Su un'isola norvegese il penitenziario senza sbarre e guardie
Nel carcere perfetto dove i detenuti sono "liberi"
di Cinzia Sasso
Lavoro, villetta e aria aperta ecco il carcere alla norvegese
"Il nostro sogno? Trasformare i detenuti in cittadini"
La prigione modello si trova su una piccola isola a un´ora da Oslo. Ci vivono 115 prigionieri e 5 agenti
Quattro persone per ogni casetta di legno: ciascuno ha la propria stanza e la propria chiave
Il direttore: "Se li tratti da pericolosi criminali, quelli si comporteranno sempre come tali Se dai rispetto ottieni rispetto"
Il prigioniero: "Ho distrutto tutto quello che avevo. Qui ho imparato che anche per me è possibile immaginare un futuro"
Isola di Bastoey (Norvegia). ALLE 10 esatte del mattino, sotto una luce livida e sopra un mare color della pece, Dahl, il marinaio, fa entrare nel traghetto il camioncino per le riparazioni della linea elettrica, poi quello che porta le taniche di carburante, poi l´ospite. «Vuole del caffè?». Il thermos è pronto. Piacere, dice, io sono un detenuto.
Ha i capelli con le punte pitturate di biondo, occhi azzurri che gli occhiali fanno sembrare grandissimi, la cerata arancione che gocciola pioggia, fuma Lucky Strike. Ha 41 anni, è sposato (ride: «sì, sposato diverse volte») ha un figlio di 14 anni, faceva il giornalista e poi è diventato assassino. «È stata una lite... mi hanno dato sette anni. Sono in prigione dal 2001, uscirò nel 2008». Dall´estate è qui, a Bastoey Island, nella prigione senza sbarre, senza agenti di custodia, senza niente di niente che somigli a un carcere. La prigione che ha un sogno: quello di trasformare ogni detenuto in un cittadino.
Siamo a un´ora da Oslo, in uno dei fiordi più belli della Norvegia. Horton, si chiama il paesino. Casette di legno, qualche negozio, il porticciolo. Da qui, ogni mattina alle dieci, parte il traghetto. Un quarto d´ora di mare ed ecco l´isola. Ci vivono 115 detenuti e, ma soltanto di giorno, 69 dipendenti dell´amministrazione penitenziaria norvegese.
Sono due chilometri e mezzo di territorio protetto, due spiagge, una foresta, ventuno casette di legno del ‘900 a ricordo di quando Bastoey era ancora una fattoria in mezzo al mare. Adesso sono le case dei prigionieri: mobili di legno chiaro, cucine moderne, bagni nuovissimi. I detenuti vivono in quatto o cinque per ogni casa, ognuno ha la sua stanza personale e di quella la chiave. Alle 7.15 sveglia per tutti; alle 8 inizia il lavoro; alle 15 il dovere è finito, c´è la cena nella sala comune e poi il tempo libero. Calcio e bicicletta d´estate, sci d´inverno; ma c´è anche una biblioteca con migliaia di libri, ci sono i computer, e ci sono ancora le cabine telefoniche, le ultime cabine di legno rosso, quelle scomparse dal resto del Paese, sparse per l´isola.
Alle 15 Foldinferga, il traghetto, riporta a Horton chi non ha conti in sospeso con la giustizia. A Bastoey restano i prigionieri e cinque agenti che la sera alle 11 controllano che in ogni stanza la luce sia spenta.
Oeyvind Alnaes è il direttore del carcere. Per quindici anni ha lavorato nei penitenziari "normali", quelli chiusi; poi ha chiesto e ottenuto di inventare Bastoey, un altro modo di espiare la pena. Ora, è diventato un modello. «La prigione - dice - non migliora la gente. Per questo abbiamo dovuto cercare altre strade. Se tratti male una persona, quello che la persona impara è a trattare male gli altri; se li vedi come pericolosi criminali continueranno ad essere pericolosi criminali; se rispetti, insegni a rispettare». Il massimo della pena, in Norvegia, è di 21 anni: «Perciò ogni detenuto, un giorno, tornerà ad essere il tuo vicino di casa. E se non gli insegni come comportarsi, allora sì che devi temere».
Piove a dirotto, ma in giro sono tutti al lavoro: nelle stalle dove si allevano mucche e cavalli; a pascolare le pecore; nei campi dove si coltivano soprattutto patate; oppure a restaurare gli edifici che ne hanno sempre bisogno; in mare a pescare; nelle cucine; nella lavanderia. A turno devono pulire la casa e se non è tutto in ordine hanno due ore di tempo per rimediare. Se arrivano tardi al lavoro per quattro volte di seguito devono lasciare Bastoey; così se i quotidiani controlli di urina - fatti a caso, a campione - dicono che hanno usato stupefacenti.
«La nostra filosofia - spiega Alaneas - è il principio di responsabilità. L´umanità e l´ecologia sono i nostri principi di base, qui insegnamo che quello che fai oggi ha conseguenze sul domani. Il nostro lavoro consiste nell´offrire a tutti le migliori opportunità per immaginare e costruire un futuro». Dahl, a esempio, dice che dopo "quel fatto", pensava solo alla morte: «Avevo distrutto tutto quello che avevo, non vedevo un futuro. Qui ho imparato a immaginarne uno. È come se ti capitasse di perdere la vista: devi sviluppare meglio l´udito, il tatto...».
