L’espresso 12.10.06
Bellocchio è tornato in famiglia
Due zie zitelle. Due giovani inquieti. E la figlia del regista. Che fa rivivere il set dei 'Pugni in tasca'. Unendo nostalgia e sperimentazione
colloquio con Marco Bellocchio
di Alessandra Mammì
Proprio buono, Marco Bellocchio non è diventato. Ma di certo c'è molta tenerezza in questo ultimo lavoro, che non è propriamente un film né un documentario: piuttosto un collage di frammenti di un discorso amoroso e familiare. La sua, di famiglia, nel cast compare quasi tutta. Ci sono le due sorelle maggiori Letizia e Maria Luisa, il figlio Pier Giorgio, la figlia Elena e la casa di Bobbio dove lui andava in vacanza fin da bambino. La stessa casa dei 'Pugni in tasca', allora claustrofobica e terribile, ora invece domestica, anzianotta e affettuosa. Piena di cose che sono lì da sempre, e non si sa più neanche se belle o brutte, come i nei sulla pelle di tutte le vecchie case di famiglia.
'Sorelle' (che vedremo il 19 ottobre alla Festa di Roma in un confronto ravvicinato con 'Histoire d'eaux', un piccolo film quasi inedito di Bernardo Bertolucci) non è propriamente un film, ma il risultato di un lavoro fatto nel tempo per gli allievi della sua scuola, girato in digitale, diviso in tre episodi diluiti in un arco che va dal 1999 a oggi. La storia poi è in bilico fra verità e finzione. Veri sono gran parte dei ricordi e dei racconti delle due sorelle; immaginaria è la storia dei due fratelli (Pier Giorgio Bellocchio e Angela Finocchiaro) imprigionati nel loro destino di ragazzi di provincia. Vera è la soffocante quotidianità dove ci si invecchia senza accorgersene; immaginaria è la storia della bambina (Elena Bellocchio) che vediamo a cinque, nove e dieci anni, crescere serena e da brava cattolica sotto l'amorevole cura delle zie. Veri sono i flash, i fotogrammi dai 'Pugni in tasca' che arrivano come incursioni nello scorrere placido del film. E vera, verissima, è quella provincia italiana borghese, un mondo tutto sommato solido, pieno di buon senso, discrezione, valori semplici e cultura diffusa, che sembra destinato a scomparire. Quel mondo che nei 'Pugni in tasca' generava rabbia e ribellione e che ora invece suscita nostalgia.
La sua casa, le sue sorelle, i suoi figli, i suoi film, i luoghi dei 'Pugni in tasca'. Marco Bellocchio, che cos'è 'Sorelle': un film sperimentale o una pagina di diario?
"Soprattutto un risarcimento verso due donne nubili, vittime sia pure discrete di una educazione a cui hanno in qualche modo sacrificato la loro vita e sul cui destino non ho alcuna responsabilità diretta, ma che sentivo di dover risarcire".
Due donne serene e deliziose, però. Genius loci di una casa e di una provincia quieta. Stesso set, ma ben altra cosa del teatro di conflitti dei 'Pugni in tasca'.
"Non ho più nessun rancore per questi ambienti. Resta benevolenza e un tocco pacificato. Non ho più neanche quell'età e non procedo più per scatti di rabbia. Ma se son tornato in quei luoghi è per trovare comunque strade nuove, sia pure in un film che, come un acquerello, descrive per accenni, con leggere allusioni a drammi più profondi".
E con una tecnica digitale che stupisce in un regista come lei, così attento al controllo dell'immagine.
"Il digitale è scelta obbligata se, come in questo caso, si tratta di girare in soli 15 giorni e con attori improvvisati un'intera storia, dalla sceneggiatura al montaggio. Realizzare concretamente un film è il mio modo di insegnare in una scuola che non a caso si chiama Fare Cinema".
Fare cinema significa anche assumersi dei rischi, ci ha spiegato al Festival a Venezia, ricevendo il premio Bianchi. E ha aggiunto: "Purtroppo oggi nel cinema non vedo nessun rischio". Cosa voleva dire?
"Il rischio fa parte della ricerca di un artista. A Venezia nel ricevere il premio ho scelto di proiettare 'Il diavolo in corpo' perché è il film dove ho rischiato di più".
Cosa ha rischiato?
"Non solo ho rotto con il produttore, ma ho rischiato di passare per pazzo, uno plagiato da un guru come Massimo Fagioli, psichiatra con la sfrontatezza di rinnegare totalmente Freud. La mia scelta di portarlo sul set era una contrapposizione radicale rispetto alla cultura dominante. Ho messo in pericolo tutto: la serenità economica, i rapporti personali, l'identità di artista che la cultura di sinistra fino allora mi aveva riconosciuto. Ma avevo la convinzione profonda di essere sulla mia strada di ricerca, e sia pure nella sua drammaticità quella vicenda mi ha dato ragione. Se mi fossi piegato e avessi banalizzato il film, allora sì che sarebbe stato un suicidio. Non c'è niente di peggio per un artista che rinnegare se stesso".
