Adnkronos.it 20.10.06
I due a confronto su cinema, vita e psicanalisi
Festa di Roma, tanti applausi per Bertolucci e Bellocchio
Il regista de 'L'ultimo imperatore': "Io, mentre giravo, sognavo sempre di essere qualcun altro, Renoir magari. Lui, invece, è sempre stato violentemente se stesso"
Roma, 20 ott. (Adnkronos) - Psicanalisi, rapporto con le proprie origini, ricordi d'infanzia. E poi ovviamente anche cinema. E' un dibattito ricco e avvincente quello fra Marco Bellocchio e Bernardo Bertolucci alla Festa di Roma. A unirli è il filo rosso dei ritorni, che accomuna i loro 'Histoire d'eaux' e 'Sorelle', accolti ieri sera da una selva di applausi alla Sala Petrassi dell'Auditorium. Il primo è il metaforico episodio con cui Bertolucci contribuisce al corale 'Ten Minutes Older' del 2002. Il secondo lo sperimentale mediometraggio uscito dai seminari di Bellocchio, in cui il regista ha reclutato amici e parenti, per parlare di ciclici ritorni e partenze dal paese natio. Il più illustre apprezzamento al filmato, dopo i lunghi e calorosi applausi in sala, arriva proprio dal collega premio Oscar per 'L'ultimo imperatore': "L'ho trovato bellissimo e molto familiare. Mi ha profondamente commosso".
Uno piacentino, classe 1939, autore di film come 'I pugni in tasca', 'L'ora di religione', il più recente 'Buongiorno, notte'. L'altro della vicina Parma, nato nel '41 e internazionalmente riconosciuto per 'Ultimo tango a Parigi', 'Novecento', 'Io ballo da sola'. Nonostante gli apparenti parallelismi, il ritratto che emerge è di due autori che si sono brevemente incrociati e poi sempre osservati a distanza: "Abbiamo alle spalle esperienze molto diverse - dice Bellocchio -. L'ambiente culturale piacentino guardava a quello romano con un certo 'moralismo critico'. Nella seconda metà degli anni '60 abbiamo avuto un confronto abbastanza ravvicinato. Poi le nostre strade si sono divaricate, fino a portarci a fare cose molto diverse". Il primo incontro risale al '62, poco prima che Bertolucci esordisse con 'La commare secca': "Vedevo in Marco un regista molto forte e diverso da me. Io amavo molto la nouvelle vague francese, lui, che era stato a Londra, il free cinema inglese".
La 'folgorazione' cinematografica arriva tre anni dopo con 'I pugni in tasca': "A me - racconta sempre Bertolucci - sono arrivati dritti nello stomaco. Un film atrocemente autobiografico, che se non mi ha proprio influenzato, ha però lasciato in me un segno molto profondo. Da allora sono andato a vedere con trepidazione quasi tutti i suoi film". Ancora lui, fotografa poi così le differenze che lo separano da Bellocchio: "Io, mentre giravo, sognavo sempre di essere qualcun altro, Renoir magari. Lui, invece, è sempre stato violentemente se stesso". La conferma arriva proprio da Bellocchio, che chiamato in causa risponde: "In modo forse ossessivamente narcisistico e complicato, ma ho cercato sempre di conciliare vita e arte. Far rispondere cioè quanto facevo a quello che ero in quel determinato momento".
Fra i più divertenti aneddoti della serata, il primo incontro di Bertolucci con Pasolini: "Avevo 14 anni ed ero nella casa dei miei genitori a Monteverde Vecchio, a Roma. Lui suonò alla porta, ma io non conoscendolo lo lasciai aspettare sul pianerottolo. Con quell'aspetto e quel ciuffo nero metteva paura, così andai da mio padre e gli dissi: 'Ti cerca uno che dice di chiamarsi Pasolini, ma secondo me è un ladro'". La stima nasce però immediata, non appena il regista di 'Uccellacci e uccellini' si trasferisce nello stesso stabile: "Qualche anno dopo era già diventato il mio grande amore. Quando scrivevo delle poesie non chiedevo più consiglio a mio padre, ma mi precipitavo giù dalle scale per fargliele leggere".
Al botta e risposta fra Bellocchio e Bertolucci, non può infine mancare il confronto sulla psicanalisi. Se il primo torna a parlare della sua esperienza con Fagioli, il secondo sdrammatizza con leggerezza: "Non ne ho mai fatto un mistero. Se avessi volato tanto quanto ho frequentato il lettino dello psicanalista, oggi piloterei un jumbo".
Il Resto del Carlino 20.10.06
Bertolucci e Bellocchio a confronto
Tra affinità e tante differenze
Rapporto con le proprie origini, ricordi d'infanzia e tanto cinema nel dibattito ricco e avvincente tra i due registi. A unirli il filo rosso dei ritorni, che accomuna 'Histoire d'eaux' e 'Sorelle'
Roma, 20 ottobre 2006 - «Il film di Marco è bellissimo. Mi ha quasi commosso, lo sento familiare, anche mio , non solo suo». A parlare è Bernardo Bertolucci, fianco a fianco con Marco Bellocchio per parlare su un tema «Quelli che vanno e quelli che restano», nella sala piccola dell'Auditorium piena come un uovo.
Poco prima erano stati proiettati in sequenza, e alla fine applauditissimi, il film «Sorelle» di Bellocchio (tre episodi di una stessa storia, quotidiana e realissima, girati in tre anni diversi, 1999, 2004 e 2005) e «Histoire d'eaux» di Bernardo Bertolucci, dieci minuti allegorici e surreali nati da un apologo indiano sul tema del tempo. Film diversissimi, come sono diversi i loro rispettivi autori, con l'eccezione di una analogia: in tutti e due si vede il tempo che passa.
Più che di «quelli che vanno e quelli che restano» si finisce per parlare di somiglianze e soprattutto differenze fra stili e modi di intendere il cinema. Esordisce Bertolucci. «In ogni film ho avuto la tentazione di essere un altro, Marco è sempre stato violentemente se stesso. Ricordo di averlo conosciuto nel 1962. Io amavo la 'Nouvelle Vague', lui il 'Free cinema' inglese. Cinematografie molto diverse, entrambe molto vitali». Ammette le differenze Bellocchio: «Ho cercato sempre di essere personale, sempre anche in modo ossessivamente marcisistico. Ho cercato di tenere insieme vita ed arte.
Fa sorridere la platea Bertolucci: «'I pugni in tasca' mi folgorò e dissi a me stesso 'chi l'avrebbe mai detto... da un piacentino...'. Segretamente penso che quel film abbia lasciato tracce in me ed allora ho sempre aspettato le opere di Marco con palpitazione e curiosità». Poi è Bellocchio a notare: «Dal 'Conformista' in poi si è dilatato fra di noi un confronto ravvicinato; eravamo su strade radicalmente diverse, con destini diversi. Ma tra noi c'è sempre stata una costante: ci siamo sempre interessati l'uno dell'altro».
Sul tema della serata, vale a dire su quelli che vanno e quelli che restano, Bertolucci riflette: «Il destino di chi nasce in provincia è quello di odiare la provincia e i suoi orribili valori. Magari, però, dopo trenta anni pensa che la provincia sia l'unico posto dove sia possile vivere».