezioni.
Allora lancio un appello al Pd. Dalla legge 40 a quella sul testamento biologico, alla ricerca sulle staminali, i temi etici entreranno con forza nella campagna elettorale e noi dobbiamo essere capaci di dire quei sì e no chiari che tante persone che guardano al Pd con fiducia, si aspettano. Rispetto alla legge sulla riproduzione medicalmente assistita, avanziamo proposte concrete di riforma: prendiamo esempio da paesi che hanno legislazioni coerenti con la conoscenza scientifica e lasciamo che sia un organismo appunto scientifico a fornire linee guida, autorizzare trattamenti e codici di comportamento. Lo stesso vale per la legge sul testamento biologico: non permettiamo che sia approvata alla Camera una legge contro le evidenze scientifiche e le libertà individuali, ma non consentiamo neppure che ci si continui a muovere in quella zona grigia che non tutela né le volontà del malato, né le decisioni del medico. Evitiamo che si arrivi ancora una volta al parere dirimente della magistratura per risolvere il conflitto tra le leggi e tra queste e i progressi della conoscenza. Facciamoci trovare pronti a parlare con una voce sola.

Corriere della Sera 7.10.10
«Bene, quel testo viola la privacy. La Corte lo sta affondando»


ROMA — «La decisione del Tribunale di Firenze mi fa dire: finalmente si fa un po’ di giustizia», sostiene il ginecologo Nino Guglielmino, responsabile del centro Hera di Catania.
«Perché secondo lei la legge 40 è incostituzionale?»
«Perché come ha detto la Corte di Strasburgo il divieto della fecondazione eterologa viola la privacy della coppia e il suo diritto di costruire una famiglia come crede. La fecondazione eterologa è un problema privato della coppia, dice l’Europa. Se qui in Italia non vogliono adeguarsi all’Europa vadano a vivere in Afghanistan. Ma intanto aumenta la ribellione dei cittadini. La legge 40 ha messo il bavaglio: ma ormai questa storia è finita e la Corte costituzionale ci darà ragione come già ha fatto nella sentenza del maggio 2009, quando ha dichiarato incostituzionale l’obbligo dell’«unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre embrioni». La Corte ha dichiarato illegittima la legge anche nella parte in cui non prevedeva «che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna».
Fare un figlio comunque ha un rilievo «pubblico» e non meramente privato, da tantissimi punti di vista...
«Bisogna smetterla di intrufolarsi sotto le lenzuola: la riproduzione assistita è ormai a tutti gli effetti una branca della medicina». Quali malattie cura? «La mancanza di spermatozoi negli uomini, dopo una chemioterapia ad esempio. O la menopausa precoce o la perdita delle ovaie nelle donne»
Quale è stata la sua esperienza con le coppie che sono ricorse al vostro centro prima che la legge 40 dichiarasse illegale l’eterologa?
«Che si trattava di coppie felici, e che prima che scattasse il divieto della legge votata nel 2004, tornavano da noi dopo il primo figlio, e ne volevano un altro. C’era una sola cosa che ci chiedevano...» Quale? «Che se fosse stato possibile avrebbero desiderato lo stesso donatore».

l’Unità 7.10.10
Asse trasversale anti «Porcellum». Nasce un gruppo per l’uninominale con elementi del Pdl
Finiani, Pd, Idv, Udc hanno chiesto che la proposta di legge sia discussa alla Camera
Legge elettorale Prove pratiche per un’altra maggioranza
Prove pratiche di governo tecnico: una maggioranza diversa si sta aggregando sul cambiamento della legge elettorale. Su più fronti, infatti, si sta creando un asse trasversale anti «Porcellum».
di Natalia Lombardo


Prove pratiche di governo tecnico: una maggioranza diversa si sta aggregando sul cambiamento della legge elettorale. Su più fronti, infatti, si sta creando un asse trasversale anti «Porcellum»: Pd, Italia dei Valori, Udc e i finiani di Futuro e Libertà, ieri hanno chiesto compatti che delle proposte di legge siano affrontate in commissione alla Camera (al momento si discute al Senato, dove nella Affari Costituzionali c’è solo il finiano Saia). Ed è nato anche un gruppo trasversale di parlamentari per una legge che torni al sistema uninominale maggioritario.
L’importante è il segnale politico che questo fronte manda a Berlusconi, nel caso voglia davvero «staccare la spina», sulla possibilità che nasca un governo tecnico temporaneo che elimini il «Porcellum» come prima cosa. Da Bossi arriva un secco «no» e si permette di lanciare avvertimenti al presidente Napolitano: «Un governo tecnico sarebbe un azzardo».
I «futuristi» di Fini invece aumentano le prove del loro essere determinanti nello spostamento della maggioranza; realtà che ha convinto il Pdl alla conferma delle presidenze di commissione, e ieri la «terza gamba» di Fli è stata riconosciuta nella riunione dei capigruppo di maggioranza (a cinque zampe, se si considerano Mpa e Noi Sud).
Un primo segnale arriva da Montecitorio, dove ieri in commissione Affari Costituzionali il presidente Donato Bruno ha sondato l’orientamento dei gruppi, dopo aver ricevuto il primo ottobre dal presidente Fini una lettera nella quale riportava la richiesta fatta dall’Udc in capigruppo per avviare «sollecitatamente» l’esame alla Camera della legge elettorale. Subito contrari Pdl e Lega, mentre Pd, Udc, Idv e Fli si sono espressi a favore. Ora dovrà vedersela Fini con il presidente del Senato, Schifani, per un eventuale spostamento alla Camera dei disegni di legge. Che un testo sia esaminato in contemporanea dalle due Camere non è possibile, spiega l’ex forzista Bruno ma, secondo il Pd Violante, un doppio incardinanento è possibile solo se si dimostra che l’esame di un testo in un ramo del Parlamento è «puramente ostativo».
COPASIR: BRACCIO DI FERRO INUTILE
E, sempre tra i presidenti delle Camere, dovrà essere risolta la questione del Copasir, bloccato da Pdl e Lega per togliere di mezzo il finiano Carmelo Briguglio e Francesco Rutelli. Partita persa per i berlusconiani: Fini chiarirà che al comitato per la sicurezza non vale la norma delle sostituzioni per ogni gruppo che nasce, perché la composizione del Copasir si basa su 5 membri della maggioranza e 5 dell’opposizione.
Stamattina inoltre si riunisce al Teatro dei Comici a Roma la prima assemblea di un gruppo di parlamentari uniti dalla voglia di «uninominale»: tra i firmatari di un documento ci sono, per il Pdl, Martino, De Angelis, Fleres, Germontani, Gramazio, per il Pd Ceccanti, Chiti, Gentiloni, Ichino, Marino,Morando, Negri, Tonini, e per Fli Baldassarri, Urso, Viespoli.
L’autore della «porcata», il leghista Roberto Calderoli. sbeffeggia: «Non può scrivere la legge elettorale chi ha perso le elezioni contro chi le elezioni le ha vinte. Al ministro, che sostiene come il «Porcellum» sia figlio «della riforma di 55 articoli della Costituzione», il Pd Bressa ricorda che «è figlia di un colpo di mano dell’allora maggioranza che l’ha dettata con un sub-emendamento».

