Agi 30.9.10
Libri: Il 2 ottobre a Firenze Massimo Fagioli con Left 2007
(AGI) - Firenze, 30 set. - "I partiti devono essere rifondati, alla politica servono volti ma soprattutto idee nuove. Il monito del sindaco Matteo Renzi, rilanciato dal primo cittadino di Firenze anche in queste ore, sembra quasi riecheggiare la ricerca di Fausto Bertinotti e il suo tentativo di superare il comunismo verso quello che l'ex segretario di Rifondazione aveva definito il Socialismo del XXI secolo". Di quel comune e difficile percorso, che ha visto vicini nella ricerca di nuove strade per la sinistra Fausto Bertinotti e lo psichiatra Massimo Fagioli, si racconta in "Left 2007", il nuovo libro del professore pubblicato da L'Asino d'oro edizioni che verra' presentato, per la prima volta dalla uscita nelle librerie il 16 settembre scorso, a Firenze sabato 2 ottobre 2010 presso la libreria Melbookstore. Il libro raccoglie 49 articoli apparsi nella rubrica che lo psichiatra dell'Analisi Collettiva firma sul settimanale "Left" dal 2006, intitolata "Trasformazione", e narra tra l'altro l'evoluzione, fino alla separazione definitiva, del rapporto che dal 2004 al 2007 lo ha visto al fianco di Bertinotti impegnato nella ricerca di una nuova teoria per un moderno socialismo delle idee. Negli inusuali "excursus", tra filosofia storia e poesia, corredati dalle illustrazioni di Alessandro Ferraro, Fagioli non perde mai di vista la concretezza del dibattito politico e l'attualita' in cui versa la realta' umana e sociale del nostro Paese. "La ragione rende depressi e stupidi", scrive Fagioli, quasi fotografando le cause della crisi della politica e delle idee. In alternativa, propone, le idealita' del socialismo delle origini potrebbero dare a uguaglianza e liberta' un senso piu' profondo, se si legano le due parole a una nuova concezione della nascita umana ("quando tutti siamo uguali a tutti?") e del rapporto tra l'uomo e la donna. In "Left 2007" Fagioli non lesina le critiche a quella parte politica, alla quale riconosce l'esclusiva storica dell'utopia del cambiamento, ma a cui contesta, allo stesso tempo, di non essere riuscita ad andare oltre l'idea di "trasformazione del mondo". Marx, il comunismo; ma e' soprattutto ad Heidegger e a Spinoza, prima di lui, che lo psichiatra dedica molte righe (la premessa e i sommari dei "capitoli" del libro sono stampati nella sua calligrafia originale), individuandone una grave responsabilita' culturale, quasi da "cattivi maestri", nel diffondere idee religiose che negano l'identita', la liberta' e la sessualita' degli esseri umani. E' "la scoperta di una intelligenza nuova oltre la ragione" che Fagioli rivendica in "Left 2007" - "quella fantasia invisibile della mente, deformata dal '68 e sempre sottovalutata dalla sinistra, sin dall'Illuminismo, nemico giurato dell'irrazionale -, rinnovando l'elaborazione di ricerche maturate in una prassi ultra quarantennale di confronto con la malattia mentale". (AGI) Sepil manifesto 1.10.10
Porte girevoli
Caso Arlacchi Pd attento a chi esce e a chi entra
Caso Arlacchi Pd attento a chi esce e a chi entra
di Daniela Preziosi
È cronaca di questi giorni l'allungarsi dell'elenco delle fuoriuscite dal Rd. La teodem Paola Binetti, l'ex dc Enzo Carra e l'ex prefetto Serra (approdati nell’Udc), Francesco Rutelli con un gruppetto dei suoi (nell'Api), il federmeccanico Massimo Calearo (gruppo misto tendente al Pdl, dopo uno scalo nell'Api). Perdite, non necessariamente sinonimo di sconfitte, visto che queste uscite fanno appena meno affollata l'offerta delle di linee politiche nel supermarket Pd. La cronaca deve annotare ora alcune richieste di ingresso. E il caso del professore Massimo Fagioli, il pensatore psico‑politico già vicino al Bertinotti della Rifondazione con il vento in poppa, e poi a Marco Pannella. Lo psichiatra due settimane fa ha fatto un endorsément per Bersani. Ieri è stata la volta di Pino Arlacchi, ineffabile ex direttore dell'ufficio Onu per il controllo e la prevenzione delle droghe, il cui bilancio di mandato è discutibile, e infatti discusso da non pochi osservatori internazionali. Arlacchi ha lasciato furibondamente l'ldv e chiede la tessera a Bersani. Il guaio è che Bersani ha risposto sì, per il momento solo a lui, il suo 'rientro' è un fatto «positivo e incoraggiante». d.p.
