L’Unità 14.11.06
Il gioco dentro Rc
Vertici «di governo»
Liberazione «di lotta»
Sansonetti: «I giornali criticano il potere...». Ma in «nome
del programma» il partito prepara il prossimo pressing
di Angela Bianchi
SI SONO DEFINITI le sentinelle di Prodi, quasi i suoi pretoriani. Comunque gli alleati più leali. Eppure non passa giorno che Rifondazione comunista non metta al Governo i suoi paletti, i suoi se e i suoi ma. Dall’Afghanistan al Mose fino al Tfr. E tra poco ci
saranno le pensioni. «Noi chiediamo solo il rispetto del programma», rispondono dall'ultimo parlamentare alla più alta carica istituzionale. Quello stesso programma che pure Bertinotti, l'altro giorno, ha detto di non essere «così ingenuo da ritenerlo una Bibbia». «Però - ha subito precisato - gli elementi essenziali devono essere salvaguardati». E Rifondazione è sempre lì a ricordarli, pedissequamente, punto dopo punto. Anche se ripete: «Noi non faremo mai cadere Prodi». «Anzi - aggiunge Giovanni Russo Spena - noi siamo gli unici a difenderlo». E il dissenso in Consiglio dei Ministri di Paolo Ferrero sul Tfr, dopo quello sul Dpef? E l'astensione in Commissione al Senato sul pacchetto Lanzillotta sulle liberalizzazioni dei servizi pubblici? «Siamo il secondo gruppo della maggioranza e nessuno ci può trattare come la truppa che vota e non fiata», risponde il presidente dei senatori di Rifondazione ricordando, invece, i tanti sì detti, come quello sull'Afghanistan, che «tanta fatica ci è costato».
Anche al governo, però, che ha mediato fino all'ultima parola per convincere i Malabarba, i Foschini e i Turigliatto: al Senato, bastano tre voti per andare in minoranza. Ma le «sentinelle» giurano e rigiurano che «da loro» Prodi non ha nulla da temere, che sono altre le spine al suo fianco, perché per loro il governo «durerà cinque anni». Ma intanto il quotidiano di partito, «Liberazione», non passa giorno che non lanci i suoi strali dando voce ai Cremaschi di turno, a coloro che - come il leader della Fiom - non perdono mai occasione per lanciare frecciate contro Palazzo Chigi. Poi, però, affida alla penna della senatrice Rina Gagliardi denunce complottarde dei poteri forti contro la sinistra al governo. Quella sinistra che scende in piazza con i Cobas e si arrabbia se qualcuno glielo rimprovera. E che punta il dito contro «Rutelli, Fassino e Cofferati» che a fischiare il governo, invece, non ci sono andati. «I giornali per vocazione sono di opposizione, di critica al potere. E noi esercitiamo il nostro diritto/dovere a criticare l'ala più riformista di questo governo», rivendica il suo direttore Piero Sansonetti annunciando per oggi un nuovo affondo di Cremaschi. Sarà pur vero: il giornale, ancorché di partito, fa il suo mestiere.
Ma quando l'ha esercitato sull'Afghanistan, gli stessi vertici di Rc non l'hanno apprezzato. Perché si sa, a soffiar sul fuoco il rischio è che ci si bruci. E tenere assieme la Rifondazione di lotta e quella di governo è un funambolismo pericoloso. Sull'Afghanistan, Prodi alla fine l'ha scampata. E sulla Finanziaria? «Noi siamo stati gli unici a difenderla, tutt'al più sono stati altri ministri ulivisti, come Rutelli, a dire che era sbagliata», rilancia Russo Spena. Però poi anche lui si lascia sfuggire che su ticket e su qualcos'altro al Senato bisognerà discutere, «emendamento su emendamento»: ci sono, infatti, sempre tre senatori rifondaroli, stavolta con la Emprin al posto di Malabarba, ad avere qualche mal di pancia.
E quando arriveremo alle pensioni? «Ogni giorno ha la sua pena», rispondono in coro. Appellandosi subito dopo al programma, imparato quasi a memoria: come la Bibbia.
L’Unità 14.11.06
IL LIBRO «Tenebre su tenebre», nuovo libro di Ferdinando Camon, è una raccolta di frammenti su guerra e pace, sesso e famiglia, fede e politica
Nuovi matrimoni: se la filosofia del «single» contagia anche chi è in coppia
di Ferdinando Camon
Si parla di scrittura e di psicoanalisi, di famiglia e di sesso, di guerra e pace, di religione e di politica. Si parla per frammenti, alcuni fulminanti come epigrammi, altri riflessivi come piccoli saggi. Parla di tutto questo e di molto altro il nuovo libro di Ferdinando Camon Tenebre su tenebre (Garzanti, pp. 366, euro 18) di cui, per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo alcuni stralci sul tema dei single.