l’Unità 7.10.10
Il barometro di Bersani segna bel tempo «Si apra una stagione breve di transizione»
Il segretario del Partito democratico ieri a Viareggio ha parlato anche della candidatura di Montezemolo. «La legge elettorale non la fa un partito da solo, bisogna discutere con gli altri. E noi siamo disponibili».
di Vladimiro Frullatti


Rifiuta di rispondere per le rime al Vendola che descrive (anche se poi fa un mezzo passo indietro) i dirigenti Pd come «anime morte»: «non userò mai – spiega Bersani una parola meno che amichevole o amorevole verso tutti quelli, Vendola compreso, che devono dare una mano a una battaglia comune», cioè costruire l’alternativa all’attuale governo. Non boccia l'idea (di Bettini) di Montezemolo come «Papa straniero» per il centrosinistra: «Qualsiasi cosa, anche la più fantasiosa – dice con un mezzo sorriso – ve bene pur di battere Berlusconi». Ma, soprattutto, appare fiducioso sulle possibilità che venga cambiata la legge elettorale. Le preoccupazioni del segretario Pd riguardano il Paese. Il non governo di Berlusconi con la continua altalena tregua-scontro con i finiani e lo «spettacolo disdicevole» della pace fra Bossi e Alemanno a polenta e pajata. E gli assalti alle sedi Cisl, atti che Bersani condanna avvertendo che «stiamo arrivando a un livello di guardia» e che «tira una brutta aria».
Il barometro segna bel tempo, secondo Bersani, invece sulla possibilità che in Parlamento si possa mettere insieme una maggioranza per cancellare la «porcata». Le nuvole del resto hanno abbandonato il cielo di Viareggio quando, nel primo pomeriggio il segretario del Pd arriva al convegno della Legautonomie sul federalismo fiscale. Davanti ai tanti sindaci e amministratori (in prima fila il presidente della Toscana Enrico Rossi e il sindaco di Pisa, nonché presidente di Legautonomia, Marco Filippeschi e il segretario del Pd toscano Andrea Manciulli) attacca il «federalismo delle chiacchiere» e annuncia una proposta Pd per una vera riforma federale e fiscale che metta al centro la lotta all’evasione («niente ambulanza a chi non paga le tasse»). Coi giornalisti invece Bersani mostra la propria soddisfazione perché il tema «legge elettorale» ora finalmente è iscritto nell'agenda della politica italiana. «Dopo mesi che lavoriamo perché il tema venga fuori e cominci a camminare – spiega Bersani , mi pare che stia succedendo qualcosa». Un gruppo trasversale (Pd, Pdl e Fli) di parlamentari ad esempio propone il sistema maggioritario uninominale. Bersani dice che il Pd la sua proposta l’ha decisa in assemblea nazionale (maggioritario uninominale a doppio turno), ma aggiunge che «la legge elettorale non la fa un partito da solo, bisogna discutere con gli altri. E noi siamo assolutamente disponibili».
Del resto l’obiettivo è evitare di andare a votare col Porcellum, una legge «vergognosa» che consente a chi prende solo il 34% dei voti di poter eleggere il Capo dello Stato. «Va cambiata prima delle prossime elezioni» scandisce Bersani, che sulla data del voto non si lascia andare a previsioni, ma ripropone l’idea che il dopo Berlusconi possa essere affrontato con una breve stagione di transizione che metta al primo posto, appunto, la riforma della legge elettorale.

l’Unità 7.10.10
Sinistra, il partito che non c’è
di Lidia Ravera


Un fantasma si aggira per l’Europa: lo sconfittismo di sinistra. Non si tratta soltanto di un calo generalizzato dei consensi(sono in perdita i partiti europei del PSE, salvo poche eccezioni. È eroso dalle risse interne e fragile il centrosinistra italiano), quanto di una persistente malinconia politica. Come se certi princìpi, eguaglianza solidarietà centralità del lavoro eccetera, fossero da archiviare come modelli buoni per le passerelle del passato. Strano, no? Voglio dire: la crisi economica e finanziaria, l’aumento della disoccupazione, la precarietà, i tagli al wellfare, la crescita delle diseguaglianze, l’aumento delle povertà e l’assenza di mobilità sociale dovrebbero portare, a un rilancio degli “ideali” della sinistra, più per necessità che per virtù. Mai come in questo momento s’avrebbe bisogno di un solido robusto e coeso grande partito di opposizione alle derive e ai guasti del sistema capitalistico. Non tanto per dare ricovero agli orfani degli antichi ideali, gente non più giovane (e quindi da rottamare secondo l’etica consumista), quanto per dare una speranza a disoccupati, maloccupati, cassintegrati, precari della scuola del terziario e dell’industria, operai ricattati da Marchionne, insegnanti malpagati, donne costrette al ruolo di ammortizzatori sociali, mamme senza servizi e quindi senza diritto al lavoro, risparmiatori fregati dai giocolieri della finanza, cittadini oberati dal costo dell’economia illegale (appalti truccati, sprechi lottizzati..), migranti sfruttati & perseguitati. Avrebbe una base davvero estesa, un ipotetico Grande Partito di Sinistra. Potrebbe lottare perché l’acqua resti un bene comune e non si buttino soldi nel rischioso nucleare... potrebbe, se nascesse...Invece, nella Modesta Sala Parto della Storia, è nato, con violenza, con taglio cesareo (e sappiamo tutti Cesare chi è), un altro par-
tito di destra. Il Fli.