l’Unità 1.10.10
«Noi ebrei pacifisti in rotta per Gaza picchiati dagli israeliani»
Il racconto del comandante del catamarano Irene bloccato in mare: «Sono stato colpito con una pistola laser». Una testimone: presi a calci e insultati
di Umberto De Giovannangeli
Il commando. In azione lo stesso gruppo che fece il blitz sulla Mavi Marmara
La denuncia. Nurit Peled, premio Sakharov: vi racconto quelle violenze
L’accusa. «L’assedio della Striscia è un crimine e chi tace diventa complice»
Il diario di bordo. «Non vogliamo combattere l’esercito Siamo non violenti»
Questa è la bella storia di eroi di pace. Yonatan, Reuben, Rami. La storia di un «capitano coraggioso» e del suo straordinario «equipaggio». L'«equipaggio dell'Irene». Ma questa è anche la brutta storia di soldati privi di umanità, che affrontano Yonatan, Reuben, Rami e gli altri loro sei compagni di avventura con lo stesso disprezzo riservato ai Nemici d'Israele. Grazie al prezioso contributo di Luisa Morgantini, già vice presidente del Parlamento Europeo e infaticabile animatrice dell'Associazione per la pace, e di Cecilia Dalla Negra, l'Unità può ricostruire ciò che è avvenuto dopo l'abbordaggio dell'«Irene» a largo delle coste di Gaza. E lo fa partendo da una testimonianza eccezionale: quella di Nurit Peled, accademica, Premio Sakharov del Parlamento Europeo. Nurit , è madre di Smadar, uccisa a 13 anni in un attacco suicida a Gerusalemme, ed è moglie di Rami El Hanan, uno dei passeggeri sull'«Irene» dell'organizzazione «Jewish for Justice for the Palestinians», che hanno cercato di rompere l'assedio di Gaza ma sono stati sequestrati dalle navi israeliane,
Ecco il suo racconto. «Uscendo dall'interrogatorio, Yonatan sembrava come qualcuno appena uscito da un campo di prigionia: un lungo volto pallido e distorto. Erano gli stessi, feroci soldati che hanno attaccato la Mavi Marmara (nove attivisti uccisi, ndr). Erano tutti dietro di lui. Lo hanno picchiato, preso a calci, provocato. Gli altri passeggeri hanno detto che urlava e palpitava come un animale ferito, ma il mostro non ha voluto fermarsi. Quando Rami ha chiesto il nome al soldato, lui ha risposto: Geppetto. Adesso Rami è accusato di aver minacciato un soldato perché gli ha detto che avrebbe scoperto ugualmente il suo nome e lo avrebbe denunciato. Yonatan e Itamar (fratelli), che sono stati ammanettati e trascinati, e poi gettati violentemente a bordo di un' altra barca, sono adesso accusati di aver aggredito i soldati e di aver opposto resistenza all'arresto.. C'erano dozzine di commando completamente armati che li hanno assaltati a bordo della nave, 4 imbarcazioni da guerra. Un ufficiale dello Stato maggiore, Amidror, capo dell'Unità di ricerca della Israeli Defence Force (Idf) ha detto alla radio due giorni fa che Yonatan Shapira, un ex pilota dell'Air force, è « psicopatico e deve essere rinchiuso». Nurit prosegue il suo racconto: «Ho reagito a questa affermazione, quindi mi hanno intervistata il giorno seguente. Ho detto loro che questo è quello che i russi hanno fatto a Sakharov, e che Yonatan è il figlio migliore di Israele ed un esempio per tutti i giovani di come le cose dovrebbero essere fatte. Molti giornalisti israeliani ci hanno avvicinato mentre aspettavamo che gli altri fossero rilasciati dall'interrogatorio: ma sembrava che ci vedessero più come una curiosità che come un'affidabile fonte di informazioni. «Il mondo intero – conclude Nurit dovrebbe sostenere Yonatan e Itamar Shapira in questo momento, perché le forze di sicurezza sono certamente dietro di loro, e non ci sono limiti a quello che questi soldati potrebbero ordinare».
Yonatan è tornato a casa. Riusciamo a raggiungerlo telefonicamente. «Non ci sono parole per descrivere ciò che abbiamo subito dopo l'abbordaggio», dice Yonatan Shapira, uno dei primi refusnik, i soldati israeliani che
si sono rifiutati di prestare servizio nei Territori occupati. «Alcuni membri del commando – racconta – ci hanno insultato ed io sono stato colpito con una pistola laser». Ma quello che brucia di più non è il dolore fisico subito. Ciò che lascia il segno è l'odio che animava quelli che un tempo erano stati commilitoni di Yonatan. Eli Usharov, reporter di Canale 10, la Tv commerciale israeliana, conferma il racconto di Yonatan. «Contro di lui – afferma – è stata usata una pistola laser». Yonatan dice di essere orgoglioso per ciò che ha fatto. E come lui i suoi compagni. «L'assedio a Gaza è un crimine – dice – e chi, ebreo o non ebreo, tace si fa complice di questo crimine». Yonatan ha tenuto con sé il diario di bordo, dove ha annotato i momenti salienti del viaggio dell'«Irene». L'Unità, con l'aiuto di Luisa Morgantini e Cecilia Dalla Negra, ne pubblica gli ultimi passaggi: «Siamo nella piccola barca dei Jews for Justice for Palestinians. Non abbiamo intenzione di combattere con l'Esercito, anche se ne avremmo tutto il diritto. Abbiamo scelto la nonviolenza come tattica e strategia, ma non intendiamo arrenderci facilmente fin quando non ammanetteranno e arresteranno il sopravvissuto all'Olocausto, il padre in lutto e fino all'ultimo passeggero sulla nave...Alle 6.12 del mattino, quando ci siamo avvicinati alla costa di Cipro con i primi raggi di sole Itamar era al timone, Bruce e Glen stavano dormendo ed io stavo a prua, cercando di respirare aria pulita nonostante il fumo dei motori improvvisamente una barca di media grandezza ci ha superati. Lo ha fatto passandoci piuttosto vicino, e ci è parso strano. Ci ha girato attorno da nord muovendosi verso ovest, ed era simile ad una piccola nave da guerra. Forse eravamo già un po' paranoici o forse no, e forse era semplicemente una barca della guardia costiera turca. In ogni caso, abbiamo iniziato a pensare e a figurarci come sarebbe stato il nostro incontro con la marina dell'Esercito israeliano, una volta arrivati alla costa di Gaza. Che cosa avrebbe fatto ognuno di noi, in che modo ci saremmo presi cura dei passeggeri, come avremmo reagito se la motovedetta Dabur avesse attaccato la nostra piccola imbarcazione, come negli incidenti precedenti». «Allora – prosegue Yonatan abbiamo deciso di scrivere una dichiarazione in ebraico e in inglese, che leggeremo alla radio sul canale delle emergenze nautiche, quando elementi della Marina o dell'Air Force si avvicineranno a noi. Ecco quello che abbiamo scritto: Siamo una nave della organizzazione ebraica europea Jews for Justice for Palestinians. Siamo sulla nostra strada per Gaza. Non siamo armati e crediamo nella nonviolenza, e siamo determinati a procedere verso il porto di Gaza. Voi state imponendo un assedio illegale su Gaza. Queste sono acque internazionali e noi non riconosciamo la vostra autorità qui. Ci sono attivisti di tutte le età a bordo di questa nave. Tra di noi ci sono sopravvissuti all'Olocausto, genitori in lutto ed israeliani che rifiutano di conciliare se stessi con l'occupazione illegale dei Territori palestinesi. Siamo attivisti pacifisti e disarmati, che credono nella nonviolenza, e siamo determinati di andare avanti per la nostra strada verso il porto di Gaza. Facciamo appello a voi, ufficiali e soldati dell'Esercito israeliano, perché rifiutiate di obbedire agli ordini illegali dei vostri superiori. Per vostra informazione, l'assedio di Gaza è illegale secondo il diritto internazionale, e quindi state correndo il rischio di essere portati davanti ad una Corte internazionale di giustizia per crimini di guerra. L'assedio e l'occupazione sono disumani e contrari alla moralità universale ed ai valori dell'ebraismo. Usate le vostre coscienze. Non dite stavo solo obbedendo agli ordini. Ricordate la storia dolorosa del nostro popolo. Rifiutate di dare forza all'assedio. Rifiutate l'occupazione».
