mercoledì 17 gennaio 2007

Reuters 17.1.07
Base Usa, Bertinotti: giusto impedire nuove presenze militari


MILANO (Reuters) - Il presidente della Camera Fausto Bertinotti ha preso oggi le distanze dal piano di allargamento della base militare Usa a Vicenza, sostenendo che la pace va incoraggiata e invitando l'Europa a essere più autonoma dalle altre potenze mondiali.
L'allargamento della base statunitense ha ricevuto ieri il via libera del presidente del Consiglio Romano Prodi, ma non piace alla sinistra radicale, che ha promesso battaglia.
In un'intervista al Gr Parlamento, l'ex segretario di Rifondazione Comunista ha definito "caricaturale e fuorviante" l'accusa di anti-americanismo e una "buona cosa" ogni atto che vada verso la pace.
"Il problema in questa fase del mondo è la conquista da parte dell'Europa, e dell'Italia in Europa, di un'autonomia della Ue da altre potenze mondiali. Mi pare che l'Europa si stia incamminando su questa strada e ogni atto che va in direzione della pace, compreso quello con cui si impediscono nuove forme di presenza e organizzazione militare siano una buona cosa", ha detto Bertinotti al Gr Parlamento.
Il presidente di Montecitorio ha aggiunto che le parole "filoamericano e anti-americanismo sono termini che si possono usare solo in modo caricaturale e fuorviante ... e chi ne resta imprigionato manifesta una subalternità".
Nel corso di una conferenza stampa ieri a Bucarest, Prodi ha detto che il governo italiano non si oppone all'allargamento della base militare americana dell'aeroporto di Vicenza.
Prodi ha anche ribadito che le relazioni tra Italia e Usa sono senza increspature e costruttive da oltre 60 anni, rispondendo indirettamente al capo dell'opposizione Silvio Berlusconi, che aveva accusato il centrosinistra di essere inaffidabile per gli Usa, non rispettando gli impegni internazionali assunti sotto il suo precedente governo.
COSSIGA: DECADUTO ACCORDO ITALIA-USA
Il progetto di allargamento della base statunitense, approvato dall'esecutivo di centrodestra, è contestato dalla sinistra radicale e dai "comitati del no" che hanno istituito un sit-in a Vicenza davanti alla base militare.
Rifondazione Comunista e Verdi-Pdci hanno chiesto al governo di riferire immediatamente in aula sull'argomento.
"La vicenda non può concludersi senza un confronto, senza tener conto delle 12 mila firme raccolte dai cittadini di Vicenza e degli impegni presi con i senatori pacifisti in occasione del rifinanziamento della missione in Afghanistan", scrivono i senatori Manuela Palermi e Natale Ripamonti, presidente e vicepresidente del gruppo Verdi-Pdci al Senato.
Esortando il governo a fare chiarezza nella sua strategia politica, il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga ha reso noto di aver presentato oggi un disegno di legge per dichiarare decaduto l'accordo bilaterale italo-americano del 20 ottobre 1954.
Sulla base di questo accordo, in applicazione del Trattato del 1949 istitutivo della Nato, l'Italia concesse diverse basi militari agli Stati Uniti.
Secondo Cossiga, ormai cessate le condizioni di minaccia alla sicurezza dell'Italia per le quali il trattato fu stipulato con la clausola "rebus sic stantibus", "detto accordo può considerarsi decaduto o denunziabile e quindi revocabile la concessione di dette basi militari".

Repubblica 17.1.07
Veronesi: l'invadenza della Chiesa blocca il lavoro della scienza


ROMA - «La scienza in Italia non è amata, non è coltivata, non interessa. Con tutto il rispetto, noto un´invadenza del mondo religioso su quello scientifico: tutto quello che va contro la dottrina della Chiesa non va avanti». La denuncia è dell´oncologo ed ex ministro della Sanità Umberto Veronesi che lancia una sorta di manifesto laico e riapre la polemica su testamento biologico e procreazione assistita. «Sarebbe logico - sostiene Veronesi - che il testamento biologico abbia una legge. Ma non passa in Parlamento perché la quota di parlamentari sotto controllo delle forze religiose lo impedisce». Quanto alla procreazione assistita, dopo il divieto introdotto in Italia «circa cinquemila famiglie all´anno vanno all´estero per avere un figlio».