Corriere della Sera 7.10.10
Il «manifesto futurista» piace a sinistra Firmano Cacciari, Marramao e Borgna
Iniziativa a Milano il 25 ottobre. Granata: Fini attrae gli intellettuali
di Alessandro Trocino


ROMA — Citazioni di Hannah Arendt, Nietzsche, Spinoza, Pintor e Calamandrei. Gnosticismo diffuso, in passaggi come «arteriosclerosi ideologica della ripetizione infeconda», «metamorfosi come patire attivo», «investimento sulla paideia». Ecco il «Manifesto di Ottobre», rivoluzione «futurista» che vuole spezzare «il grande silenzio» evocato da Alberto Asor Rosa e rianimare gli intellettuali per rendere «irreversibile la formazione di un nuovo soggetto pericoloso». Il manifesto-appello sarà presentato a Milano il 25 ottobre. Tra chi è stato chiamato nel gruppo (anche se non tutti hanno lavorato al manifesto) ci sono vecchie conoscenze della destra — come Franco Cardini, Peppe Nanni, Umberto Crotti e Angelo Mellone —, ma anche insospettabili esponenti dell’intellighentzia di sinistra: dal già ultra veltroniano Gianni Borgna all’irrequieto Massimo Cacciari, dall’antropologo Franco La Cecla al filosofo Giacomo Marramao.
Tutti insieme appassionatamente e trasversalmente, compresa la storica del teatro Monica Centanni e Costanza Messina, giovane direttrice del festival del Paesaggio, chiamata forse a decrittare «il sommovimento geologico delle categorie». Il manifesto non sarà quello ufficiale del partito, ma uno sforzo voluto dal Forum delle Idee, da FareFuturo e Libertiamo, le tre fondazioni di impronta finiana. Fabio Granata — presente al seminario di ieri insieme a Flavia Perina e Benedetto Della Vedova — è entusiasta: «Sarà un manifesto del patriottismo repubblicano. Un appello trasversale che unisce chi è affascinato da Fini».
Giacomo Marramao, studioso del marxismo, era assente però ci sta: «Ho sempre militato a sinistra, ma sono attento verso quello che avviene nell’area finiana. Lavorare al di là degli schieramenti tradizionali è un modo per lasciarsi alle spalle un passato tragico di divisioni». Nella fascinazione per la «rivoluzione futurista», c’è anche la delusione verso «la sinistra»: «I partiti a un certo punto hanno ritenuto di essere autosufficienti: gli intellettuali, ritenuti non controllabili, sono stati guardati con sospetto». Massimo Cacciari — che non ha visto il manifesto, ma solo accolto l’invito al convegno milanese — è d’accordo: «Tutte le iniziative che rompono gli steccati sono utili. Vedo un positivo rinnovamento negli equilibri politici. Nel ’900 c’è stata una grande cultura di destra. E poi sarebbe una novità che un partito tenesse in considerazione quel che dicono gli intellettuali e non li usasse solo per la propaganda». La Cecla spera che questo «think tank rimanga indipendente da Futuro e libertà»: «Io ho rischiato la galera e la carriera universitaria e non sono mai stato difeso né a destra né a sinistra. È la cultura che cambia un Paese. Speriamo che la politica finalmente se ne accorga».

Corriere della Sera 7.10.10
Frenata sulla crisi e nuovi scenari I Democratici riallacciano il dialogo
Bersani e D’Alema vedono Gianni Letta. Ipotesi Camera per l’ex premier
Montezemolo? Tutte le idee, anche le più fantasiose, per battere il Cavaliere hanno cittadinanza
di Maria Teresa Meli