Il sopravvissuto ai lager nazisti imbarcato sull'«Irene» è un signore di 82 anni dalla voce calda, decisa. Come la sua determinazione a non mollare quella che Reuben Moskovitch considera una battaglia di civiltà: «Mai – dice a l'Unità – avrei immaginato che soldati israeliani avrebbero potuto trattare in questo modo nove ebrei» . «Come sopravvissuto all'Olocausto afferma – non posso accettare che lo Stato d'Israele imprigioni dietro le recinzioni e il filo spinato un intero popolo». Quello di Reuben è un modo diverso di tenere viva la memoria di quella immane tragedia: fare di tutto, nel limite del possibile, perché un popolo di vittime non si trasformi in carnefice. «Ogni notte – racconta Reuben Moskovitch – mi sveglio ricordando ciò che subii, che subimmo nei lager nazisti. Quei bambini palestinesi imprigionati hanno lo sguardo implorante dei bambini ebrei di allora. Un popolo che è stato vittima di quella barbarie non può accettare un'occupazione immorale. Dobbiamo ribellarci». E a chi lo accusa di «aver versato deliberatamente benzina sul fuoco dell' odio verso Israele nel mondo», Reuben Moskovitch ribatte sereno: «Il vero eroe è colui che cerca di trasformare un nemico in un amico».
l’Unità 1.10.10
L’intervista
Giorello, il senza dio tollerante
Vivere senza un “supremo garante”, il rapporto con la scienza... La parola al filosofo
di Roberto Carnero
L’Italia
«Ha un problema di laicità. Lo diceva già Gramsci: il concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica è un “contratto trappola”»
Mi sono chiesto se e come sia possibile essere atei oggi in Europa e specificamente in Italia, visto che per secoli la nostra cultura è stata segnata dai grandi monoteismi: ebraismo, cristianesimo, islam. La mia risposta è una sfida: oggi abbiamo tutti gli strumenti, culturali e filosofici, per essere membri di una società che funziona anche senza inventarci un supremo garante religioso dell’ordine e della convivenza. Si tratta di un’acquisizione dell’illuminismo, che però mi sembra che oggi serva ribadire».
Così Giulio Giorello, docente di Filosofia della scienza all’Università degli Studi di Milano, spiega l’intento del suo ultimo libro, Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo (Longanesi, pagine 240, euro 15,00): un trattato sulla fede, o, meglio, su come si possa vivere senza una fede religiosa.
Giorello vuole però subito sgombrare il campo da un possibile equivoco: «La mia non è la proposta dell’ateismo concepito come una sorta di nuova religione laica. Essere “senza Dio” significa coltivare una visione della realtà aperta e tollerante, inclusiva e non escludente, disponibile e non ostile. Essere “senza Dio” non vuol dire essere “contro Dio”. Non sono nemico delle religioni. Una chiesa, una moschea o una sinagoga arricchiscono il paesaggio fisico e anche culturale in cui viviamo. Mi fa piacere che ci siano. Mi fa meno piacere quando coloro che si autoproclamano rappresentanti terreni della divinità scagliano anatemi contro chi in quegli edifici non vuole entrare». Forse anche per questo il cardinale Carlo Maria Martini ha espresso stima per il metodo intellettuale e i toni di Giorello, seppure, evidentemente, senza condividerne le posizioni.
Professor Giorello, quali aspetti della questione del rapporto tra ateismo e religioni ha voluto affrontare nel suo libro?
«Cinque punti in particolare. Il primo: il tema della “reverenza” pretesa, e spesso attribuita, ai rappresentanti delle religioni e ciò che questo atteggiamento comporti in termini di autonomia e libertà di una società. Secondo: il rifiuto della “rassegnazione”, cioè il rifiuto dell’idea, radicata nel cristianesimo (ma non solo), che il male sia un castigo che l’essere umano si è meritato e attraverso il quale possa espiare una colpa. Terzo: un’analisi di come nella storia l’autorità religiosa si sia spesso opposta alla scienza e alla ricerca: dal caso di Ipazia a quello di Galileo Galilei, fino all’atteggiamento di fronte alle teorie sull’evoluzione di Charles Darwin, le varie “chiese” si sono spesso opposte al libero pensiero e al progresso della scienza. E anche oggi le cose spesso non sono molto diverse. Quarto: contro la proibizione. Sogno una società in cui vengano meno tutta una serie di divieti inutili, che non servono ad altro che a mantenere le persone in una condizione di sudditanza psicologica. Gli individui non sono pecore, e quindi non credo che abbiamo bisogno di un “buon pastore”. Quinto e ultimo punto: un excursus storico sulle prove dell’esistenza di Dio. Da filosofo sono affascinato dall’acutezza argomentativa di queste prove. Il loro problema, però, è che spesso esse muovono da premesse più impegnative (e non verificate) dello stesso assunto che intendono dimostrare».