l’Unità 17.1.07
Gavino Angius. Il leader della terza mozione: «Il progetto del Pd fa acqua da tutte le parti. E non si discute più»
«Nel partito il malessere è profondo»
di Wanda Marra


«La decisione di Caldarola di non partecipare al congresso non riguarda solo la terza mozione, ma tutti i Ds, nei quali c’è un malessere profondo». Gavino Angius, vicepresidente del Senato, tra i promotori della terza mozione, non esita a denunciare le ombre che nel partito si fanno sempre più fitte e a criticare nuovamente il modo in cui si sta portando avanti il progetto del Pd. E non risparmia neanche i risultati del vertice di Caserta e l’atteggiamento della Margherita.
Senatore, Caldarola ha annunciato che non parteciperà al congresso dei Ds e ha accusato voi della terza mozione, di cui era stato tra i promotori, di stare con Fassino. Lei cosa risponde?
«Non intendo rispondere a Caldarola. Ma penso che abbia sbagliato. E mi dispiace. Quello che non può dire però è che la terza mozione stia con Fassino. È una cosa caricaturale che si poteva risparmiare. Ma penso che questa sia una questione che non riguardi solo la terza mozione, ma tutti i Ds. Caldarola è una di quelle personalità che in questi ultimi giorni hanno detto che non parteciperanno al congresso. Insieme a Mancuso, Rossi, la Bresso».
Mussi ha parlato di «evaporazione» del partito. È d’accordo?
«Se ci sono persone che si allontanano dal dibattito congressuale è segno che nei Ds c’è un malessere profondo, che il progetto del Pd fa acqua da tutte le parti. Dobbiamo essere molto preoccupati. Ma vedo che non c’è questo senso di preoccupazione in alcuni dirigenti del nostro partito, e questo credo sia profondamente sbagliato. Si sottovaluta fortemente il disagio profondo che c’è persino tra chi voterà per la maggioranza e lo stesso segretario. Se parlo, è a ragion veduta. Bisogna fare una discussione vera, sincera che non occulti i temi politici. Penso che il primo problema da affrontare sia quello del governo del paese e che purtroppo anche dopo il vertice di Caserta siano rimaste aperte molte questioni. Vedo una sottovalutazione molto forte dei problemi manifestati, come la coesione del centrosinistra e dell’Unione, e la tenuta della maggioranza soprattutto in Senato».
Rispetto a Caserta Fassino ha espresso un giudizio positivo. E ora definisce caricaturale la descrizione del vostro partito sui giornali...Non c’è una certa discrepanza con l’analisi che sta facendo lei?
«Non voglio attaccare nessuno. Faccio delle considerazioni politiche. Il profilo riformatore e innovativo del governo dopo Caserta deve essere più incisivo. Per esempio, sulle liberalizzazioni, sulle quali però c’è una discussione interna nel governo e nella maggioranza, come sulle pensioni e sui diritti civili, per i quali vale lo stesso problema. E poi, sono rimasto sconcertato dal fatto che chiusa Caserta da 2 giorni, la Margherita ha annunciato una serie di iniziative in tutta Italia, che si chiamano Primavera italiana. Praticamente, l’annuncio di un nuovo programma di governo. È paradossale. E il promotore di quest’iniziativa è Rutelli, vicepresidente del Consiglio e Presidente della Margherita. Questa vicenda è rivelatrice delle contraddizioni e della fragilità di questo grande progetto che viene chiamato Pd. Noi della terza mozione vogliamo discutere di questo».
Tra i motivi di frizione con Caldarola c’è stata la sua proposta, da lei come da altri rigettata, di unire le due mozioni di minoranza. Perché non si poteva fare?
«Noi non abbiamo mai detto un no pregiudiziale alla nascita di un nuovo partito, come hanno fatto loro. Capisco che faccia comodo a qualcuno che il congresso si riduca a un referendum. Noi invece vogliamo discutere che cosa dovrebbe essere questa forza, come si debba costruirla, con quali forze, sulla base di quali idee e valori. E anche attraverso quale percorso. Tra l’altro la nostra posizione politica si sta rafforzando. Zani non presenterà alcuna quarta mozione, ma con lui e i compagni bolognesi stiamo scrivendo la nostra mozione che presenteremo domenica a Roma».
In sintesi, allora secondo voi cosa dovrebbero fare i Ds?
«Tutto è stato deciso a Orvieto. Dunque, bisogna azzerare tutto e ridiscutere il percorso. Non si può accettare il fatto compiuto. È un congresso che rischia di essere finto, perché è tutto già deciso. Non è un’eresia, e se invece lo è, sono un eretico, ma dico che bisogna fermarsi, riflettere e ripartire».