Ma perché il cinema oggi non ha più la forza di rischiare?
"Io continuo a correre i miei rischi, ma ho l'impressione che i giovani tendano più a imitare i loro padri e a cercare consenso. Da 'Notte prima degli esami' a 'Tre metri sopra il cielo' si chiede ai giovani di fare film facili dove altri giovani si riconoscano. Tutti film facili che nascono dalla costola della televisione".
Non tutti sono così.
"No, solo la maggior parte. Alcuni provano a correre rischi nella forma e nel contenuto. Sia pure disordinato e in parte ridondante mi ha colpito molto un film come 'Sangue' di Libero De Rienzo. Temo però di non vedere in generale questa spinta verso la ricerca, verso l'ignoto che noi avevamo".
E allora parliamo dei padri, lei e Bernardo Bertolucci, e del pubblico incontro alla Festa di Roma di una storica coppia antagonista, come i Beatles e i Rolling Stones.
"Io direi come Piacenza e Parma".
Ovvero?
"Piacenza, la mia città, è dura, aspra, ottusa. Parma, la città di Bernardo, è la capitale, la bellezza, l'arte. Ha un approccio più morbido con la cultura e la vita. Noi siamo diversi a cominciare da lì. Poi io ho fatto il centro sperimentale, mentre lui era assistente di Pasolini e figlio naturale di un mondo intellettuale. Avevamo riferimenti comuni, ma differente carattere anche cinematografico. Negli anni Sessanta un asso legava fortemente Bernardo alla Nouvelle Vague e all'intero partito dei godardiani. Io, invece, pur stimando Godard, guardavo altrove, mi interessavano più i maestri del passato, da Buñuel al realismo francese anni Trenta. Avevo bisogno, allora come adesso, di storie con traiettorie chiare, che si capiscano a una prima lettura, senza bizzarrie gratuite e nessun estetismo. Un rigore che risponde alla mia formazione. Poi Bernardo, dopo la stagione godardiana, è approdato a film di successo come 'Il conformista' o 'Ultimo tango', fino alla stagione hollywoodiana. È diventato un regista internazionale e ci siamo persi di vista".
Lei però non è un regista piacentino...
"No, ma i miei film, sia pure proiettati in Cina o in Russia, rimangono film di un autore che arriva dall'Italia".
Poi vi siete ritrovati nel 2003 al Festival di Venezia. Lei con 'Buongiorno Notte', lui con 'The Dreamers'. Due film che almeno nel tema suggerivano analogie.
"Indagavano su una stessa realtà, ma con forme che hanno continuato a dimostrarsi profondamente diverse. Lui parlava del sogno dei rivoluzionari, io degli incubi dei terroristi".
E ora eccovi insieme, nel ruolo di padri e maestri del cinema italiano.
"Non so come Mario Sesti abbia immaginato di organizzare questo incontro. Io ho suggerito di dargli come titolo quello di un dittico di Boccioni: 'Stati d'animo: quelli che vanno e quelli che vengono'. E su questo Bernardo è perfettamente d'accordo".
l’Unità 13.10.06
Mussi: «Non chiamateci scissionisti»
Il correntone: congresso «blindato» o niente. La Sereni: nel Pd c’è bisogno di voci critiche
di Simone Collini
«IL NOSTRO DISSENSO resta integrale, vogliamo fare la battaglia congressuale», dice Fabio Mussi al termine della riunione di parlamentari e coordinatori locali del Correntone. Ma ora è chiaro che la battaglia nei Ds comincerà prima ancora che si aprano i lavori che dovrebbero traghettare la Quercia verso il Partito democratico. Lo scontro si aprirà già sul regolamento con cui andare al congresso. Non è una novità, prima di ogni assise si gioca una dura partita su questo fronte, con la maggioranza di turno impegnata a tutelarsi e le minoranze che puntano a essere rappresentate nel miglior modo possibile. Stavolta però è diverso, perché tra le file della sinistra diessina c’è chi non esita a legare all’esito di questa battaglia la decisione se partecipare o meno al congresso. Una posizione estrema, che nessuno ha interesse a rendere esplicita, ma che viene fin d’ora messa in conto.
«Questo non è un congresso in cui si discute, purtroppo, la decisione è stata già presa», lamenta il salviano Giorgio Mele, per il quale sarebbe «necessario trovare una forma più snella di svolgimento dei lavori, che permetta ampia partecipazione e certezza delle regole». Ed è proprio sulle regole che insiste Mussi. «Chiederemo garanzie», fa sapere dopo aver riunito i suoi in una sala di Montecitorio, una anagrafe degli iscritti «nota» e l’individuazione di una data (quando il Consiglio nazionale convocherà il congresso) in cui bloccare i tesseramenti per evitare rigonfiamenti a ridosso dell’apertura dei lavori. E poi, «qualora si decidesse per una votazione diretta da parte della base del segretario, allora dovrà esserci un voto segreto», annuncia il ministro dell’Università e ricerca. Il motivo? Semplice: «Non ne abbiamo ancora parlato, ma penso che presenteremo una nostra candidatura alla segreteria al prossimo congresso Ds».