Si aspettava il cauto apprezzamento di un esponente di spicco del mondo cattolico, come l’ex-arcrivescovo di Milano, Martini?
«Io credo che l’ateismo possa essere un buon compagno di strada anche per un religioso. Martini è una persona di grande intelligenza e ha sempre affermato che la vera distinzione non dovrebbe essere quella tra credenti e non credenti, bensì quella tra persone pensanti e persone non pensanti. Credo che sia lui che io apparteniamo a quest’ultima categoria. Quando guidava la diocesi di Milano, Martini si fece promotore di un’iniziativa illuminata come la ‘cattedra dei non credenti’. Partendo da un dato: in ogni credente alberga un non credente (in termini di dubbi e domande che egli si pone), come in ogni non credente c’è un credente (con alcune domande di senso sull’esistenza). La ragione dovrebbe insegnarci a prendere in considerazione gli argomenti e da nuove prove. Ma lo si fa senza imporre dogmi o reciproche scomuniche. Ma attenzione, non sto proponendo di sostituire alla religione la scienza, facendo di quest’ultima, in qualche modo, un nuovo credo, come fa, ad esempio, un collega, pure simpatico, come Piergiorgio Odifreddi. Abbiamo già quattro vangeli canonici, più quelli apocrifi, non ci serve un nuovo “vangelo della scienza” non siamo più nel secondo Ottocento, nell’età del positivismo. Dico solo che dalla scienza dobbiamo apprendere un metodo di riflessione e di discussione».
Secondo lei oggi in Italia esiste un problema di laicità? «Direi proprio di sì. Lo diceva già Gramsci: il concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica è un “contratto trappola”, perché dà tutti i vantaggi a una sola parte, cioè alla Chiesa. Poi mi sembra grave che, per l’ingerenza del Vaticano negli affari politici nazionali, non si possa discutere serenamente di testamento biologico, regolamentazione giuridica delle convivenze di fatto e di alcuni temi che attengono alla scienza».
il Fatto 1.10.10
Gli xenofobi decidono dell’Olanda: divieto di burqa e via gli stranieri
di Giampiero Gramaglia
Dentro il nocciolo duro dell’integrazione europea, il Benelux. Proprio in quell’Olanda che esplorò l’integrazione nel calcio con antillesi e molucchesi nella nazionale oranje. Lì nasce un governo di minoranza di centro-destra con l’appoggio esterno, determinante, di un partito xenofobo anti-Islam, il Pvv. Geert Wilders, il suo leader, detta le condizioni, accettate per sostenere la coalizione senza farne parte: il divieto di indossare il burqa e restrizioni al'utilizzo del velo da parte di alcuni settori del pubblico impiego. Ci sono voluti quasi quattro mesi, 112 giorni esatti, per concordare – dopo le elezioni di giugno – composizione e programma del nuovo governo olandese. Mark Rutte, leader dei liberali del Vvd, il maggiore partito )31 seggi su 150), e Maxime Verhagen, negoziatore dei cristiano-democratici del Cda, il partito sconfitto, 21 seggi, hanno concordato con Wilders il sostegno esterno del Pvv, 23 seggi.
PER LA PRIMA VOLTA nella storia olandese, un partito d’estrema destra è parte di un’intesa di governo; e, per la prima volta da oltre 70 anni, dal lugubre 1939 pre-bellico, c’è una coalizione di minoranza di destra al potere. L’Olanda si scopre laboratorio di compromessi in un’Europa battuta dal vento della xenofobia e del razzismo. La buona notizia è che liberali, cristiano-democratici e anti-Islam, insieme, hanno una maggioranza risicata, un solo seggio: il governo nasce instabile e molti pensano che, nella primavera prossima, o al massimo fra un anno, si tornerà a votare. Fuori dall’inciucio xenofobo-conservatore, restano i socialisti, la seconda forza politica olandese, con 30 seggi: l’accordo con loro avrebbe reso superfluo l’appoggio dell’estrema destra e più robusta la coalizione, ma la distanza tra il rigore dei liberale e la politica della spesa socialista era troppo grande per essere colmata. Wilders gongola (“È un grande giorno per il nostro Paese, ci saranno grandi cambiamenti: faremo sentire il nostro peso perché abbiamo molto da dire”); Rutte prevede “un’Olanda più forte”; i cristiano-democratici sono perplessi: domani, un congresso valuterà l’intesa (e potrebbero esserci sviluppi a sorpresa). Wilders, che vuole cacciare gli immigrati e chiudere le moschee (ieri ha annunciato che l’immigrazione extra Ue verrà ridotta del 50%) dovrà presentarsi in tribunale lunedì e difendersi dalle accuse di incitazione all’odio razziale e alla discriminazione. C’è chi pensa che coinvolgere gli xenofobi permetta di moderarli e persino neutralizzarli. Per ora, dà loro potere e visibilità.
il Fatto 1.10.10
Leggere davvero Calamandrei
di Gian Carlo Caselli
Nel suo discorso alla Camera dei deputati il premier ha citato Piero Calamandrei, padre costituente fra i più autorevoli, sui cui scritti, generazioni di giuristi si sono formati. Citazione per citazione, poiché nel suo discorso il premier ha ripetuto per l’ennesima volta lo stanco refrain dell’uso politico della giustizia, accusando i magistrati di aver alterato – negli ultimi 15 anni – l’equilibrio fra giurisdizione e politica (“l’ever green di una pedata alla magistratura”, ha commentato Mattia Feltri su La Stampa), vorrei fare appello a un passo di Calamandrei che si legge nel suo celebre Elogio dei giudici scritto da un avvocato, reperibile – nell’indice alfabetico-analitico dei nomi, degli aforismi e degli argomenti – sotto la voce “Criptocomunista (giudice considerato tale)”.