Single e sposati
Il matrimonio inabilita alla solitudine. Per chi esce dal matrimonio il pericolo è la pazzia.
Il salto tra la vita da soli e la vita in coppia (il salto nel matrimonio e nella famiglia) cambia la scala delle reazioni emotive: la ragazza, la donna sola, continua a passare dalla gioia alla sofferenza, dalla felicità all’angoscia, ma la moglie, la madre, di fronte a una disgrazia, a una sventura cade nella pazzia.
La famiglia collega le vite dei suoi membri, ma non distribuisce in maniera uguale gioie e dolori: i dolori e le preoccupazioni vanno tutti da una parte sola.
Partner liberati
Quando un matrimonio è sbagliato e si rompe, la prima scoperta che fanno i partner liberati è quella del corpo e del tempo. Le donne lo raccontano nei diari: «Adesso mi alzo quando voglio, giro nuda per la casa, tutto lo spazio è mio, ascolto musica, telefono, entro nella vasca, faccio scorrere l’acqua, e il suo tepore mi dà forza. Una sensazione inesprimibile. Sono padrona di me». Conosco tante donne separate che per prima cosa si son levate la fede dal dito, e subito dopo han fatto capire: «Un amante sì, un marito mai più». L’amore (e il sesso) del single è diverso da quello della coppia: il single ama sé stesso.
Se il vecchio mito di Platone ha un senso (l’essere umano diviso originariamente in due, la parte maschile che va in cerca della parte femminile), il vero single, il single felice, è l’uomo non-diviso. Sta bene così. Se rientra in una casa e sente il televisore acceso, corre. Se sente la voce di un bambino, torna indietro.
Single a cena
Se c’è un single libero, che una sera non sa dove andare, e una coppia lo porta con sé a una riunione con altre coppie, tutti lo accettano. Un single in un gruppo è un jolly.
Tutto cambia se l’intruso è un disaccoppiato, un single per forza, uscito da una coppia rotta: allora le coppie si chiudono a riccio, non gli danno confidenza, lo sentono come un pericolo, una carica magnetica che può scaricarsi dove nessuno se l’aspetta. La più amara scoperta delle donne piantate dal marito è di venir abbandonate dagli amici.
La vecchia ostilità borghese-cattolica versi i single nasce da questa visione: il single come nemico della famiglia, la sua presenza nella società come immorale, diseducativa per i figli, disturbatrice per i genitori. Scopo di una buona società borghese-cattolica è disincentivare i single.
Coppia e single
La morale della coppia dice: «Cos’hai, se non hai nessuno? La filosofia del single risponde: «Cos’ha, se non hai te stesso?».
Per secoli non esisteva che la morale della famiglia, e il single era sentito come un senza eredi, quindi senza senso. L’imperatore Augusto aveva messo una tassa sui non-sposati. Adesso è la filosofia del single che entra nella vita di coppia. Il matrimonio non è più l’annullamento di uno nell’altra. Dopo quindici, venti anni di vita in coppia, i partner cercano di riacquistare, un po’ alla volta, abitudini, manie, esigenze, indipendenza di quand’erano soli. Tra la morale della coppia («Ho un altro) e la morale del single («Ho me»), se ne cerca una terza, che le unisca ambedue.
Liberazione 14.11.06
Intervista a Pietro Ingrao. Il presidente della Repubblica ha torto e ha ragione Bertinotti: non c’è dubbio che le nostre truppe erano in Iraq non con compiti difensivi e dunque violavano la Costituzione
«Sono amico di Napolitano ma sull’Iraq sbaglia»
di Stefano Bocconetti
Pietà per le vittime. Per i militari di Nassirya, per i civili che morirono in quell’attentato di tre anni fa. Pietà per tutte le vittime, di tutte le guerre. Per le vittime di tuti i terrorismi. Ma anche la riaffermazione che i soldati italiani non avrebbero dovuto essere lì, in Iraq. A combattere una guerra «vietata» dalla nostra Costituzione. Fin qui il Presidente della Camera, Fausto Bertinotti, l’altro giorno. Poi, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che commemorando le stesse vittime di Nassiriya ha detto altre cose. Ha detto che quei soldati «erano lì, in Iraq, per garantire i valori fondamentali della nostra Costituzione». Due tesi diverse, opposte. E sui giornali è scoppiata la bagarre. Sul conflitto fra istituzioni, sui dissensi in politica estera, eccetera, eccetera. Perdendo un po’ di vista però il punto di partenza: l’Iraq, la missione italiana - ora conclusa - al seguito di Bush. E allora, nel tentativo di capire bene cosa ci sia dietro questa ennesima polemica, abbiamo sentito Pietro Ingrao.