ROMA — Mattina del 5 ottobre, l’auto di Massimo D’Alema scalda i motori sotto l’abitazione del presidente del Copasir nel quartiere romano di Prati. Una decina di minuti e la macchina arriva sotto la sede del Pd, a via sant’Andrea delle Fratte. Al partito c’è Pier Luigi Bersani, reduce da un «tour» siciliano. Poco dopo i due entrano in un palazzo di largo del Nazareno, dove ci sono alcuni uffici della Mediaset e dove è solito fare tappa, quando è nella Capitale, Fedele Confalonieri. Varca quel portone anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. L’incontro dura quanto basta per un giro d’orizzonte sui temi oggi sul tappeto.
Il barometro della politica italiana da un paio di giorni indica che la legislatura potrebbe durare: normale, quindi, che maggioranza e opposizione si confrontino. Letta, mediatore per vocazione, è contrario al voto. I dirigenti del Pd non hanno mai nascosto la loro opinione sull’opportunità di andare subito alle elezioni anticipate. Bisogna prima cambiare la legge elettorale. E comunque, più si va avanti, più si allontana l’ipotesi della candidatura alla premiership del centrosinistra di Nichi Vendola. Ipotesi che i big del Pd vedono come fumo agli occhi anche perché, inevitabilmente, spaccherebbe il partito tra i contrari e i favorevoli.
Di carne al fuoco ce n’è tanta. C’è la questione del lodo Alfano. L’Udc, a determinate condizioni, potrebbe votarlo. E il Partito democratico, pur non dando il suo assenso, potrebbe non alzare le barricate contro una simile riforma costituzionale? E ancora, c’è il problema della presidenza della Camera. Silvio Berlusconi, nonostante i toni più concilianti, punta ancora alle dimissioni di Gianfranco Fini. Lo stesso leader di Futuro e libertà, del resto, sta meditando questa scelta, come gli ha consigliato uno degli intellettuali a lui vicino, Alessandro Campi. Il capo dello Stato, qualche giorno fa, ha definito «una novazione» quella di un presidente della Camera che fa un partito durante il suo mandato. Ma Giorgio Napolitano, com’è nel suo stile, non fa pressioni e non interviene in alcun modo: si affida alla sensibilità di Fini. In caso di dimissioni quella poltrona potrebbe andare a un esponente dell’opposizione. «Dall’altro ieri — racconta il "democrat" Beppe Fioroni — in molti mi dicono che D’Alema potrebbe succedere a Fini, ma io oltre a questo non so altro».
 Infine, il nodo della legge elettorale, che sta a cuore in modo particolare al tandem Bersani-D’Alema. Ma in questo caso la questione si fa più complessa. Infatti all’interno dello stesso Pd ci sono opinioni diverse. E anche una certa confusione: proliferano sistemi di ogni tipo. In auge, ultimamente, l’ungherese e l’australiano (il primo piace più ai proporzionalisti, il secondo ai bipolaristi): la cosa, com’è naturale, provoca frizzi e lazzi tra i parlamentari del centrosinistra. I veltroniani, comunque, su questo punto sono irremovibili, come spiega Stefano Ceccanti: «Noi siamo indisponibili a votare una riforma che ci riporti al proporzionale». È un messaggio chiaro all’attuale dirigenza del partito. Un messaggio che difficilmente potrà prendersi sotto gamba, visto che la minoranza del Pd ha più di settanta parlamentari. E il loro leader, Walter Veltroni, non crede che alla fine si cambierà il sistema elettorale: «Secondo me finché non c’è una crisi di governo non si muoverà nulla in questo campo, e a me pare proprio che non sia aria di crisi».
Sfumano le possibilità di andare alle elezioni anticipate, ma la situazione è tutt’altro che stabile e potrebbe precipitare. Per questa ragione l’ex braccio destro di Veltroni, Goffredo Bettini, lancia dalle colonne del Riformista questa proposta a titolo personale: Luca di Montezemolo candidato premier di una grande coalizione che vada da Fli al Pd per riportare l’Italia alla normalità dopo l’era berlusconiana. Un’ipotesi che lascia freddo Bersani: «Tutte le idee, anche le più fantasiose, per battere il Cavaliere hanno cittadinanza», taglia corto il segretario del Partito democratico.

Corriere della Sera 7.10.10
Il Vendola privato che conquista (quasi) tutti
Il governatore della Puglia e i suoi coming out
di Maria Laura Rodotà


Nichi Vendola contestualizza meglio di altri. Gay dichiarato da sempre, governa al secondo mandato una regione del Sud. Postcomunista amato dai giovani di sinistra e da vari anziani di destra, vuol fare il candidato premier dell’opposizione ma scapperebbe subito «per adottare un piccolo abbandonato in Kosovo». Cattolico con abitudini antiche (tiene in tasca un rosario di legno e dice «manco Casini»), convive col fidanzato italo-canadese Ed, giovane, bello, metropolitano e creativo, e l’ha portato nella natia Terlizzi, trenta chilometri da Bari. Queste tre coppie di elementi contrapposti possono essere rimescolate: cattolico ma che vuole adottare fuori dal matrimonio, postcomunista nella complessa e apparentemente destrorsa Puglia, aspirante presidente del Consiglio che però fa coming out sulla sua unione di fatto. Anzi no: aspirante presidente del Consiglio che perciò — per presentarsi, tutto intero — fa il suo coming out. E dice: «Viviamo insieme da anni. Siamo una coppia morigerata e tranquilla. Ci piace ricevere amici a cena». Come buona parte delle coppie italiane, di qualsiasi orientamento sessuale, in effetti. Benvenuti a Casa Vendola.
Il padrone di casa ha raccontato il tutto sull’ultimo numero di Chi. «E ha fatto bene, può raggiungere a un sacco di gente e far capire che noi omosessuali facciamo vite normalissime. In Italia ci descrivono sempre come figure borderline, instabili con vite spericolate. Se si parla di omosessuali, si mette sempre accanto una foto di tizi seminudi e truccati al Gay Pride», dice Paola Concia del Pd, unica parlamentare lesbica, anche lei tempo fa intervistata su Chi, e fotografata con la sua fidanzata. Il compagno di Vendola, nel servizio, non appare, e pare non aspiri a fare il First Gay Partner. È attivo nella Fabbrica di Nichi, il comitato elettorale vendoliano; era sul palco con molti altri la sera della vittoria alle regionali. D’estate vanno al mare in Salento, a volte cenano con Pier Ferdinando Casini e sua moglie Azzurra Caltagirone. «Azzurra stravede per Nichi», racconta un amico.
Non è l’unica. Nel settimanale Mondadori, Vendola viene definito «l’esponente della sinistra più simile al presidente del Consiglio. Per la sua umanità». E l’intervista non è aggressiva: «Governatore, lei scrive poesie e canzoni, vince sul web, confessa la sua omosessualità, trascina i giovani. Presto uscirà anche un film a lei dedicato, Sposerò Nichi Vendola. Insomma, rappresenta il "nuovo"... Chi ha paura di Nichi Vendola?». Quelle che lui chiama le «anime morte» del Pd, probabilmente. In realtà vivi, solo colpiti dall’abilità del presunto ineleggibile (gay, comunista, ecc.) nello sparigliare. Mentre a Roma si parla di elezioni, tra Bari e Terlizzi il presunto di cui sopra espone e disinnesca una per una le cause di i neleggibil i t à. Mostra l’orecchino, parla del «mio amore» che gliel’ha regalato, racconta che vorrebbe adottare, parla di «parità tra uomini e donne nei luoghi di rappresentanza politica». E si fa fotografare in cucina con la mamma (deve essere una cattiveria di Chi, contrapporre in modo subliminale la pacifica cucina Vendola a Terlizzi ai controversi componibili Fini-Tulliani a Montecarlo; poi chissà). Tutto normale, rasserenante; una perfetta ostensione pop del sincretismo vendoliano. Forse un po’ oscurata dal coming out contemporaneo di Tiziano Ferro. Ovviamente seguita da battutacce sul web (l’unica pubblicabile: «Un canadese? Allora sta con Marchionne», ma non è così). Poco notato invece il vero potenziale divo di Casa Vendola, il cane meticcio Fidel, ma potrebbe essere decisivo alle primarie di coalizione, vai a sapere.