CALAMANDREI narra di quel miliardario il cui figlio, guidando a velocità pazzesca, aveva sfracellato contro il muro un passante che andava per i fatti suoi sul marciapiede. Il padre corre dal primo avvocato della città, tacita con un forte indennizzo la famiglia dell’ucciso, ma c’è quel fastidio dell’istruttoria penale che continua ad andare avanti: uno sconcio che l’avvocato deve far finire senza badare a spese. Alla spiegazione dell’avvocato, che la giustizia non è una merce in vendita, il miliardario – sdegnato – reagisce infine con la frase “ho capito, lei non me lo vuole confessare: abbiamo avuto la sfortuna di cadere in mano di un giudice criptocomunista”.
ROBA di settant’anni fa, ma da rileggere oggi per constatare come sia decisamente vecchia e sorpassata l’ossessione vittimistica di chi tende a buttare “in politica” i propri guai giudiziari, esibendosi in offese senza l’ombra di una prova e in gratuiti attacchi all’autonomia della funzione giurisdizionale; offese e attacchi che fanno temere la propensione per un sistema (poco rispettoso dell’ordine costituzionale dei poteri) dove le sentenze ‘giuste’ sono soltanto quelle gradite “in alto loco” e dove si aprono ampie piste a riforme lesive del principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.Chissà mai. Forse una rilettura di Calamandrei potrebbe riportare il dibattito sui problemi della giustizia nel perimetro degli interessi generali, abbandonando finalmente la logica degli interventi pensati con un occhio di riguardo a certi particolari interessi. Sperare che ciò avvenga può essere da ingenui, ma è anche fiducia in un futuro possibile, che riparta dalla Costituzione per lavorare a una comunità più capace di rompere le ingiustizie.
l’Unità 1.10.10
Il manicomio elettrico e il suo cantastorie
di Alberto Crespi
Aconferma che i festival fanno male alla salute, siamo rimasti sorpresi dalle reazioni veneziane a La pecora nera, esordio nella regia cinematografica di Ascanio Celestini. Diversi recensori hanno rimarcato la natura «teatrale» del film (e qui ha sbagliato Ascanio: non doveva dirlo in giro, che La pecora nera è anche uno spettacolo teatrale, e nessuno se ne sarebbe accorto...). Dal canto suo, si dice che la giuria abbia per qualche istante pensato di premiarlo come attore, che sarebbe stata una scelta buffa: Celestini è un incredibile performer, una forte presenza scenica, ma è difficile pensarlo come «attore» in film altrui, alla fine fa sempre... Celestini, sia pur declinato nei vari personaggi modellati su se stesso.
Proviamo quindi a far finta che Venezia non ci sia stata (non è difficile, dai!). Signore e signori, benvenuti al primo bellissimo film di Ascanio Celestini, autore teatrale musicale e radiofonico, attore e cantante, scrittore di romanzi, documentarista, custode della memoria romana e non solo, in una parola: cantastorie, nel senso più nobile del termine. Sì, Ascanio Celestini è un uomo che racconta delle storie, e il cinema era l’unico strumento che ancora non aveva utilizzato. Nello spettacolo al quale La pecora nera si ispira è in scena da solo, con pochissimi arredi e l’unica forza della sua voce e della sua faccia barbuta. Il film riprende fedelmente le situazioni dello spettacolo, non rinunciando alla voce fuori campo, ma le «apre» e le ambienta in periferie dal sapore pasoliniano e in un manicomio che restituisce tutto l’orrore dell’Istituzione con la «I» maiuscola. Nicola ci vive da quando è bambino, nel «manicomio elettrico» (ovvero, dove si pratica l’elettroshock). La pecora nera è la storia di come ci è arrivato e di come ha costruito, in questa via crucis, un modus vivendi che tutto sommato lo rassicura e gli permette di andare avanti. Il senso tragico della Pecora nera è proprio questo: come la chiesa e la famiglia e la caserma e tanti altri universi concentrazionari, il manicomio è rassicurante. La paura sta fuori. Per questo, nella barzelletta che apre il film, i matti in fuga scavalcano 99 cancelli e, arrivati al centesimo e ultimo, si stufa- no. E tornano indietro.
L’espresso 40.2010
A Freud piace l'e-book
di Antonella Fiori
La rivoluzione del libro digitale arruola il padre della psicoanalisi, ma anche García Márquez, Sepúlveda, Safran Foer, Pennac... È il nuovo business dell'editoria. Ecco autori, titoli, cifre e i rischi della prossima stagione
Molti anni dopo, davanti al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio... La storia dell'e-book italiano potrebbe iniziare così: da un incipit epico come quello di "Cent'anni di solitudine" di Gabriel García Márquez, che ha ceduto i diritti digitali dei suoi romanzi in esclusiva mondiale a Mondadori e avrà una versione in e-book solo in italiano. La smaterializzazione del libro è cominciata. Impalpabili, con volta pagina fruscianti, su sfondi color seppia sfumati, gli e-book stanno per arrivare sui nostri reader lanciati in Rete dalle nuove piattaforme digitali realizzate dagli editori italiani. La battaglia si scatenerà alla vigilia di Natale, quando è previsto un boom nella vendita dei supporti, dall'i-Pad al Kindle al nuovissimo Samsung. Ma le case editrici stanno già cominciando a presentare i pezzi da novanta. E alla Buchmesse di Francoforte, dal 6 ottobre, non si parlerà d'altro: l'e-book farà scintille con "Frankfurt Sparks".
Intanto, cosa fanno i giganti? Ecco qualche nome e titolo. Mondadori parte con Ken Follet: "La caduta dei giganti", appena uscito in cartaceo, sarà disponibile in digitale nei prossimi giorni. Rizzoli darà battaglia con gli italiani: Gianrico Carofiglio "La manomissione delle parole", Dacia Maraini "La seduzione dell'altrove" e Giampaolo Pansa "I vinti non dimenticano". Ciliegine sulla torta (per Rizzoli): un esordiente d'eccezione, il direttore d'orchestra Riccardo Muti e il catalogo a fumetti con tutta l'opera di Hugo Pratt. Il Gruppo Gems (Guanda, Longanesi, Bollati Boringhieri, Garzanti tra i suoi marchi) risponde con James Patterson, tra i più richiesti al mondo in digitale, Wilbur Smith e Massimo Gramellini (tutti Longanesi), ma anche con il meglio del raffinato catalogo Guanda: da Jonathan Safran Foer a Luis Sepúlveda. E poi l'"Interpretazione dei sogni" di Freud (Bollati Boringhieri). Si potrà leggere in e-book il nuovo libro per ragazzi di Susanna Tamaro (Giunti), tutta l'opera di Pennac (Feltrinelli), e, sempre per Feltrinelli, autori come Jonathan Coe, Galimberti, Saramago. Infine Marsilio lancia la trilogia di Stieg Larsson, caso emblematico: i libri dello scrittore svedese negli Stati Uniti hanno venduto quasi il doppio in versione e-book rispetto al cartaceo.