Una premessa: ma hanno davvero ancora senso le commemorazioni? Le commemorazioni ufficiali?
Secondo me, sì. Certo, a volte quelle commemorazioni hanno qualche elemento di retorica. Ma io penso che sia un modo per ricordare grandi eventi, che hanno segnato una comunità, le persone. Insomma, credo che sia naturale ricordare alcuni fatti che hanno emozionato, sconvolto, addolorato un paese. Se poi in queste occasioni si fanno discorsi giusti o no, questa è un’altra questione.
Siamo arrivato così al punto. Le parole di Napolitano, il suo offrire uno sponsor postumo all'aventura militare in Iraq, non ti sembrano eccessive?
Sono semplicemente parole che non mi convincono. Il Capo dello Stato afferma che i soldati italiani erano in Iraq in base al nostro dettato costituzionale. Secondo me invece l’articolo 11 della Costituzione dice altre cose.
Insomma, sei deluso da Giorgio Napolitano, si può dire così?
Stimo e sono amico del Capo dello Stato. Non condivido ciò che ha detto a proposito della presenza militare italiana in Irak. All’articolo 11 della Costituzione si legge un’affermazione elementare chiara, che l'uso della guerra è permessa solo a scopo difensivo. L’azione militare italiana in Iraq invece non è stata, e non è guerra difensiva. Viola quell’articolo della nostra Costituzione.
Era legittima, allora, l’affermazione di Bertinotti?
Sì: non solo leggittima, credo fosse doverosa. Del resto, in un’altra fase, anch’io ho criticato aspramento il Presidente dell Repubblica. Allora al Quirinale sedeva Carlo Azeglio Ciampi. A mio avviso non seppe o non volle garantire il rispetto dell’articolo 11. Eppure era in discussione una questione cruciale. Ho apprezzato e condiviso la posizione assunta da Bertinotti.
E’ inutile, però girarci attorno: le parole di Napolitano sono condivise anche da “pezzi” dello schieramento che è al governo. Del "tuo" schieramento.
E me ne dispiace. E trovo grave che su una questione di tale portata nelle forze di centrosinistra non si sia aperto un dibattito.
Allora? Che fare?
Riprendere questa grande questione. E- al di là di questo - reimporre nell'agenda politica il nodo che è squadernato davanti agli occhi di tutto il mondo: come si esce dal pantano dell'Iraq. Rilanciare anche in Italia una discussione che agita tutti, da un capo all'altro del mondo. Anche negli USA: come mettere fine alla “guerra preventiva”, voluta e imposta da Bush? Lo stesso Presidente degli Stati Uniti tenta di superare il terribile impasse annunciando che la fase impersonata da Rumsfeld è chiusa. Ma a Bagdad il cielo continua a bruciare, ogni giorno.
Sostieni che la discussione deve essere rilanciata adesso, subito?
Sì. Il tema è bruciante, è cogente. E se c’è dissenso fra organi di governo, fra strutture dirigenti di questo paese, oltre che fra i due schieramenti, credo che sia un bene che se ne discuta pubblicamente.
Eppure molti hanno criticato il Presidente della Camera sostenendo che era uscito dai suoi compiti. Dal suo ruolo. Tu che ne pensi?
Di che cosa dovrebbe occuparsi allora un dirigente istituzionale di questo paese? E in più - credo sia doveroso sottolinearlo - l’attuale Presidente della Camera, l’ha fatto in modo sobrio, misurato. Chi polemizza con Bertinotti su questo è perché non vuole rispondergli nel merito.
L’ultima cosa. Anche tu, quando sei stato Presidente della Camera, sei stato attaccato con argomenti simili. Come ci si sente?
Sono stato in quel seggio per tre anni, dal ’76, anni drammatici e terribili per il nostro paese. E anch’io sapevo che non potevo tacere. E con le mie limitate forze ho parlato.
Liberazione 14.11.06
Antigone: «Depenalizzazione dei reati e amnistia per carceri più umane»
Mastella, Prc e Verdi favorevoli al secondo atto di clemenza che eliminerebbe i processi inutili. L’associazione: «Ma servono riforme strutturali»
di Laura Eduati
Ci si accapiglia sull’indulto, figurarsi sull’amnistia.
A pochi giorni dall’allarme lanciato dai magistrati (il 90% dei processi in corso è inutile perché avrà come risultato la scarcerazione del colpevole), il vicepresidente del Csm Nicola Mancini spiega che «si poteva fare contemporaneamente un’amnistia mirata e un indulto non con un abbuono di tre anni». E dunque, a cose fatte, occorrerebbe un’amnistia per cancellare i reati e quindi i processi - come si è sempre fatto. «Ma il Csm non è una terza camera», specifica Manconi, e spetta insomma al Parlamento discuterne.