Repubblica 17.1.07
Pd, alta tensione nella Quercia
Finocchiaro: le difficoltà ci sono. La sinistra: si rinvii il congresso


Braccio di ferro sulle regole per le assise. Domani la direzione
Dopo i casi Bresso e Caldarola il leader si sfoga: vogliono colpire me
La segreteria: il correntone come la Cdl La replica: accusa inaccettabile

ROMA - Piero Fassino registra con stizza l´ennesimo strappo, quello della presidente del Piemonte Mercedes Bresso. «Il Partito democratico c´entra poco. Vogliono indebolire me», si sfoga con i suoi collaboratori più stretti. Ma dice anche che tra gli iscritti la sua conferma alla segreteria non è in discussione, la soglia del 70 per cento nei voti degli iscritti resta a portata di mano e ieri da Via Nazionale è partita la controffensiva delle dichiarazioni dei dirigenti regionali, favorevoli al progetto del nuovo partito e al segretario che lo incarna. Resta il braccio di ferro con le minoranze sulle regole del congresso. Il correntone chiede di far slittare le assise a un momento successivo al voto amministrativo di primavera. L´obiettivo è chiaro: si pronostica un cattivo risultato per l´Ulivo e per le forze politiche che lo rappresentano (Quercia e Margherita) per avere più argomenti contro la prospettiva del Pd. È battaglia all´interno della commissione del congresso che dovrebbe portare una soluzione condivisa alla direzione di domani. Ma sulla data Fassino non cede: «Sono stati Mussi, Angius e gli altri a chiedere un congresso subito e ora vorrebbero un rinvio. Beh, non si può fare».
C´è invece una maggiore disponibilità sull´altra richiesta delle minoranze: il voto segreto. Stasera, in extremis, la commissione torna a riunirsi e la maggioranza ha offerto una soluzione di compromesso: voto palese sui documenti politici (che però sono legati ai firmatari) e scrutinio segreto sul nome del leader. Se si raggiunge l´accordo, allora alla direzione spetterà quasi esclusivamente il compito di convocare il congresso stabilendo la data. Altrimenti lo scontro avverrà sul campo della direzione. Naturalmente all´ordine del giorno ci saranno anche le defezioni delle ultime settimane: Nicola Rossi, Peppino Caldarola e Bresso. «Il problema nei Ds c´è e non si può evitare di discuterne. Sono contraria all´archiviazione di una questione così seria», dice la capogruppo dell´Ulivo Anna Finocchiaro. Ma ai transfughi risponde il coordinatore della Quercia Maurizio Migliavacca: «Se qualcuno pensa che destrutturando i Ds si possa costruire il Partito democratico si sbaglia di grosso. Siamo convinti che il dibattito congressuale smentirà i profeti di sventura». Ma la preoccupazione al Botteghino è diffusa. Enrico Morando è un grande tifoso del Partito democratico, ma vede il pericolo di uno stop che può andare oltre le reali intenzioni di Fassino. «C´è una difficoltà che nasce dal fatto che questo progetto del Partito democratico è in ritardo di dieci anni. Dunque bisogna farlo subito, altrimenti ci arriviamo con un maggiore logoramento».
Ma la scelta del nuovo soggetto è difficile in particolare per la Quercia. Che ha una forte minoranza interna, che trova resistenze in molti settori. E lo scontro, in vista del congresso, non può che accentuarsi. «Il rinvio del congresso? Che dire, il correntone carica di valenza politica le amministrative, come il centrodestra, non mi sembra il massimo», attacca il capo della segreteria di Fassino, Francesco Tempestini. Gli risponde Carlo Leoni, della sinistra ds: «È incredibile il paragone con la Cdl. Inaccettabile tra alleati, figuriamoci tra compagni dello stesso partito».
(g.d.m.)