l’Unità 7.10.10
I parlamentari Pd a Soru: «Insieme salviamo l’Unità»


Qualcosa di più di un appello per salvare l’Unità. Una lettera rivolta all’editore Renato Soru. Sotto ci sono le firme di oltre cento parlamentari, i capigruppo e i vicecapogruppo del Pd di Camera e Senato. Anna Finocchiaro e Dario Franceschini. E poi tanti altri, deputati e senatori democratici, che ancora si stanno aggiungendo. «Abbiamo appreso con preoccupazione dell’intenzione di chiudere dal prossimo 15 ottobre le cronache locali della Toscana e dell’Emilia Romagna», scrivono i parlamentari
del Pd. «Oltre che mettere a rischio tredici posti di lavoro, abbiamo il timore che tale decisione possa rendere incerto lo stesso futuro de l’Unità, al di là delle stesse intenzioni dell’editore», avvertono: «Ci risulta infatti che Toscana ed Emilia sono le regioni in cui l’Unità ha la maggior parte delle vendite, degli abbonamenti e della pubblicità».
Il contenuto del loro messaggio è molto chiaro: «Chiediamo all’editore Renato Soru la sospensione della decisione annunciata, anche di fronte all’impegno concreto e immediato a sostegno del quotidiano che si è registrato in Toscana e in Emilia Romagna da diversi soggetti sociali e politici. Il mantenimento di una data così prossima prevista per la chiusura delle due redazioni regionali, com’è il 15 ottobre, oltre a rendere vano lo sforzo di coinvolgere altri soggetti nel sostegno al giornale, impedisce di cercare soluzioni che consentano la continuità del lavoro delle redazioni». Un intervento il loro sottolineano «dettato unicamente dalla consapevolezza dell’importanza che rappresenta una testata storica come l’Unità», e dalla preoccupazione che «un suo ridimensionamento possa privare di una voce importante il dibattito politico» nel Pd e nel centrosinistra».

Repubblica 7.10.10
Il prof dell’Università che nega le camere a gas
di Marco Pasqua


Il negazionismo sulla Shoah torna in cattedra. Una delle pagine più buie della storia dell´Uomo, riscritta seguendo le orme di chi nega l´esistenza delle camere a gas o chi contesta i dati dello sterminio messo in atto dai nazisti. Tocca a Claudio Moffa, professore ordinario presso la Facoltà di Scienze politiche dell´università di Teramo, dare spazio alle tesi revisionistiche durante una lezione choc.
«Non c´è alcun documento di Hitler che dicesse di sterminare tutti gli ebrei», dice Moffa, parlando agli studenti dell´università abruzzese.
È il 25 settembre scorso, e nell´aula 12 della Facoltà di scienze politiche, Moffa tiene l´ultima lezione del master "Enrico Mattei in vicino e Medio Oriente", di cui è coordinatore. L´ora e mezza di lezione viene ripresa con una telecamera, e il video è pubblicato sulle pagine web del docente, sulle quali appaiono frequentemente articoli in difesa della libertà di espressione, fatta coincidere con la libertà di negare l´Olocausto. Tra i professori del suo master figurano anche famosi storici negazionisti: è il caso di Serge Thion e di Robert Faurisson. Quest´ultimo venne invitato da Moffa a tenere una lezione all´università abruzzese già nel 2007, tra le proteste della comunità ebraica, e dello stesso Rettore dell´epoca. Lezione cancellata, polemiche, e una petizione-appello contro la presenza dei negazionisti nelle università italiane. Moffa, però, non si è fermato e ha continuato a divulgare le sue tesi.
Il titolo della lezione del 25 settembre lascia chiaramente intuire come verrà sviluppato l´argomento: «Il tema-tabù del mondo accademico, la questione della Shoah, della difesa del suo dogma da parte della Inquisizione del III millennio». Quanto alle camere a gas, il docente cita un´intervista videoregistrata a Faurisson, in cui il negazionista arriva a contestare l´uso del Zyklon B per sterminare gli ebrei: «L´edificio che viene mostrato ad Auschwitz è un edificio che non ha nessuna delle caratteristiche tecniche atte ad essere stato una camera a gas. Il Zyklon B veniva usato per disinfestare gli abiti dei reclusi». Moffa nega anche il dato dei sei milioni di ebrei sterminati, un «numero con una valenza cabalistica. Non si capisce perché lo si debba sempre ripetere. Una cifra ormai ampiamente messa in discussione».
Il professore si spende anche per la difesa dei colleghi accusati di revisionismo. A cominciare dal professor Roberto Valvo, del liceo di via di Ripetta (accusato di aver detto che «la Shoah è stata una montatura»): «Come ai tempi dell´Inquisizione, non è concepibile che chi, argomentando o comunque parlando al bar o facendo una battuta in un consiglio di classe dice "non credo a questa cosa" venga sanzionato. Questo tipo di linciaggio e persecuzione è qualcosa di assolutamente inconcepibile».
Duro il giudizio dell´Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, tramite il presidente, Renzo Gattegna: «Mettere in dubbio o negare la Shoah significa offendere la memoria delle vittime. Invito queste persone a visitare lo Yad Vashem e a studiare la documentazione che là è depositata».