Haavald ha 57 anni, era un funzionario delle Nazioni Unite, ha una laurea in ingegneria e tre master, è stato condannato a 5 anni e mezzo per corruzione. «Ero in prigione, mi hanno detto che a Bastoey c´erano i cavalli. Nella mia vita di prima lavoravo 36 ore al giorno, viaggiavo sempre, avevo la mia famiglia, il mio cavallo, ma ero perennemente stressato. Qui ho ritrovato me stesso: di giorno lavoro con i cavalli e quando mia figlia viene a trovarmi ci andiamo a fare una cavalcata insieme; la notte faccio il giornale dell´isola. Questa, se la sai usare, è una buona occasione».
Con Nuraulf, 35 anni, è vietato parlare del suo passato: è stato condannato per pedofilia, ha abusato dei suoi quattro figli, tutti al di sotto dei dieci anni. Dice: «Non serve chiudere la gente dentro le celle. Qui si impara ad amare il lavoro, ci si sente utili, si sente che si fa qualcosa di buono e così si migliora anche se stessi». Martin, 27 anni, è qui dal 2005, il suo compito è guidare il trattore: «Facevo il meccanico, ero drogato e ho provocato un casino di un incidente stradale. Tra un anno tornerò fuori e tornerò al mio lavoro di prima».
L´80 per cento dei detenuti arriva qui dopo un periodo trascorso in un carcere tradizionale per scontare gli ultimi anni. Qui ci sono condannati per ogni tipo di reato. È la direzione a valutare le loro motivazioni e a decidere se accoglierli o no: «Noi non vogliamo sapere che cosa hanno fatto nel passato. Quello che ci importa è sapere cosa vogliono fare da ora in poi». Quello che ha ucciso una donna e ne ha fatto a pezzi il corpo e quello che ha spacciato hashish. «L´uomo, e anche l´assassino - ancora Aelnes - non è sempre e solo crudele. Noi diamo loro fiducia, li aiutiamo a pianificare il futuro. Non li trattiamo da schiavi, da esclusi: lavoriamo con loro e ognuno deve fare fino in fondo la sua parte». Gruppi di alcolisti anonimi, psicologi che lavorano con chi ha violentato, operatori che si occupano del recupero dei tossicomani, tengono i loro corsi; ma il destino è nelle mani di ogni singolo che è libero di fare quello che vuole.
Nella giovane storia di Bastoey, cominciata sei anni fa, c´è stata solo una fuga. Da qui scappare è facile, non ci sono porte chiuse, c´è Dahl che va su e giù col traghetto. Ma che gusto c´è, a scappare, se poi il destino è una prigione peggiore?
Repubblica 3.12.06
L'ASSO PIGLIATUTTO IN PIAZZA S. GIOVANNI
di Eugenio Scalfari
MOLTI mesi fa scrissi un articolo su Silvio Berlusconi intitolandolo "Il corpo del re", il re o comunque il Capo che si esprime anche e anzi soprattutto attraverso il proprio corpo, parla con il corpo, il suo più appropriato linguaggio è quello del corpo, degli istinti e delle pulsioni anziché dei concetti. Berlusconi pensa con il corpo, l´intelletto viene dopo e gli serve per razionalizzare e dare una parvenza logica a ciò che l´istinto gli ha suggerito.
Questo modo di esprimersi istintivamente ha il pregio, in certe occasioni, di mettere il Capo in comunicazione diretta con la gente, con l´istinto e le pulsioni della gente. Sconvolge il modello della democrazia rappresentativa, scardina i partiti, inclina verso l´unanimismo plebiscitario. Quando il corpo del Capo si allontana, non scende direttamente in battaglia ma s´impiglia nei meandri della politica e dell´amministrazione, allora la sintonia istintiva tra la gente e il Capo s´indebolisce, emergono gli errori, le debolezze, le bugie che fino a quel momento erano state oscurate dal carisma del Capo in forza del quale tutto veniva perdonato, rimosso o addirittura convertito in positivo: le bugie diventavano verità, gli errori e i vizi si trasformavano in virtù.
Berlusconi è perfettamente consapevole di questo suo dono che è al tempo stesso il limite della sua azione politica. Ne è talmente consapevole da avere sempre personalizzato al massimo le sue campagne elettorali, d´aver privilegiato gli slogan sul ragionamento, da aver demonizzato e inventato il nemico riservandosi la parte dell´Arcangelo che uccide con la lancia dalla punta d´oro il drago liberando il mondo dalla sua infernale presenza.
Questo è il modello che dal 1994 configura lo scontro politico in Italia: una sorta di funesta fascinazione che ha reso dura la vita di chi opera servendosi della ragione, delle mediazioni, della politica senza miracoli e senza plebisciti. E questa è anche una delle cause, direi la principale, della debolezza del riformismo. Il riformismo da solo non suscita entusiasmi, non fa sognare; promette e spesso ottiene risultati importanti e duraturi ma non sconvolgenti né miracolosi. Il riformismo richiede tenacia e tempi lunghi. Non esibisce il corpo del re perché non si affida ad un re, ad un Capo indiscusso.