Se su questa candidatura convergeranno tutti i critici del Partito democratico si vedrà. L’orientamento è questo, e una tappa di avvicinamento in questa direzione è la contro-Orvieto messa in agenda per i primi di novembre, alla quale si metterà a punto un manifesto per una sinistra socialista ed europea e alla quale parteciperanno tutte le componenti diessine contrarie al processo unitario delineato al seminario umbro della scorsa settimana. Vale a dire il Correntone e l’area che fa capo a Salvi, per il quale «Prodi dovrebbe occuparsi meno di creare nuovi partiti e di più dei problemi delle fasce più deboli del Paese», ma anche esponenti della maggioranza che hanno partecipato al seminario di Orvieto. Valdo Spini lamenta il fatto che proprio in quella sede «non c’è stato modo per chi voleva difendere la tesi della piena adesione del Partito democratico al Pse, di andare oltre l’intervento nelle commissioni di lavoro», Giuseppe Caldarola giudica non convincente «né culturalmente né nell’idea di forma partito» il percorso delineato e Gavino Angius non esita a dire che se il nuovo partito è quello di Orvieto, «assomiglia tanto a Fi, con un supervertice e con una base che ogni tanto è chiamata a pronunciarsi».
E se, in un gioco di intrecci in vista del congresso, Caldarola giudica possibile «un dialogo utile con il Correntone» e Mussi dice «parleremo con Angius», un appello da parte della maggioranza arriva da Marina Sereni: «È importante che nel Partito democratico ci siano tutti, anche i critici, perché anche il dissenso è importante se è costruttivo». Ma benché non voglia guardare al dopo-congresso (e tanto mento voglia sentir parlare di scissione: «Noi non diremo mai che chi vuole sciogliere i Ds è un traditore, perché il Pd è una proposta politica, ma non voglio sentir dire che avere un’altra idea politica è scissionista») Mussi lancia un segnale oltre i confini della Quercia: «La Sinistra europea è una cosa interessante», dice il leader del Correntone guardando alla creatura a cui sta lavorando Rifondazione. E il fatto che questa forza non faccia oggi parte della famiglia socialista non impensierisce il ministro: «La formazione del Pd rimetterà in movimento tutto».
l’Unità 13.10.06
E il partito democratico ha una nuova corrente: i Teodem
Loro negano, ma i «cattolici rutelliani» puntano a rappresentare l’area cattolica in alternativa agli ex popolari
di Federica Fantozzi
TENDENZA TEODEM I fondatori hanno appena chiarito di non essere i Papa-boys né un riposizionamento interno dielle, quando Ilvo Diamanti soave pren-
de la parola: «Da tanti anni studio i partiti, vi ringrazio di avermi invitato a vedere dal vivo la nascita di una corrente». La senatrice Paola Binetti resta di stucco: «Veramente noi siamo al massimo una tendenza». E Diamanti: «Certo, anche De Gasperi diceva così della sua area politica dentro la Dc».
Primo giorno del seminario Teodem, la componente cattolico-rutelliana che ha lanciato il guanto di sfida agli ex Popolari nella Margherita. I promotori sono la Binetti, Enzo Carra, l’ex presidente delle Acli Luigi Bobba, Emanuela Baio Dossi. Esplicito l’interrogativo che fa da filo conduttore della tre giorni (dove oggi interverrà Rutelli): «Oltre il cattolicesimo democratico?».
Sarà per questo che nella sala dei Piceni a San Salvatore in Lauro l’unico degli ex Popolari che fa capolino è Sergio Mattarella, seduto nelle ultime file. Assenti tutti i partecipanti del seminario di Chianciano, da Rosy Bindi a Franceschini a Savino Pezzotta. Mentre i Teodem dibattono con Bruno Manghi e Diamanti sui valori dei cattolici in politica e sulle aspirazioni dei ceti popolari, Pierluigi Castagnetti è al Nazareno (la scuola però, non la sede della Margherita) a presentare la rivista «Italia Domani», dedicata in questo numero a Dossetti e La Pira. Facile pensare alla restituzione di uno sgarbo recente: quando il vicepresidente della Camera presentò l’appuntamento di Chianciano, Bobba e Binetti organizzarono una contemporanea conferenza stampa. Ma non è così: in serata Castagnetti farà un salto dai «rivali».
Dal palco il deputato torinese Marco Calgaro premette che «non è che qualcuno ha il copyright della laicità in politica e gli altri sono bigotti» ma attacca il «laicismo da combattimento». Il coordinatore dielle Antonello Soro chiarisce: «Non è la riunione di una setta di fondamentalisti col delirio». Bobba polemizza a distanza con la Bindi: «Macché clericali di sinistra, io sono figlio di Grandi e mi muovo tra ortodossia e autonomia».