Repubblica 7.10.10
La solitudine degli editori italiani "Nessun aiuto, ci hanno abbandonato"
Alla Buchmesse presentati i dati del nostro Paese "La gente legge ma compra meno e il Governo non ci aiuta"


Ultime voci sul toto Nobel: favoriti McCarthy e Ngugi L´ungherese Nádas possibile outsider

FRANCOFORTE. Gli editori italiani si sentono abbandonati, addirittura "borseggiati" dal governo. Non era mai successo alla tradizionale conferenza stampa d´apertura della Buchmesse che gli italiani criticassero i responsabili del governo con tanta durezza come ha fatto ieri Marco Polillo, presidente dell´Aie, l´associazione degli editori. «Non posso che denunciare una totale indifferenza», ha detto. Polillo è persona mite e di gran tatto, come gli ha riconosciuto subito dopo il sottosegretario alla Cultura Francesco Maria Giro, e tanto più eclatanti sono apparse le sue accuse. Il momento è difficile: nel 2009, il giro d´affari dell´editoria ha registrato un calo del 4,3 per cento. Un dato grave, in un mercato librario che vale 3,4 milioni di euro. Sono crollate le vendite di libri in edicola (- 30%) e quelle rateali (- 20). E l´aumento del 2% delle vendite in libreria non è certo bastato a compensarle. Invece di dare una mano, il governo ha preparato agli editori un catastrofico pesce d´aprile: così fu definito dallo stesso premier agli editori sbalorditi che avevano chiesto un incontro dopo che un decreto inaspettato il primo aprile aveva abolito le tariffe postali agevolate per gli editori. La spedizione di un pacco era salita da 1 euro a 7, con un aggravio totale di 40 milioni. Il governo promise di porre immediatamente riparo. Ma le cose sono rimaste com´erano.
L´elenco delle doléances degli editori è lungo: si va dagli intoppi burocratici che hanno bloccato un progetto di 3 milioni di euro per rendere il libro più accessibile ai non vedenti. Per non parlare del "silenzio inerte" del nostro governo a Bruxelles su un punto cruciale come quello dell´Iva sugli e-book, tassati al 20% come qualsiasi prodotto elettronico, mentre l´Iva sui cartacei in Italia è al 4 (lo 0 % in Gran Bretagna e in Polonia, il 7 in Germania). La questione dell´Iva sugli e-book è "scandalosa", conferma Riccardo Cavallero, direttore generale di Libri Trade Mondadori. E pazienza se di Mondadori il premier Berlusconi è l´editore (non "editore", "proprietario", precisa Cavallero). Scandalosa, dice, perché permette la concorrenza sleale sugli e-book a società come Amazon o Apple che hanno messo le loro sedi in Lussemburgo dove pagano un´Iva al 12 per cento. Per ora il giro di affari in Italia non supera il milione di euro ma entro Natale Cavallero prevede una esplosione e a quel punto, se la distorsione non sarà sanata, converrà non solo a Apple e Amazon spostarsi in Lussemburgo. Sugli e-book gli editori italiani puntano come sullo strumento che salverà la lettura. Un terzo ha già cominciato a offrire i suoi testi, che al momento sono 3200 (in Germania 30.000) e i titoli si moltiplicheranno nei prossimi mesi. La passione per i gadget elettronici farà sì che gli italiani leggeranno più libri, sostiene, o spera, Alessandro Bompieri, nuovo amministratore delegato della Rcs libri. E se servissero solo a guardare i cartoon o le guide di viaggio, un genere particolarmente adatto agli e-book? Ma forse i giovani salveranno il mercato. Quello che succede negli Usa finisce sempre per ripetersi da noi, dice Bompieri, e lì già il 25 per cento dei ragazzi tra i 6 e i 16 anni ha letto un libro digitale.
La lieve ripresa del mercato editoriale nei primi mesi del 2010 dà comunque qualche speranza anche per i cartacei; e nonostante i minori libri venduti, nel 2009 ci sono stati 800mila nuovi lettori. E dà speranza anche l´accresciuto interesse per i nostri titoli all´estero testimoniato a Francoforte. Bompiani esulta non solo per il successo di Eco, il cui nuovo romanzo è stato venduto in 30 paesi, dal Brasile alla Turchia agli Usa, ma anche per Acciaio dell´Avallone (Penguin Usa e altri 8 paesi), De Carlo, Carofiglio, Cotroneo. Anche Pennacchi e il nuovo Piperno (Persecuzione, uscirà a fine mese) sono stati acquistati con entusiasmo. E Newton Compton, a due ore dalla presentazione del romanzo dell´esordiente non ancora trentenne Lorenza Ghinelli, Il Divoratore, che la casa editrice definisce un miracolo di lingua e efficacia stilistica, lo ha venduto in Francia, in Inghilterra e in America Latina. Intanto anche qui arriva l´ultima eco del toto Nobel. Il premio, che sarà annunciato oggi, vede ancora super favoriti dai bookmaker McCarthy e Ngugi. Con l´incognita dell´outsider ungherese Péter Nádas.

Corriere della Sera 7.10.10
L’attenzione di Pechino per Roma (distratta)
di Marco Del Corona


La visita in Italia Oggi il premier cinese Wen Jiabao è a Roma per la sua seconda visita ufficiale in Italia: incontra Napolitano e Berlusconi