Confortati dalle notizie Usa dove il mercato del libro elettronico non ha eroso quello tradizionale, gli editori italiani hanno vinto le loro paure: "L'offerta sarà di sette-ottomila titoli scaricabili entro Natale. La previsione è quella di un mercato che arriverà a coprire, entro dicembre, l'1,5 per cento del catalogo e l'8-9 per cento delle novità", dice Cristina Mussinelli, consulente per l'editoria digitale dell'Aie, Associazione italiana editori. A prima vista sembra poco, in realtà è l'inizio di una rivoluzione, soprattutto per l'investimento nelle novità.
E già in molti si pongono la domanda: riusciranno le star della carta da Stephenie Meyer a Erri De Luca, a Nick Hornby (tutti quanti tra gli autori di libri che saranno scaricabili) a scalare anche le classifiche digitali? Il mercato italiano, si sa, è piccolo, ragione per cui la nostra editoria ha ripiegato (si fa per dire) su prodotti di altissima qualità. O se vogliamo: l'editore italiano si rivolge a lettori forti, spesso diffidenti a leggere su schermi digitali, anche se si tratta di un'abitudine che, secondo le ultime rilevazioni, si è triplicata in tre anni e riguarda quasi due milioni di italiani. Gli editori rispondono così: scaricare un romanzo su e-reader ha dei vantaggi. Velocità, possibilità di passare alla soddisfazione immediata del desiderio di lettura, senza aspettare l'ordine via Internet, o andare in libreria. Ma anche "ritrovare libri spariti troppo in fretta dagli scaffali, che grazie al formato elettronico, potranno avere nuove fortune", come dice Claudia Tarolo di Marcos y Marcos. Lo stesso editore proporrà titoli fuori catalogo. Libri che in cartaceo non sarebbero mai stati ristampati: troppo alto il divario tra l'investimento e i possibili guadagni. Diverso il discorso sul destino dei classici, che ormai in rete si scaricano gratis. Paolo Zaninoni, direttore editoriale di Rizzoli, è certo: "Resisteranno collane come la Bur, con apparati e commenti necessari per chi studia".
E così si arriva alla questione dei costi: ovviamente fondamentale. Molto del destino della nuova industria editoriale si giocherà sul prezzo del libro. Oggi si parla del 20-30 per cento in meno rispetto al cartaceo. Ma per Francesco Cataluccio, veterano dell'editoria (ha diretto Bruno Mondadori e Bollati Boringhieri) e autore di "Che fine faranno i libri?", uscito pochi mesi fa con Nottetempo, il prezzo del libro digitale dovrebbe arrivare almeno alla metà di quello tradizionale dato che "l'e-book riduce del 46 per cento le spese". Più cauto Gianluca Foglia, direttore editoriale di Feltrinelli, che proporrà in digitale circa 800 titoli, ossia un terzo di quelli attualmente in commercio: "I libri costeranno meno ma non troppo di meno". E spiega qual è il vero pericolo: "Dobbiamo stare attenti a non mandare all'aria l'industria editoriale come è successo nel caso della musica". Il pericolo pirateria è evidente. Ma intanto con l'e-book moltissimi costi si azzerano: basta carta, inchiostro, magazzini, rese. E anche benzina, camion. La distribuzione sarà affidata a piattaforme digitali. Un'occasione per rendere l'editoria più democratica? Forse, ma siamo in Italia, e come nelle altre industrie culturali (tv, cinema) anche qui avremo a che fare con un duopolio (con un piccolo terzo polo): da una parte Mondadori, dall'altro Edigita, nata dalla partnership di RCS Libri, GeMS, Feltrinelli, Messaggerie italiane. Il meccanismo prevede che possano distribuirsi in vendita attraverso siti di e-commerce italiani (Bol, IBS e Feltrinelli) e stranieri (Amazon e iBookstore) tutti gli e-book. "Il modello italiano comunque è più pluralista di quello americano dove Amazon e Google agiscono come unici operatori", dice Foglia, "per quel che riguarda le strategie di promozione il processo naturale è che quando i libri cartacei saranno messi in vendita sugli scaffali lo saranno anche in e-book".