Nella cartellina stampa però appare un documento: la nota dottrinale del 2002 sul comportamento dei cattolici in politica firmata dall’allora cardinale Ratzinger e dal suo vice Bertone, oggi Papa e numero due della Chiesa cattolica. Un «manifesto» impegnativo per i Teodem che vieta «di favorire con il proprio voto un programma politico o una legge dove i contenuti fondamentali della fede o della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti». Esempi citati: aborto, eutanasia, famiglia non fondata sul matrimonio.
In platea ci sono pezzi di Acli, ceto politico romano, i diellini Treu, Lusi e Piscitello, il prodiano Mario Barbi, il diessino cristiano-sociale Mimmo Lucà.
In attesa della «benedizione» rutelliana all’iniziativa, la Margherita fibrilla. Se il Popolare Beppe Fioroni con fair play parla di «contributo utile», il prodiano Franco Monaco teme che la (duplice) resurrezione dell’identità cattolica organizzata inneschi una «corsa all’indietro» nel partito che si riverbererà sul Pd.
Specchio delle tensioni è stata la cena di mercoledì sera a casa Rutelli con Marini, Gentiloni, Franceschini, Parisi, Fioroni e Bordon. Animata la discussione sulla data del congresso dell’anno prossimo e sull’ipotesi di contarsi presentando diverse mozioni. Non solo parisiani, Popolari e Teodem: neppure la Bindi esclude un suo documento. La serata ha registrato anche un diverbio tra Arturo Parisi e Franco Marini sul principio «una testa un voto», sostenuto dal primo e avversato dal secondo. E l’inedita sinergia Parisi-Rutelli, entrambi alla ricerca di «garanzie».
Repubblica 13.10.06
La minoranza presenta la "contro Orvieto" e insiste per il voto segreto sul Partito democratico
Ds, il correntone cerca alleati "Interessanti le mosse del Prc"
Mussi: congresso presto, e forse un nostro candidato
"Nasce una formazione di incerta identità. Non voglio sentire parlare di nostra scissione"
di Carmelo Lopapa
ROMA - Non vogliono sentir parlare di scissione. Ma solo perché saranno gli altri, semmai, la maggioranza della Quercia, a dire addio ai Ds per creare «un altro partito di incerta identità». Che poi sarebbe il Partito democratico al quale invece i dissidenti interni, forti di un 20 per cento di tessere, si preparano ora a dare battaglia. Come? Cercando di costruire un fronte comune con le voci critiche della stessa maggioranza, da Angius a Caldarola, oltre che con le altre minoranze di Mussi e Bandoli, in vista del congresso. E poi guardando con occhio «interessato» alla Sinistra europea alla quale lavora il Prc.
L´iniziativa la prende il Correntone della Quercia (14,5 per cento di consensi, più di 80 mila iscritti) che ha già messo in agenda ai primi di novembre un incontro aperto a tutte le componenti diessine che hanno espresso più di una perplessità sull'accelerazione impressa alla costruzione del nuovo soggetto. Sarà la «contro Orvieto», in cui sarà presentato un manifesto politico destinato a essere la base della battaglia vera, quella che si combatterà al congresso della svolta in primavera. Lo ha annunciato il ministro Fabio Mussi, al termine delle quattro ore di confronto con parlamentari e coordinatori regionali della sua corrente della sinistra Ds. «È emerso un no corale a Orvieto e la richiesta di chiedere un congresso in tempi certi e ravvicinati - ha raccontato il leader del Correntone - perché venga restituita agli iscritti la libertà di discutere e decidere sul futuro della Quercia. Perché finora non c´è una carta, un documento su cui gli iscritti si siano pronunciati». L´intenzione dichiarata è quella di chiedere il voto segreto quando il congresso sceglierà se dare vita con la Margherita al nuovo partito, ma anche sulla scelta del segretario, perché Mussi e i suoi non escludono di avanzare una candidatura alternativa. Sarà una battaglia di principio, con possibilità di successo pressoché nulle. Le minoranze, come ha ricordato lo stesso ministro, raccolgono in tutto il 20 per cento.