Corriere della Sera 17.1.07
I giudici hanno accolto la richiesta del difensore Ugo Gianangeli
Scalzone: torno in Italia per nuove battaglie
Scattata la prescrizione per l'ex leader di Potere operaio condannato a 16 anni negli anni ’80 per terrorismo. E' latitante a Parigi dal 1981


MILANO - Oreste Scalzone, l'ex leader dell'ultrasinistra latitante a Parigi, può tornare in Italia. La Corte di assise di Milano ha dichiarato l'estinzione per intervenuta prescrizione dei reati contestati all'ex leader di Potere operaio condannato a 16 anni di reclusione negli anni ’80 per partecipazione ad associazione sovversiva, banda armata e rapine. I giudici hanno accolto la richiesta del difensore Ugo Gianangeli. Tempestiva la reazione di Scalzone: «Come non posso non essere contento - ha commentato l'ex leader dell'ultrasinistra. Chi mi conosce solo un po' sa che in Italia vengo innanzitutto per condurre nelle condizioni nuove una vecchia battaglia. La condurrò a voce nuda, se serve sul selciato, on the road, o in luoghi adattabili all'antica congiunzione fra politica, ragionamento filosofico e teatro. In Francia - ha aggiunto - avevo bisogno dell'elettricità e delle onde hertziane, ma in Italia è meglio che si sappia che posso fare a meno dei magafoni da '68 e che un giornale accartocciato può fare da portavoce ed infastidire quanto basta».
I TRASCORSI - Scalzone, oggi sessantenne, durante gli anni di piombo fu uno dei leader prima di Potere Operaio, poi di Autonomia operaia. Nel 1979 fu arrestato con altri leader di Autonomia per l'inchiesta «7 aprile». A Milano fu processato e condannato a 16 anni in primo e secondo grado nel processo denominato «Prima Linea-Cocori». Scalzone era imputato di aver organizzato l’associazione sovversiva e banda armata «Comitati Comunisti Rivoluzionari» per fatti che risalgono al 1977. Scappò dall’Italia dopo aver ottenuto la scarcerazione per motivi di salute mentre era detenuto per ordine dei giudici di Roma nell'ambito dell'inchiesta. Dopo un anno in Danimarca, Scalzone nell'81 arrivava a Parigi e dalla Francia iniziava una lunga battaglia a favore dell'aministia e per una «soluzione politica» dei cosiddetti anni di piombo.
GUAI GIUDIZIARI - Nel 1983 fu condannato a 20 anni di carcere per associazione sovversiva e banda armata. Nel 1987, in appello la condanna definitiva a nove anni. La sentenza era stata poi annullata dalla Cassazione dal momento che la Francia non aveva mai concesso l’estradizione. Il difensore Ugo Gianangeli infatti in subordine aveva chiesto che venisse dichiarata l’improcedibilità per omessa estradizione. In tal caso le autorità italiane avrebbero potuto riavviare l’iter processuale chiedendo nuovamente l’estradizione alle autorità di Parigi e Scalzone sarebbe potuto rientrare in Italia solo per 45 giorni. Con la decisione della prescrizione invece l’ex teorico dell’Autonomia è completamente libero e potrà ritornare in Italia senza temere guai ulteriori per le vicende del passato.

Repubblica on line 17.1.07
Da Potere Operaio alla fuga in Francia
Gli Anni di piombo di Oreste Scalzone