E il terzo polo? Si chiama Book Republic, è stato fondato da Marco Ghezzi e Marco Ferrario (16 anni in Mondadori), e unisce una cordata di piccoli e medi editori di qualità: Codice, Saggiatore, Minimum Fax, Iperborea, Nottetempo, Maestrale. Book Republic oltre a essere il distributore è anche uno store già attivo come altre librerie virtuali. "Sta cambiando tutto e i libri si potranno acquistare anche da Facebook o da altri social network", spiega Ferrario, e scommette che l'e-book arriverà a una quota del 10 per cento nei principali mercati europei nel giro di tre anni. Intanto ha dato vita a 40K, casa editrice di soli e-book che lancia a Francoforte in prima mondiale "Il bisturi partenopeo" di Bruce Sterling, romanzo ambientato nell'Italia ottocentesca. Un modello, quello di 40 K che prevede anche innovazioni contrattuali. In sostanza: i diritti mondiali varranno solo tre anni (e non più sette o dieci come è nel mondo del cartaceo) con autori che sono interessati al formato di short stories e saggi brevi, e alla pubblicazione in contemporanea in tutto il mondo e in più lingue. Perché, appunto, è nel settore delle royalties che stanno mutando gli equilibri. Non tutti gli autori sono pronti a cederli. Tanto che un agente di primo piano come Roberto Santachiara, ha messo in guardia gli autori che rappresenta, da Roberto Saviano a Simona Vinci a Wu Ming dal vendere le royalties delle versioni digitali delle proprie opere. Il ragionamento è semplice e richiama a quanto detto da Cataluccio e Foglia: poiché un e-book ha costi minori, le percentuali dell'editoria tradizionale (dall'8 e fino al 15 per cento sul venduto) non sono più applicabili. Quello di Santachiara è solo un ragionamento ed è piuttosto logico: la vera prima guerra dell'e-book è stata invece quella tra il potentissimo agente Andrew Wylie e il colosso americano Random House. È finita con un accordo. Ma nel frattempo si è capita una cosa semplice: qualcuno (Wylie) sta ipotizzando un mondo senza più editori tradizionali. Wylie (prima dell'accordo raggiunto, e vedremo quanto tempo terrà) aveva annunciato una partnership con Amazon per la pubblicazione e la vendita di una dozzina di libri degli autori che rappresenta: da Nabokov e Updike in formato e-book, senza l'intermediazione appunto dell'editore.
Ma allora, quanto valgono i diritti? Dipende. Il fatto è che nessun editore oggi è disposto a dare a un autore che offre un romanzo fruibile solo su un altro supporto elettronico lo stesso anticipo di un'opera in cartaceo. Tutti sono certi però che il mercato esploderà. E che cambierà la natura del prodotto. "Se avete visto "Alice in Wonderland" per iPad e iPhone non potrete che rimanere affascinati dall'idea di giocare con il testo, con la storia, come se il libro si fosse trasformato, ma mi verrebbe da dire fosse diventato un oggetto ludico", dice Elisabetta Sgarbi, direttore editoriale Bompiani. In Mondadori, intanto, dal primo settembre è nata la Direzione digital, una nuova area, diretta da Vittorio Veltroni. E Riccardo Cavallero, direttore generale Libri Trade della stessa casa torna alla questione delle questioni, il prezzo: "Che nell'e-book, al contrario del cartaceo dove cambia solo se muta il formato, può variare velocemente, e diventa uno strumento di marketing". Un problema è quello dell'Iva, che non è la stessa nei vari paesi europei. "Prevedo che gli store che venderanno i libri con sede legale in Italia, Germania, Inghilterra, con l'Iva al 20 per cento praticheranno prezzi più alti di quelli dove l'Iva è più bassa". La galassia Mondadori, da parte sua, metterà in commercio entro fine anno oltre 1.400 titoli digitali, tra cui il nuovo romanzo di Alessandro Piperno, "Persecuzione" e uscirà a Natale con una ventina di titoli con apparato multimediale: dal romanzo "Alexandros "di Valerio Massimo Manfredi a Geronimo Stilton per Piemme. La rivoluzione è cominciata davvero. Ed è curioso che il suo primo simbolo sarà uno scrittore come García Márquez che, come pochi altri, ha saputo giocare con la magia e l'immaginazione per raccontare un altro mondo: eroico, romantico, nostalgico, ma proiettato nel futuro.
L’espresso 40.2010
Resurrezioni
Verdiglione spa
dI Gianfrancesco Turano
Psicoanalista e craxiano d'assalto negli anni d'oro, il filosofo torna in pista alla guida di un impero economico. Che va dalla cultura ai matrimoni a feste alla "Eyes Wide Shut"
Cantaci, o Diva, Armando Verdiglione, filosofo, psicoanalista, immobiliarista. Imprenditore con oltre un miliardo di patrimonio ma con denaro insufficiente a pagare i dipendenti, che devono rivolgersi al giudice. Craxiano con un passaggio alla casella prigione, resuscitato durante il berlusconismo, capace di accogliere a villa San Carlo Borromeo, la sua umile dimora trecentesca di Senago in bassa Brianza (300 milioni di euro di valore), intellettuali come Edgar Morin, Alain Finkielkraut e, in passato, Eugène Ionesco, Jorge Luís Borges, Jacques Lacan. L'emigrante di Agromastelli, frazione di Caulonia nella Locride, ha saputo diventare amico del bibliofilo Marcello Dell'Utri. Ha ricevuto il governatùr lombardo Roberto Formigoni, il ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, il potente Gaetano Miccichè di Banca Intesa. Insieme alla moglie Cristina Frua De Angeli, erede di un'antica famiglia meneghina, ha costruito una galassia di società che ha la stessa trasparenza del periodare verdiglioniano, condensato nel Dizionario di cifrematica.
Esempio. "Duello: le cose procedono dal due. Corpo e scena. Corpo immortale e scena originaria. Non il corpo mortale e sacrificabile o sacrificale. Non la scena del negativo, del male, della corruzione, del peccato. Duello, ironia: il modo del due. La speranza, il futuro, la preghiera, l'eucaristia: è questa l'ironia, il modo dell'inconciliabile. Il modo del due, corpo e scena. L'inconciliabile. Leonardo da Vinci dice chiaroscuro. Nel contrasto chiaroscuro si tratta dell'inconciliabile. Né tutto chiaro né tutto scuro. Chiaroscuro: l'inconciliabile".
Verdiglione, 66 anni a novembre, persiste a conciliare l'inconciliabile. Di qua, i maestri russi dell'Ottocento. Di là, i matrimoni nel nuovo gazebo da mille posti inaugurato in settembre nei 10 ettari del parco di Villa Borromeo. Da una parte, la festa della filosofia (marzo 2010) e l'annuale festival della modernità. Dall'altra, l'evento molto speciale del Capodanno 2010, quando l'ex dimora del cardinale Federigo Borromeo è stata data in affitto alla Castle Events, società dello svizzero Andrej Lorenc che organizza party per scambisti mascherati nello stile di "Eyes Wide Shut" di Stanley Kubrick. Niente pubblicità, si intende. Solo qualche foto e una sobria descrizione della festa nel sito della Castle events, a ricordare le 75 coppie presenti e la cena da cinque portate seguita da un "unrestrained party" proseguito fino alle sette di mattina nella stanza 115.