Ma è il tam tam della scissione a tenere banco in casa diessina. Mussi, affiancato dai suoi, ha tagliato corto: «Non voglio sentirne parlare. Si fa un altro partito di incerta identità e noi indichiamo un´altra prospettiva politica più a sinistra. Questa non è una scissione». E siccome guardano appunto più a sinistra, ecco che il progetto di Sinistra europea del Prc viene considerato «una cosa interessante: già il fatto che si senta il bisogno di una definizione che non è solo Rifondazione, è una presa di coscienza del problema». Intanto, il Correntone dei Fumagalli e della Buffo plaude all´uscita del senatore Gavino Angius che, dalla sponda della maggioranza interna, nell´intervista di ieri a Repubblica ha promesso battaglia alla fusione con la Margherita. Sarà invitato anche lui all´appuntamento di novembre, come pure la componente ambientalista e la corrente Socialismo 2000 di Cesare Salvi. Scissione? «È una parola che usa chi vuole sciogliere i Ds per creare il Partito democratico» nicchia il senatore. Ma che la Quercia sia in turbolenza lo si capisce dalle parole di un altro big della maggioranza come Giuseppe Calderola, che ormai preferisce definirsi «ex maggioranza» e apre al «dialogo utile con il Correntone». Al meeting dei dissidenti ci sarà forse pure lui. Se poi la sinistra Ds non dovesse entrare nel nuovo partito, comunque «non ci saranno contraccolpi per il governo», secondo il ministro del Lavoro Cesare Damiano. Marina Sereni spera ancora che dentro il Pd ci siano tutti, «anche i critici perché il dissenso è importante se costruttivo». Ma il dissenso interno sembra sempre più intenzionato a costruire altro.
Repubblica 13.10.06
SE DIO CI GUARISCE
La "lectio magistralis" del cardinal Martini che riceve oggi una laurea honoris causa
Il Nuovo Testamento racconta i miracoli di Gesù che viene presentato come guaritore
Molte volte nella Bibbia si ricorda il Signore nelle vesti di colui che cura il suo popolo e ne risana le piaghe
Della potente e misteriosa divinità ebraica non si conosce il volto ma l´agire
Di Cristo medico sta scritto: Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le malattie
di Carlo Maria Martini
Ho un ricordo che risale a dieci anni fa. Sono le parole in ebraico del Salmo 8: «Che cosa è l´uomo perché te ne ricordi / il figlio dell´uomo perché te ne curi? Eppure l´hai fatto poco meno degli angeli, / di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, / tutto hai posto sotto i suoi piedi». Sono le parole che mi suggeriscono qualche riflessione su Dio guaritore. La personalità misteriosa del Dio di Israele viene espressa dalla Bibbia ebraica anzitutto con verbi di azione, poi con aggettivi e infine con sostantivi. I verbi sono quelli con cui vengono indicate le attività fondamentali di Dio a favore del suo popolo e dell´umanità, quelle che lo qualificano in maniera permanente come potente e misterioso, quelle che lo rendono presente, ma in certo senso anche lo nascondono perché non ci viene rivelato il suo volto, ma descritto il suo agire.
I verbi da tenere presente sono molteplici. Qui elenco a modo di esempio i seguenti: Dio crea la terra e l´uomo che in essa abita (Isaia 42,5-6a: «Così dice il Signore Dio, che crea i cieli e li dispiega, distende la terra con ciò che vi nasce, dà il respiro alle genti che la abita e l´alito a quanti camminano su di essa»); Dio fa promesse (Genesi 22,16-18: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore. io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la sua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare. Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni sulla terra»); Dio libera (Esodo 6,6: «Per questo dì agli Israeliti: Io sono il Signore! Vi sottrarrò ai gravami degli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi libererò con braccio teso e con grandi castighi»); Dio riscatta e salva («Non temere perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome. Poiché io sono il Signore tuo Dio, Il Santo di Israele, il tuo salvatore»: Isaia 43,1-3); Dio comanda (Esodo 34,11: «Osserva dunque ciò che io oggi ti comando»); Dio guida (Deuteronomio 8,2: «Ricordatevi di tutto il cammino per cui il Signore vi ha guidato in tutti questi quarant´anni nel deserto. «); Dio perdona (Salmo 65,4: «Pesano su di noi le nostre colpe, ma tu perdoni i nostri peccati»).
Tutti questi verbi e molti altri ancora specificano un´azione positiva di Dio verso Israele. Dio è quindi visto non come qualcuno che anzitutto sussiste in sé, nella sua indipendenza e isolamento, ma come qualcuno che opera per altri e che agisce in particolare con interventi precisi nella storia del suo popolo.
Dalla qualità e molteplicità di questi interventi si ricavano anche alcuni aggettivi, che non sono tuttavia per lo più costitutivi e «definitori» della persona, ma sono derivati dalla frequenza delle azioni indicate nei verbi. Abbiamo così la serie di aggettivi proposta in Esodo 34,6-7, in cui siamo soliti fermarci agli attributi di misericordia, dimenticando la seconda parte dell´elenco: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all´ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma che non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione».
I verbi indicano dunque le azioni costanti di Dio e gli aggettivi tentano di sintetizzare quest´azione costante, per quanto è possibile penetrare nel mistero di Dio, che fugge ad ogni definizione.
In terzo luogo vengono i nomi, presentati non come definizioni proprie e accurate ma come metafore del divino, derivati dai verbi e dagli aggettivi. A questi ultimi occorre dunque richiamarsi per comprendere il significato dei nomi.
Si è proposto di dividere i sostantivi in due categorie: quelli che esprimono una metafora di governo e quelli che esprimono metafore di sostegno.