I leader cinesi cominciano a dimostrarsi degli habitué dell’Italia. Oggi il premier Wen Jiabao sbarca a Roma (secondo viaggio dopo quello del 2004), l’anno scorso era toccato al numero due della gerarchia di Pechino, il presidente del parlamento Wu Bangguo, e quindi al capo del Partito comunista (e dello Stato) Hu Jintao. La frequenza dei viaggi è un segno dell’attenzione che la seconda economia del mondo riserva all’Italia, e ci sono ricorrenze da celebrare. È il 40° anniversario delle relazioni diplomatiche fra i due Paesi e si apre l’anno della Cina in Italia. A fine mese, poi, sarà il presidente Giorgio Napolitano a visitare la Repubblica Popolare, Expo di Shanghai inclusa.
Si parlerà di economia, oggi. Si firmerà un accordo strategico triennale per dare un nuovo impulso al Comitato governativo bilaterale. Si discuterà — a maggior ragione dopo le tre vittime nell’alluvione — anche di Prato, come aveva anticipato la scorsa settimana la viceministro degli Esteri, Fu Yin, rispondendo al Corriere: una città le cui tensioni sono ben presenti alla diplomazia cinese, anche se «noi raccomandiamo ai nostri connazionali di rispettare le leggi e adeguarsi ai costumi locali». Soprattutto l’Italia con la visita di Wen può provare a far fruttare sul piano politico la simpatia nei confronti del nostro Paese che la dirigenza cinese non manca di sottolineare. Qualche margine per capitalizzare l’occasione c’è, secondo Zhang Pei, del Centro di Studi Europei dello Shanghai Institute of International Studies: «Coltivando il rapporto con la Cina — dice — l’Italia può guadagnarci anche incrementando la sua influenza e il suo peso nella Ue. Provando, tra i partner europei, a farsi ponte con la Cina e portare valore aggiunto a tutti i Ventisette».
Per ora il rapporto pare asimmetrico. Diplomazia e investimenti: Pechino sembra riservare a Roma più cura di quella che Roma riserva a Pechino. «La Cina ha le forze e, forse contrariamente a noi, la determinazione per concretizzare la sua attenzione sul piano pratico. Sa molto bene — spiega Franco Cutrupia, presidente della Camera di Commercio italiana in Cina — quale sia il nostro peso al centro del Mediterraneo e come accesso alla Ue». Come prova dell’asimmetria si può leggere il fatto che alle visite dei numeri uno, due e tre del Politburo in meno di due anni l’Italia contrappone una presenza meno intensa. In questa legislatura Silvio Berlusconi è stato sì a Pechino due anni fa, ma nel contesto del summit Asem (anche se ha avuto incontri con i vertici); il ministro degli Esteri, Franco Frattini, è stato soltanto presente all’apertura dell’Olimpiade (l’ultimo titolare della Farnesina in visita di Stato fu Massimo D’Alema nel 2006, dopo il viaggio del premier Romano Prodi); il sottosegretario competente per l’Asia, Stefania Craxi, e i presidenti dei due rami del Parlamento non sono mai venuti. Tuttavia non sono mancate missioni di altri membri del governo e comunque, rassicura Zhang Pei, «l’importanza dei rapporti bilaterali non si giudica dalla frequenza delle visite».
La asimmetria, e quindi la necessità di risistemare gli equilibri, appare anche a chi in Cina investe e lavora. «Si assiste a un’inversione di tendenza», riconosce Massimo Roj, amministratore delegato dello studio di architettura Progetto Cmr (e presidente di una società cinese collegata) che nel 2010 ha raggiunto il milione di metri quadri edificati in Cina: «Dieci anni fa l’Italia era attratta da questo Paese, 5 anni fa s’è toccato il picco. Adesso, dopo qualche batosta, stiamo tornando indietro e sono i cinesi che vengono da noi. Noi scontiamo una visione limitata e italocentrica, loro hanno uno sguardo globale, si muovono su più Paesi. Però anche se non abbiamo la massa critica di Francia e Germania, possediamo fantasia, e nicchie da allargare».
I dati economici mostrano un interscambio sui 31 miliardi di dollari nel 2009, per due terzi dato dall’import dalla Cina. L’Italia è il 15° partner commerciale della Repubblica Popolare che è, dopo gli Usa, il secondo Paese non europeo in cui sono più presenti imprese italiane (sul migliaio). E nella Ue, nessuno ha rilasciato più visti turistici a cinesi (125 mila, stima per il 2010). Ma l’asimmetria strategica emerge persino qui, se gli unici collegamenti aerei diretti sono assicurati non da Alitalia ma da Air China. L’Italia sconta uno scarto mentale che inibisce scelte politiche coraggiose, suggerisce Airaldo Piva, amministratore delegato di Hg Europe, società che fa capo alla holding cinese Hengdian, con interessi dal tessile agli ospedali agli studios cinematografici. Premiato come «amico della Cina» per la festa nazionale del 1° ottobre, Piva ammette che «la Cina cerca di conoscere l’Italia, mentre noi vediamo la Cina come via Paolo Sarpi, Prato, il Paese che copia. Rispetto ai politici di altri Paesi, i nostri viaggiano poco qui; gli imprenditori, invece, capiscono presto che la Cina va oltre gli stereotipi, ma spesso non sono attrezzati, perché questo Paese obbliga a mettere in discussione il proprio prodotto e la propria organizzazione. La chiave? Scambi culturali, interrelazioni, conoscenza, cominciando dalle nuove generazioni». Può capitare dunque che a cogliere lo spirito del tempo, o del luogo, siano esperienze più piccole. Benetton Group e Fabrica, ad esempio, si sono rivolti a un giovane studio di Milano — AL14 di Giovanna Colombo, Luca Dinelli e Marco Sala — per curare la tecnologia delle vetrine di due negozi a Pechino e Shanghai, lavagne interattive a disposizione del pubblico: «Un progetto nato in Italia — dice Sala — che si è voluto mantenere italiano anche nella realizzazione in Cina. Perché garantiamo una resa e un livello che ancora lì non si trovano».
Altrove restano resistenze che rischiano di compromettere la possibilità di cogliere le chance della visita di Wen Jiabao. Il vicepresidente italiano della Camera di Commercio europea in Cina, Davide Cucino, avverte: «Il nostro Paese continua ad avere interesse per la Cina, però contemporaneamente la teme, e così intraprendiamo spesso strategie sbagliate. La visita di Wen rappresenta soprattutto l’ennesima opportunità che l’Europa ha per incrementare l’armonia tra le due parti. La Cina ha bisogno di una maggiore presenza europea nel Paese e l’Europa ha bisogno di maggiore considerazione da parte della Cina. Purtroppo ragionare in termini di politiche nazionali anziché tracciare una strategia europea penalizza tutti, soprattutto l’Italia che nei rapporti economici con la Cina già rincorre molti dei suoi partner dell’Unione». Arriva Wen, l’Italia alzi lo sguardo.