ORESTE Scazone, leader indiscusso di Potere Operaio prima e di Autonomia Operaia dopo, è uno degli intellettuali dell'estrema sinistra rifugiatisi in Francia durante gli "anni di piombo" per sfuggire alla galera. Oggi sessantenne (è nato a Terni nel '47 da mamma Eugenia e papà Giuseppe), Scalzone è stato tra i protagonisti del '68 romano e leader del movimento studentesco che si distinse per gli scontri di Valle Giulia.
Trasferitosi a Milano, partecipa all'organizzazione dei "Comitati comunisti", emanazione dell'allora Potere Operaio del quale era stato co-fondatore con Franco Piperno e Toni Negri: ma nel '72, dopo il congresso di Rosolina, Potere Operaio si scioglie e i Comitati comunisti - attivi soprattutto alla Pirelli e all'Alfa-Arese - diventano autonomi, mentre Scalzone contribuisce all'affermazione della nascente "Autonomia operaia".
Sono gli anni bui del terrorismo, degli attentati, della contiguità tra intellettuali e brigatisti, tra coloro che teorizzano la lotta armata e coloro che sparano. Per Scalzone il 7 aprile del '79, scattano le manette, nella sede della rivista Metropolis: il provvedimento (che colpisce anche Tony Negri e Emilio Vesce) viene emesso nell'ambito dell'inchiesta del giudice Calogero, nota come inchiesta "Sette aprile", in base alla quale l'ex vertice di "Potop" viene accusato di associazione sovversiva e banda armata.
In seguito Scalzone è anche imputato di insurrezione armata contro i poteri dello Stato, sempre nell'ambito dell'inchiesta del giudice Calogero secondo la quale Potere operaio era la culla di tutte le organizzazioni armate, "Brigate Rosse" comprese.
Scalzone finisce detenuto a Cuneo, poi a Palmi, quindi viene trasferito per le sue cattive condizioni di salute a Roma, dove - dopo un ricovero al "Gemelli" - ottiene la libertà provvisoria. Nell'81 lascia senza autorizzazione la casa dell'amico ingegnere che lo ospita in via Ripetta: è l'inizio di una latitanza che, dopo un anno in Danimarca, lo porta a Parigi.
Mentre nell'83 viene condannato in contumacia a 16 anni di carcere, poi ridotti a nove nell'87, Scalzone diventa a Parigi un vero e proprio punto di riferimento di quel centinaio di italiani, rifugiati degli "anni di piombo", per i quali la Francia non concede estradizione, fedele ad una tradizione inaugurata da François Mitterrand.
Nel '98, come rivelato da alcuni quotidiani, torna clandestinamente in Italia via Corsica e dopo una tappa nel Mugello torna sui luoghi simbolo della sua giovinezza a Roma: il servizio de L'Espresso è corredato delle foto scattate a ponte Sant'Angelo e davanti al'Altare della Patria.
"Il mio viaggio - spiega - (organizzato con il direttore del periodico Frigidaire, ndr) ha avuto un senso simbolico-provocatorio: da più di dieci anni si parla di amnistia per i detenuti e gli esuli politici ma non è mai successo niente".
L'amnistia resta al centro della sua battaglia: nel febbraio 2005 lancia un appello a Ingrao, Cossiga e Pannella: "Mi offro come capro espiatorio simbolico - dice - torno in Italia rinunciando alla prescrizione di nove anni di carcere per aprire un dibattito sull'amnistia", e un paio di mesi più tardi, a sostegno della stessa causa, inizia uno sciopero della fame destinato a durare tre settimane, interrotto dai medici.
Nell'agosto del 2006, fisarmonica in braccio, partecipa ad una manifestazione davanti all'ambasciata italiana in segno di solidarietà con Paolo Persichetti, ex militante dell'Unione dei comunisti combattenti, estradato quattro anni prima e detenuto a Viterbo. Oggi la notizia della prescrizione. E le prime, emozionate parole: "Certo che torno. Sarò un pendolare per condurre in Italia nuove battaglie di libertà".

l'Unità Commenti 17.1.07
Erba e la mostruosità del male per mantenere lo status quo