Fosse semplice. Perché il problema, appunto, è digerire l’indulto. Eppure tra le voci favorevoli si annovera quella di Mastella, che però si rimetterà alle Camere, accanto a Rifondazione Comunista e Verdi. «Amnistia, selettiva e tale da prevedere il risarcimento per le parti lese, e la riforma complessiva del sistema penitenziario», è la ricetta proposta dal capogruppo al Senato del Prc Giovanni Russo Spena.
«Siamo tra i pochi sostenitori dell’indulto dopo l’indulto. E ora sosteniamo anche l’amnistia», afferma il presidente di Antigone Patrizio Gonnella alla presentazione del IV rapporto sulle 208 carceri italiane. Dal giorno dopo il provvedimento di clemenza, votato il 29 luglio, ognuno ha cercato di distanziarsene probabilmente per cavalcare il dissenso dell’opinione pubblica.
Ma la percezione popolare è falsata, spiega il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi: «La recidiva fisiologica è del 73%, la recidiva dopo quest’indulto è stata di appena il 5%». Russo Spena si dice «scandalizzato» da chi, come alcuni organi giudiziari e il ministro Di Pietro (contrario all’amnistia, ndr), fa una correlazione tra una realtà difficile come Napoli e l’indulto. «Stiamo arrivando ad una ossessione securitaria molto grave. E’ chiaro che la camorra si batte troncando i suoi malaffari e i suoi rapporti con le amministrazioni, non certo impedendo l’indulto».
Manconi dà ragione ad Antigone: all’atto di clemenza devono seguire necessariamente le riforme alla Bossi-Fini (legge sull’immigrazione), alla Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze e alla ex Cirielli sulla recidiva, altrimenti in pochi mesi le celle si ripopoleranno. E promette l’istituzione di una commissione nazionale che vigili sull’applicazione dei regolamenti carcerari.
Le carceri, anche dopo l’uscita di 24mila detenuti, contengono un terzo di migranti. E questo perché l’indulto, annota una delle curatrici Susanna Marietti, è stato applicato male: molte donne rom e migranti, sprovvisti di buon avvocato, non hanno potuto beneficiare della misura.
Ma il problema è strutturale: le carceri rimangono, anche ora che il sovraffollamento è stato eliminato, quanto di più lontano dal processo riabilitativo stabilito dalla Costituzione. Antigone ha visitato uno per uno i 208 penitenziari della penisola, e ha visto di tutto. «E’ un sistema schizofrenico. In alcune carceri si può passare anche 20 ore fuori dalla cella, in altre è permessa solo l’ora d’aria», continua Marietti. Così può succedere che alcuni detenuti arrivino alla laurea, e altri costretti alla licenza media; o che alcuni, perché capitati in strutture all’avanguardia, possano lavorare, e altri, i più sfortunati, siano costretti a starsene con le mani in mano. «Manca una politica unitaria, tutto è demandato alle competenze dei singoli direttori». Antigone preme su questo punto: l’indulto va bene, ma non è sufficiente. E punta il dito sui tagli della finanziaria al sistema carcerario. Frutto, spiega Manconi, della rimozione collettiva del carcere dalla società italiana.
«Bisogna riformare il codice penale per ridurre la centralità del ricorso al penale e al carcere», commenta il vicepresidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura Mario Palma. Il sistema penitenziario italiano, sebbene sulla carta risulti all’avanguardia, nella realtà è tra i peggiori d’Europa; ed è proprio questa distanza tra la normativa e la realtà disumana a dover essere colmata, perché in Italia «la pena è corporale» come nel Medioevo: celle strettissime e con il water a vista, sporcizia, detenuti che non possono incontrare intimamente i propri coniugi o abbracciare amici e famigliari. Oppure l’isolamento in sentenza, cioè deciso dal giudice, un provvedimento che l’Italia condivide con pochissimi Paesi al mondo. Senza contare il tasso di violenza dietro le sbarre, spesso alimentate da vere e proprie “squadre organizzate”, e i suicidi. «Nella stragrande maggioranza delle carceri gli atti di violenza sono tollerati, e questo è inaccettabile», dice Gonnella.
«In carcere ormai va a finire chi non è stato aiutato dalla società e dalla politica», commenta Russo Spena. Che si auspica la creazione di un garante nazionale dei detenuti, l’introduzione del reato di tortura nel codice penale e lo scioglimento dei servizi segreti nelle carceri. «Spero che entro la primavera del 2007 vengano avviate anche le riforme alla Bossi-Fini, Fini-Giovanardi ed ex Cirielli».