I primi sono assai più importanti. Essi presentano la figura del giudice, del re, del guerriero, del padre. Le metafore di sostegno sono meno frequenti e presentano soprattutto Dio come colui che ha cura, mantiene, nutre, sorregge il 7-8), come giardiniere e vignaiolo, come madre, come pastore e anche come guaritore.
Quest´ultima metafora non è molto presente, ma la si trova in vari contesti nodali. Essa appare per esempio in Deuteronomio 32,39; Osea 6,1; Esodo 15,26. Una tale qualifica di Dio viene esercitata non come distacco, ma con pathos (Geremia 3,22; 8,22).
Dio guarisce in profondità e non alla leggera, come fanno alcuni profeti o sacerdoti («Essi curano la ferita del mio popolo, ma solo alla leggera, dicendo: «Bene, Bene» ma bene non va»: Geremia 8,11). Tale azione di Dio suppone un contesto di sincerità e non di menzogna o di reticenza (Salmo 32,3-5: «Tacevo e si logoravano le mie ossa. Ti ho manifestato il mio peccato, non ho tenuto nascosto il mio errore. Ho detto «Confesserò al Signore le mie colpe» e tu hai rimesso la malizia del mio peccato»).
L´Antico Testamento conosce anche i limiti di questa capacità di guarire, e questo in particolare quando la persona o il popolo resistono all´azione di Dio. Si veda Geremia 51,5-6: «All´improvviso Babilonia è caduta, è stata infranta; alzate la mente su di essa; prendete balsamo per il suo dolore, forse potrà essere guarita.
Abbiamo curato Babilonia, ma non è guarita. Lasciatela e andiamo ciascuno al proprio paese; poiché la sua punizione giunge fino al cielo e si alza fino alle nubi». Viene subito in mente il passo dei vangeli che descrive la visita di Gesù alla sua città di Nazaret: «E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità (Matteo 13,58).
Una caratteristica di Dio guaritore nella Scrittura è che egli non si limita ad alcuni interventi di guarigione, ma pone questa sua azione nel complesso di tutto il suo agire per il popolo, sia direttamente come per mezzo dei suoi intermediari: re, sacerdoti, profeti etc. e delle istituzioni preposte al benessere di Israele, come la Toràh etc. Così anche nel nostro tempo la guarigione non è ipoteca solo di alcuni specializzati, neppure soltanto dei medici, ma si compie nell´insieme di una società che promuove l´uomo e ogni suo aspetto positivo, fino a quello che riguarda la verità e l´autenticità profonda dell´esistenza, a cui è legato anche il senso pieno del nostro benessere.
Nel nuovo Testamento la qualifica di Gesù come medico è certamente più presente, perché Gesù è caratterizzato, soprattutto nella prima parte della sua azione pubblica, come grande guaritore. Perciò i riferimenti alla sua azione sono numerosi. Si veda ad esempio Marco 1,32: «Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni». Si veda anche Matteo 8,16: «Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie» (Isaia, 53,4).
La sua capacità di guarire le ferite è espressa in particolare nella sua passione. La frase più commovente si trova forse nella prima lettera di Pietro, che si richiama alla profezia di Isaia già sopra citata: «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché non vivendo più nel peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti» (Isaia 53,5.6; Ezechiele 34,1). Gesù stesso aveva detto, parlando di coloro che criticavano il venire a lui di molti peccatori e pubblicani, che: «non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17). In ogni caso anche qui l´azione guaritrice di Gesù si pone come una parte della sua azione totale di rinnovamento della persona ed i riscatto dai suoi peccati.
Tale potenza guaritrice di Gesù è stata lasciata come dono alla sua Chiesa: «questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono. imporranno le loro mani ai malati e questi guariranno» (Mc 16,17s). Difatti noi vediamo negli Atti degli Apostoli descritte le guarigioni operate da Pietro e da Paolo.
Gesù ha sempre impegnato la sua Chiesa ad essere vicina ai malati in tanti modi. Essa spinge oggi ad essere presenti a coloro che sono nella malattia attraverso l´aiuto anche di molti medici i infermieri, che si prendono cura dei malati con spirito evangelico e che guardano al benessere complessivo della persona.
Nel nostro tempo infatti c´è bisogno non soltanto di fare delle diagnosi precise e di indicare delle medicine efficaci. Occorre prendersi cura del malato nella sua totalità, nelle sue debolezze, nel suo bisogno di essere compreso, sostenuto, aiutato e amato. Così il medico compie un´opera che è parte di un insieme più vasto e che tuttavia si ricollega a quella di Gesù ed esprimere la cura della Chiesa per ogni persona sofferente.