Anche i grandi riformisti hanno avuto un carisma ma l´hanno usato per realizzare obiettivi. Il carisma del Capo usa il carisma per rafforzarlo. Lo conferma il fatto che dopo dodici anni da quell´ormai lontano 1994 il consuntivo del berlusconismo è una pagina bianca. Non ha diminuito il debito, non ha diminuito le tasse, non ha aumentato la competitività, non ha regolato l´immigrazione, non ha migliorato i servizi pubblici, non ha realizzato la sicurezza, non ha arricchito il patrimonio delle infrastrutture, non ha liberalizzato i mercati. Anzi ha decisamente peggiorato quasi tutti questi capitoli dalla politica interna, dell´economia, della politica estera.
Eppure il corpo del re è ancora lì e ancora esercita un intatto fascino sulla gente. Lo si è visto ieri nella grande manifestazione svoltasi a Roma «per Silvio e contro le tasse». Una manifestazione che sarebbe sbagliato prendere sottogamba facendo finta di non averla vista e derubricandola a episodio privo d´importanza e di effetti.
* * *
Il discorso del Capo non poteva essere più chiaro, più demagogico, più gremito di slogan, più fitto di bugie di quello che abbiamo ascoltato ieri. Talmente ripetitivo che da un certo punto in poi la piazza gremita e inizialmente entusiasta e plaudente ha cambiato umore rifugiandosi in un ascolto silente e vagamente annoiato.Il discorso avrebbe potuto concludersi dopo i primi dieci minuti. Tutto quello che è stato detto dopo non ha fatto che ripetere quasi letteralmente il già detto: un partito unico per difendere la libertà contro un governo animato dall´odio sociale, dal desiderio di tassare tutti senza dare niente a nessuno, contro lo sviluppo, contro il risparmio, contro il patrimonio, contro il reddito, contro la famiglia, contro la scuola, contro la ricerca, contro gli artigiani, contro i commercianti, contro le piccole imprese, contro le forze armate. Insomma contro tutti.
Per fronteggiare il drago e la pestilenza che esso vuole diffondere ecco l´Arcangelo e la sua lancia, ecco il popolo che scende in piazza per mandare a casa il governo e uccidere il drago in nome della Patria, della famiglia, del cristianesimo.
Di tanto in tanto una parte della piazza scandiva «Silvio Silvio», ma il coro è stato sempre meno unanime col passare dei minuti.
Questo abbiamo sentito e questo, in coscienza, riferiamo.
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Gli effetti politici di questa manifestazione sono quattro. Primo: è stata numericamente imponente. Secondo: il leader unico del centrodestra è più che mai Silvio Berlusconi; Fini, Bossi e nella lontana Palermo, Casini, ne escono frantumati. Terzo: l´ipotesi d´un governo di larghe intese non esiste e semmai fosse esistita ora è completamente affondata. Quarto: l´odio contro la Finanziaria è il cemento - forse l´unico vero cemento - che tiene unita la gente che ascoltava Berlusconi e quanti a casa si riconoscono in essa e ne sono rappresentati.Programmi? Nessuno. Declamazioni? Moltissime. Forza politica? Notevole.
Il centrosinistra ha, dal canto suo, notevoli responsabilità nel fatto che il corpo del re risulti ancora suggestivo. Ha dissipato un capitale che nel maggio scorso era altissimo. Ma la colpa non è nella Finanziaria le cui linee maestre sono quelle che la situazione rendeva necessarie.
La colpa è d´una maggioranza slabbrata, frantumata, rissosa. Che vuole (capitemi bene) vuole apparire slabbrata, frantumata, rissosa. Tra i partiti e dentro gli stessi partiti; tra partiti e governo e dentro lo stesso governo.
Il corpo del re era esanime nel maggio scorso e lo era già a partire dal 2003. Se oggi è di nuovo in piedi lo si deve più alla frantumazione di cui la maggioranza vuole far mostra che alle virtù proteiche dell´opposizione. Questa è la triste verità e i sondaggi più recenti ne danno conferma.
Il raduno romano dei berlusconiani non lascia più tempo al governo e alla sua maggioranza. Al contrario di quanto finora hanno voluto, d´ora in poi debbono volere ed essere uniti, positivi, selezionare gli obiettivi e puntare su di essi, abbandonare l´ossimoro «di lotta e di governo». La buona politica si fa governando o opponendosi a chi governa, in mezzo al guado non si può stare.
Il centrosinistra ci sta da sei mesi. Ha già superato la soglia del tollerabile. Per grottesco e per certi aspetti terrificante che sia apparso il comizio di Berlusconi, il centrosinistra non ha più nemmeno un giorno a sua disposizione. Dietro l´angolo, se continua sulla strada del Brancaleone, c´è un naufragio che sarebbe drammatico non solo per il centrosinistra ma per la democrazia italiana.