Caro direttore,
c'è da restar allibiti, e indignati, per l'approssimazione e superficialità con cui i mass media si pongono davanti all'ennesima strage, quella di Erba, inizialmente attribuita, falsamente, all'extracomunitario e all'indulto. Ora che si scoprono gli autori della strage, due italiani e vicini di casa delle vittime, quel che emerge leggendo o ascoltando i pareri degli esperti (i soliti, perché non dirlo?), quelli ammessi ad intervenire, è che delitti così efferati sono normali, rientrano nella normalità, ci sono sempre stati, fanno parte della natura umana e chi li compie non è un malato mentale. Perché, ci spiegano gli esperti, siamo cattivi, nasciamo con il «peccato originale» e siamo figli di Caino, portati ad uccidere l'altro. È la vecchia spiegazione, religiosa, che i mass media diffondono e ripetono nel tempo perché, forse, si vuole, con la complicità della cultura, di una certa cultura di matrice illuminista, mantenere lo status quo: è, infatti, vietato disturbare la quiete pubblica, mettere in discussione il quieto vivere. Possibile che nella categoria non ci sia su questi drammatici avvenimenti quel senso critico, quella curiosità, quella voglia di indagare, a volte morbosa, che c'è per altre questioni? È mai possibile questo star appiattiti totalmente su una Unica Voce, la Solita? Cos'è questo se non alleanza e complicità? E l'onestà e l'autonomia professionale di cui andiamo tanto fieri e orgogliosi, dove finiscono, se non nella pattumiera? Onestà vuole che ci siano in giro altri esperti: come disse, proprio sull'Unità, Citto Maselli, c'è una ricerca, l'Analisi Collettiva, in corso da 30 anni che per una teoria valida ha salvato migliaia di giovani dalla droga e dal suicidio. Con l'appiattimento 'acritico' ci si assume una grossa responsabilità: si tenta di nascondere una realtà che c'è ed esiste comunque, a prescindere, e che, a differenza dei soliti esperti, può fornire quegli strumenti di conoscenza per comprendere questi fatti e quindi eventualmente prevenirli. Ma forse non basta criticare mass media e certa cultura: dov'è la politica e soprattutto la sinistra di fronte ad un fenomeno drammatico che può essere assimilato a malasanità dal momento che gli strumenti per conoscere e comprendere ci sono, ma non si utilizzano? Porsi come fa la sinistra l'obiettivo di una società 'diversa' dall'attuale, che offra a tutti pari opportunità di realizzazione personale, professionale e sociale, comporta scelte coraggiose perché non ci si può rassegnare all'esistente.
Carlo Patrignani


Liberazione.it 17.1.07
L’orrore iracheno - Non è lecito il silenzio di fronte alla forca
di Pietro Ingrao


Il 30 dicembre del 2006, mentre stava per chiudersi l’anno feroce che aveva visto dilagare la guerra in Iraq, attorno all’alba, è stato impiccato Saddam Hussein, dittatore in Iraq, caduto nelle mani degli invasori americani nel corso del conflitto scatenato da Bush.
Vi fu un fantasma di processo e al termine il dittatore era stato condannato a morte. Mentre sembrava che l’esecuzione del reo fosse rimandata ad altro tempo, improvvisamente alla fine del dicembre 2006 il dittatore ora in manette era finito sulla forca con una esecuzione che era parsa una tregenda. Le scene grottesche dell’esecuzione avevano suscitato dubbi e nausea anche nell’Occidente lontano da Saddam. Ci furono riserve sul disgustoso balletto che fu intrecciato intorno a quel tiranno smarrito e col cappio alla gola. Poi venne il secondo atto meno rumoroso ma altrettanto nauseante. Stavolta gli schiamazzi degli sbirri filo-americani furono meno rumorosi. La forca non ebbe quell’evidenza crudele che aveva assunto attorno al collo di Saddam. Gli sbirri furono meno rumorosi, il rotolare delle teste fu meno macabro. Ma pur sempre la forca dominava la scena, e l’annullarsi dei corpi. Qualche lagrima di pietà fu versata nel cauto Occidente, mentre persino nell’America di Bush montava un interrogativo, sempre più amaro. Eppure si può dire ci sia stata emozione: persino nell’Italia a suo modo a maggioranza - come dire? - progressista, e con forti nuclei pacifisti?
No. Non si può dire. Andando lontano con la memoria, quando uscivo dall’adolescenza e cercavo di distaccarmi dal marciume fascista la forca era simbolo di oppressione infame. E il capo che penzola, la schiena che si spezza, gli occhi, la mente che precipitano nell’assenza, il corpo che si affloscia, come uno straccio.
Questo disfarsi del corpo pensante era l’agire spietato della forca. Perciò la forca come momento della politica è di più che l’evocazione dell’uccidere: è la lotta all’avversario come umiliazione dell’umano. Mandare sulla forca è di più, assai di più che uccidere, è indicare al ludibrio l’Altro: è identificarlo come Bestia: e la guerra non solo come uccidere ma come annullamento dell’umano che è anche nell’avversario.
Forse anche per questo la guerra in Iraq si sta sempre più caricando di simboli. E porta sulla scena quella parola bruciante: la forca. Non la guardiamo riapparire sulla scena troppo tranquilli? E’ lecito il silenzio?