La Stampa 13.10.06
Sulle spalle il padre-partito
di Andrea Romano
Perché la discussione sul partito democratico non emoziona nessuno? Perché quello che dovrebbe essere un passaggio decisivo nella storia della sinistra italiana non riesce a varcare i confini della cittadella di Montecitorio? Non sarà forse che in questo passaggio si riconoscono i segni di un altro passato che non passa? Difficile negarlo per i Democratici di Sinistra, dove la generazione dei postcomunisti si appresta a vivere l'ennesima trasformazione della propria ragione sociale all'insegna della più granitica continuità. Ancora una volta tutti insieme, ancora una volta tutti incapaci di trarre con coraggio e coerenza le conseguenze politiche delle proprie azioni. Ciò che in questo caso porterebbe ad esempio Mussi e D'Alema, Fassino e Angius, a seguire strade finalmente separate dopo aver condiviso decenni di militanza comune. Prima nella Fgci e nel Pci, poi nel Pds, infine nei Ds e ora nel Pd. Ripetendo ad ogni svolta la propria incrollabile fedeltà ad un unico filo di continuità: la coesione personale e di gruppo.
Questi figli di Anchise hanno attraversato quasi mezzo secolo di storia italiana portandosi sulle spalle il padre-partito-Enea, alla ricerca di un approdo dove depositarne integre le spoglie. Oggi pensano di averne individuato un altro nel partito democratico, all'interno del quale traghettare i simboli antichi e recenti della propria appartenenza. Se Alfredo Reichlin riconosce in Palmiro Togliatti uno degli ispiratori del Partito democratico, per D'Alema lo stesso Enrico Berlinguer sarebbe stato d'accordo con il nuovo traguardo. Onore a Togliatti e a Berlinguer, viene da dire, ma davvero non si capisce quale ruolo possa avere quella cultura politica nell'impresa che si va preparando. D'altra parte anche gli esponenti dell'ex correntone come Mussi non sono da meno, e dopo averci istruito per anni sulla mitologia di Porto Alegre e del Social Forum riscoprono le virtù di un altrettanto mitologico socialismo europeo allo scopo di contrattare la propria adesione alla nuova casa comune. Su queste basi, quella che si va preparando è una lunga e defatigante trattativa per non perdere per strada nemmeno un pezzetto dello stemma di famiglia.
C'è qualcosa di morboso in questa ansia di continuità, qualcosa che alimenta proprio quel qualunquismo dell'antipolitica che si vorrebbe esorcizzare e che perpetua la percezione dei Ds come gli eredi del Pci. Perché la volontà di tenere insieme ogni cosa, di cambiare tutto l'arredo esterno senza cambiare niente all'interno della casa finisce per respingere chi è fuori da quella storia familiare. Di questo si tratta, del tragitto di una famiglia storica che non ha ancora preso coscienza della propria diversificazione interna e che pretende di mostrarsi unita contro ogni evidenza. Ma le famiglie politiche sono ben altra cosa, specie quando intraprendono un nuovo tragitto. Hanno bisogno della forza e dell'autorevolezza che nasce dalla chiarezza, dall'onestà politica di chi sa dividere quanto deve essere diviso e unire quanto deve essere unito. Il New Labour di Blair e il Neue Mitte di Schroeder, le principali esperienze di rinnovamento avvenute a sinistra nell'ultimo ventennio, sono nate da profonde rotture nella continuità dei rispettivi partiti. Nessuna passione per il frazionismo, ma la coerenza di scegliere un percorso assumendosene pienamente la responsabilità. Anche quando questo significa lasciare per strada i compagni di una vita per trovarne di nuovi, sapendo tuttavia che la potenza della propria proposta politica sarà alla fine ben più efficace.
Aprileonline.info 13.10.06
I cento anni di Hannah Arendt
di Marzia Bonacci
Oggi a Roma presso la Fondazione Olivetti un convegno ricorda il centennale della nascita della grande filosofa. Ne abbiamo parlato con il professor Roberto Esposito, Direttore del Dipartimento di Filosofia e Politica dell'Orientale di Napoli e relatore dell'incontro
"Pensare senza ringhiere" era il suo motto. Una riflessione massimamente libera che, però, non può essere svincolata dalla vita reale, concretamente incarnata in materia vivente, esperienze, passioni. "La manifestazione del vento del pensiero non è la conoscenza; è l'attitudine a discernere il bene dal male, il bello dal brutto", perchè non può esistere un'attività teorica che non si comprometti e non si mescoli con le scelte etiche, con l'azione pratica, con la decisione morale. E' difficile riassumere in poche righe la filosofia di Hannah Arendt, grande protagista della tradizione del "secolo breve". Nata il 14 ottobre del 1906 da famiglia ebrea, in questi giorni l'Arendt festeggia i suoi cento anni. Sicuramente non tutti vissuti sul palcoscenico della vita, che per lei si concluse in America nel 1975, ma protagonista indiscussa della storia del pensiero, che come tale e per fortuna è destinata a godere dell'eternità. Diventata famosa per l'opera "Le origini del totalitarismo", prima importante denuncia del regime stalinista e del nazismo equiparati nel loro "aver reso superfluo l'uomo", e ricordata anche per il suo legame teorico e umano con il grande filosofo Martin Heidegger, con cui visse una relazione convulsa ma intensa e duratura, l'Arendt ha rappresentato l'anima più intima dell'ebraicità e della condizione umana novecentesca.