Avvenire 7.10.10
E Gödel fa i conti con Anselmo
Il grande matematico austriaco riscrisse, con le armi della logica, la prova ontologica dell’esistenza di Dio Una sfida per la teologia
di Roberto Timossi

Una delle più grandi menti del XX secolo è sicuramente quella del moravo Kurt Gödel (1906-1978).
Nato nell’odierna Brno, la vita di Gödel, come per altro quella di molti geni, fu piuttosto tormentata e dominata da quello che è stato chiamato 'il male di vivere'. Fin da giovane si dimostrò brillante negli studi, ma lungo il corso della sua esistenza dovette spesso combattere contro la depressione. Nel 1926 fu tra i frequentatori del Circolo di Vienna e in questo vivace ambiente culturale neopositivista maturò definitivamente la sua vocazione nei confronti della ricerca logico-matematica. Mai scelta risultò più azzeccata visto che già nel 1931, a soli venticinque anni, esponeva in un celebre articolo i presupposti dei suoi teoremi di incompletezza destinati a sconvolgere tutte le teorie logico-matematiche elaborate fino a quel momento. Se di Gödel sono molto noti i rivoluzionari contributi alla teoria logico-matematica, meno noto è il fatto che formulò una sua rielaborazione della prova ontologica di sant’Anselmo di Aosta, ossia di quella dimostrazione logica che ritiene di poter inferire l’esistenza di Dio a priori, partendo dal concetto che abbiamo di lui. Del resto, fino al 1987 la prova ontologica gödeliana era nota esclusivamente a pochi amici dell’autore ed è inoltre rimasta a lungo tra le sue carte inedite. Su questo tema è ritornato di recente David P. Goldman (un redattore capo che dichiara di collocarsi in una prospettiva giudaico-cristiana) sulla prestigiosa rivista First Things, facendo un rapido riassunto del dibattito apertosi in filosofia sulla cosiddetta 'prova a priori' e avanzando alcune osservazioni critiche. Goldman rileva innanzitutto come la scoperta dell’impossibilità di fare della matematica un sistema formale in sé compiuto quale conseguenza dei teoremi di incompletezza conduca lo stesso Gödel a concludere che noi non possiamo conseguire un credibile approccio con la realtà senza la presenza di Dio. Dopo aver infatti tentato nel 1949 di prospettare una soluzione originale delle equazioni della teoria generale della relatività del suo amico Albert Einstein sulla base dell’ipotesi di un universo in rotazione su se stesso, dopo aver cioè proposto una descrizione logica del cosmo, Gödel sancì che pure così al 'sistema' continuava a mancare qualcosa di essenziale: la ragione dell’esistenza del mondo secondo un ordine logico-matematico. E la soluzione di questo problema poteva venire soltanto da una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, ossia dalla necessità logica della presenza di un ente che assommi in sé tutte le qualità positive. È dunque da presupposti sia logici sia esistenziali che è scaturita nella mente di Gödel l’esigenza di concepire una nuova prova ontologica modale. Ma, come nota correttamente Goldman, il Dio di Gödel non è né la divinità benevola della vecchia teologia naturale né il perfetto armonizzatore dei seguaci del disegno intelligente, dal momento che egli cela totalmente il proprio volto nel mondo e può essere colto soltanto nel paradosso e nell’intuizione razionale.
Nonostante ciò, Dio non è un’astrazione perché «può agire come una persona» ed è quanto constata facilmente chi come Gödel lo cerca nel paradosso.
Chi si imbatte nella prova ontologica di Gödel difficilmente riesce a non provare nello stesso istante ammirazione e sconcerto: ammirazione per il rigore logico della dimostrazione; sconcerto per l’arditezza della prova. Si tratta, infatti, di un teorema logico costituito da ventotto passaggi e strutturato con formule ben formate di logica simbolica (accompagnate da alcune annotazioni piuttosto scarne dell’autore), la cui conclusione equivale alla seguente perentoria affermazione: «Dio esiste necessariamente, come volevasi dimostrare». La ritrosia dell’autore a renderla nota la dice lunga sui pregiudizi del suo ambiente universitario contro fede religiosa. Come ricorda sempre Goldman riportando le parole di Adele, la moglie di Gödel, «sebbene non andasse in chiesa era religioso e leggeva la Bibbia a letto ogni domenica mattina». Non manifestava pubblicamente le sue convinzioni religiose perché temeva di risultare ridicolo, visto che – come scriveva alla madre nel 1961 – «il novanta percento dei filosofi contemporanei considerava loro principale dovere espellere dalla testa degli uomini la beatitudine religiosa». Trattando della prova a priori dell’esistenza di Dio nel mio libro intitolato Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a Kurt Gödel (Marietti), ho osservato che una dimostrazione di questo tipo può essere accolta se si accetta una qualche forma di platonismo delle idee o delle essenze per cui i concetti sono dotati di una realtà oggettiva.
Con questa tesi pare concordare anche David P. Goldman, il quale lascia intendere che Gödel in matematica era un 'platonista', ovvero aderiva alla posizione di chi ritiene che i numeri e le funzioni matematiche non sono una mera 'costruzione' del nostro intelletto, ma possiedono una realtà propria. A detta di Goldman, tuttavia, la sfida maggiore lanciata dal pensiero religioso di Gödel è rivolta non ai matematici, bensì ai teologi, che lo hanno fino ad ora volutamente evitato forse perché si tratta di una sfida troppo impegnativa.
Il teorema si chiude con un perentorio: «Dio esiste necessariamente, come volevasi dimostrare». Però fu pubblicato postumo, perché il genio di Brno temeva i pregiudizi degli altri scienziati