Tempi difficili, d'altronde. Bisogna prendere quello che viene. Anche se il calendario delle manifestazioni aziendali a villa Borromeo continua ad essere affollato. Soltanto per fare qualche nome, hanno affittato le strutture della residenza per i loro eventi società come Mazda, Bp, Fastweb, Intesa Sanpaolo. I vertici di Mediaset si sono riuniti a Senago per definire la stagione 2010-2011 dei canali in chiaro e della piattaforma criptata di Premium.
Terminati matrimoni e convention, il sabato ruota attorno alla cultura. Verdiglione, che trascorre la settimana negli uffici-residenza di via Gabba, dietro via Montenapoleone, apre il ricevimento alle 9 di mattina. Accoglie i suoi collaboratori principali: Fabiola Giancotti, il responsabile finanza Rino Poli, Anna Gloria Mariano, che segue i grandi eventi, e un personaggio quasi altrettanto flamboyant quanto il guru calabrese. Si tratta di Guido Crapanzano, ex cantante anni Sessanta con il nome di Guidone, tra i fondatori del clan Celentano, presente come gruppo d'appoggio al concerto milanese dei Beatles, e oggi consulente filatelico di Bankitalia su nomina dell'ex governatore Antonio Fazio, dopo avere partecipato all'ideazione dell'euro con il gruppo di esperti della Bce. L'atmosfera sembra diversa da quella degli anni Ottanta, quando il filosofo venne arrestato, poi condannato a quattro anni per truffa e circonvenzione di incapace, nonché apparentato a un santone che si approfittava di seguaci troppo creduli.
Molti dei manager di oggi sono anche soci delle fondazioni, movimenti e università che controllano le società di capitali dove ogni anno entrano, all'incirca, 320 milioni di euro di ricavi. A giudicare dai conti, sono attività in ottima salute, con debiti lordi di gruppo di poco superiori ai 100 milioni di euro, cioè nulla rispetto al patrimonio dichiarato. Anche a fare la tara alle perizie sulle opere d'arte, realizzate da sodali del filosofo per un valore di molti milioni di euro, gli immobili sono più che sufficienti a tenere tranquille le banche finanziatrici.
La gallina dalle uova d'oro è villa Borromeo. Acquistata nel 1983, la residenza fattura da sola quasi 150 milioni di euro. La sua posizione è altamente strategica, visto che si trova a sette chilometri dalla nuova Fiera di Milano di Rho-Pero e a dieci chilometri dall'area espositiva di Fiera Milanocity, nell'area del Portello. Questo significa contiguità con i terreni dove sorgeranno, Formigoni permettendo, i padiglioni dell'Expo milanese del 2015. Di fatto, la struttura di Senago finirà integrata nello spazio dell'esposizione universale a nord-ovest di Milano.
Questo dovrebbe avere conseguenze positive sui profitti da distribuire ai soci. Chi siano i fortunati è difficile dire, considerata la presenza di sigle molto riservate: il Movimento cifrematico, l'Associazione cifrematica e l'Associazione del Museo di villa Borromeo, le fondazioni Modernitas e, la più roboante, la Fondazione Culturale Internazionale Armando Verdiglione Università del Secondo Rinascimento.
A fianco di questi club esclusivi, c'è una batteria di holding estere: le britanniche Coffsharb, Aleph City, Wisden Rock, e la svizzera Geston di Sion, che risulta in liquidazione agli atti del registro elvetico aggiornati al luglio 2010. A disposizione di questa rete oscura, ci sono le italiane Stalo, Zephyros, Events and Hospitality, la cooperativa Sanitas atque salus e la Frua De Angeli Holding, che ha incorporato la più vecchia e la più giovane delle proprietà di Verdiglione.
La prima è Spirali, la casa editrice che ha segnato il debutto del filosofo trent'anni fa e che, a detta del fondatore medesimo, "ha promosso intraprese molteplici dagli effetti incommensurabili" oltre ad avere "acquisito una notorietà immensa tanto da diventare mito e leggenda". Dentro Frua De Angeli Holding c'è anche l'ultimo affare del gruppo Verdiglione, la villa Rasini a Medolago, una frazione del comune brianzolo di Limbiate. Anche questa è una residenza realizzata nel Quattordicesimo secolo. L'acquisto risale a quattro anni fa. La Frua De Angeli holding l'ha comprata dalla famiglia triestina Baldassarre per una valutazione che si aggira attorno ai 16 milioni di euro. In più, va calcolato l'investimento necessario a rendere funzionale l'immobile. La villa ha bisogno di essere completamente restaurata e per questo sono in corso contatti con la giunta comunale amministrata da Antonio Romeo. Fra Verdiglione e il sindaco di Limbiate, rieletto con un tonante 61 per cento alle ultime municipali, ma bocciato come consigliere regionale al voto del 2010, ci sono origini comuni nella provincia di Reggio Calabria. Finora la ristrutturazione di villa Rasini, approvata dalla giunta comunale, stenta a prendere piede, anche se nel 2008 Bondi ha autorizzato i lavori che dovrebbero portare alla realizzazione di un centro congressi, un albergo di 130 stanze, una spa e un ristorante.
Ma il gruppo Verdiglione sembra non disporre dei fondi necessari a realizzare le opere per decine di milioni di euro che avrebbero dovuto concludersi nel 2010 e che sono ancora molto indietro. Il quadro politico locale non aiuta. La Brianza Felix e i suoi amministratori sono finiti coinvolti in pesanti polemiche, dopo che a luglio la Direzione distrettuale antimafia di Milano guidata da Ilda Boccassini ha arrestato 300 esponenti della 'ndrangheta e ha individuato in Limbiate uno dei centri di massima infiltrazione del crimine organizzato calabrese in Lombardia. Le 'ndrine hanno scarsi interessi filosofici ma adorano l'edilizia.