Di questa "viaggiatrice" del vecchio secolo, della sua eredità e della sua attualità abbiamo parlato con il professor Roberto Esposito in occasione del convegno organizzato oggi pomeriggio alla Fondazione Adriano Olivetti di Roma e dedicato proprio alla pensatrice. "Filosofia, politica, autenticità. Pensare con Hannah Arendt" era il titolo dell'incontro in cui Esposito è intervenuto come relatore.
Professor Esposito, qual è l'aspetto di maggiore attualità della filosofia e del pensiero di Hannah Arendt?
Certamente la critica a tutte le forme rappresentative di democrazia che tendono a rinsecchirsi, ad evitare o eludere la partecipazione più allargata, chiudendo così il discorso politico all'ambito ristretto dei gruppi dirigenti, ed evitando la costruzione di un rapporto, che è poi vitale, con la società civile. Un tema di fondo che caraterizza il pensiero della Arendt e che mi sembra di grande attualità.
La filosofia della Arendt si è concentrata a lungo e con profondità sul tema del totalitarismo, sempre affrontandolo in rapporto con il suo alterego politico-filosofico: la libertà. Proprio quest'ultima è sempre stata la sua grande passione...
Si. La Arendt ha fornito la prima grande sistemazione teorica della critica al totalitarismo, da lei inteso come mondo che vede addiritura la fine della politica, l'occlusione totale del rapporto vitale fra cittadini, libertà politica e potere. Oggi non viviamo certamente in una situazione totalitaria, tuttavia alcuni elementi del suo pensiero anche in questo senso possono essere attuali, soprattutto laddovè gli spazi di libertà vengono confiscati. E questo accade continuamente attraverso, per esempio, la concentrazione dei media, oppure per mezzo della concentrazione della decisione politica agli apparati ristretti, attraverso tutti quei meccanismi e dispositivi che assottigliano la libertà e le libertà.
Come ha risposto la storia e il mondo del pensiero novecentesco alla produzione teorica della Arendt?
E' una domanda importante e centrale. La tradizione filosofica infatti ha reagito poco e male alla formulazione teorica della Arendt perchè essa non era e non è inseribile all'interno dei suoi quadri tradizionali. Una posizione di diversità che nasce dal fatto che si tratta di un pensiero eterodosso, che non si ri fà a parole d'ordine codificate e che spezza i confini disciplinari fra i vari ambiti, fra i vari linguaggi. La filosofia novecentesca ha avuto molte difficoltà ad acquisire e introiettare in positivo questo insegnamento.
Da circa vent'anni, invece, abbiamo assistito ad una ripresa degli studi heideggeriani e ci si è tornati ad interrogare anche sul rapporto del pensatore di Heidelberg con la Arendt, rimettendo così in gioco questa eredità che è stata per molti versi nascosta, ma che oggi sta dando risultati importanti sul piano della ricerca filosofica.
Il rapporto fra Martin Heidegger e Hannah Arendt è stato un sodalizio filosofico e umano snodatosi per tutta la vita di entrambi. Può essere che questo legame e questa fedeltà della Arendt verso il maestro Heidegger abbiano causato il suo ostracismo dagli ambienti filosofici post-seconda guerra mondiale? Del resto, non si può ignorare che Heidegger sia rimasto legato per tutta la sua esistenza al peso della colpa di non aver preso le distanze dal nazismo.
Il rapporto con Heidegger non può essere ridotto al solo livello sentimentale, la Arendt è stata infatti fortemente condizionata dall'apparato categoriale heideggeriano, anche se poi lo ha sviluppato in una direzione libera e personale. Questo legame ha molto probabilmente giocato in negativo nella ricezione del suo pensiero nel mondo filosofico, soprattutto perchè l'eclissi che Heidegger ha vissuto nel dopoguerra ha in qualche modo trascinato con sé anche la Arendt. Ma poi negli anni ‘60, soprattutto a partire dalla recensione francese, il pensiero di Heidegger è stato rilanciato nel dibattitto internazioale, rilanciando di coseguenza anche quello della Arendt, che oggi si colloca nella sua vicinanza, pur mantenendo le sue profonde differenze e la sua autonomia.
L'Arendt non ha rivendicato la propria dimensione di "genere" nella sua formulazione teorica. Il suo "essere donna" non è mai stato il punto di vista dichiarato dal quale presentare il proprio costrutto filosofica. Questo aspetto richiama quindi il tema del rapporto fra la sua filosofia e quella della differenza. Che tipo di relazione intercorre tra le due?
L'Arendt era una pensatrice della differenza ma non della differenza sessuale. Quello che le stava a cuore era infatti la singolarità assoluta di ciascun essere umano, donna o uomo che fosse. Sicuramente c'è stata una forzatura nell'arruolarla all'interno delle schiere del pensiero femminista. Al contempo, è indubbio il suo essere una pensatrice della differenza, ma nella sua definizione più vasta.