Liberazione, 15.12.05
Ecco l’America incivile e violenta
di Piero Sansonetti
Pongo una domanda un po’ provocatoria. Secondo voi, il peggior uomo politico italiano (ognuno scelga il suo: Berlusconi, Fini, Castelli, Calderoli, Gasparri, Cuffaro…) se fosse stato posto di fronte al dilemma, semplicissimo per ciascuno di noi, se graziare Tookie Williams o spedirlo sulla forca, cosa avrebbe fatto? Lo avrebbe fatto ammazzare, di lì a dodici ore, per convinzione, per sete di giustizia o di vendetta, per calcolo politico, per sadismo, per conformismo? Io credo di no: l’avrebbe graziato. Perché? Perché, mi chiedo, su temi così importanti - che riguardano il concetto che si ha della vita, del bene, del male, della vendetta, del perdono, della giustizia, della rivalsa - la peggior destra italiana è di gran lunga superiore alla destra liberale americana della quale il governatore Arnold Schwarzenegger è uno dei più brillanti esponenti?
Ho una sola risposta. Paradossale ma credo inoppugnabile. C’è una questione di civiltà. Gli Stati Uniti sono un paese giovane, con radici “corte” e un livello ancora molto irregolare di civilizzazione. Ci sono campi nei quali la civiltà americana è molto avanzata: la libertà di stampa e di espressione, i diritti civili di una parte della popolazione (i bianchi economicamente ben sistemati), il funzionamento dei servizi e della pubblica amministrazione, eccetera. In altri campi siamo appena fuori dal medioevo. Il senso comune, la cultura dominante negli Stati Uniti, ad esempio, coltiva un’idea sul diritto alla vita, sull’amministrazione della giustizia, sulla legittimità della violenza e persino sulla sacralità e intoccabilità dell’individuo, che sta molti secoli più indietro rispetto allo spirito pubblico europeo.
Ieri, in un bell’articolo pubblicato su questo giornale, il mio amico Piero Bernocchi, diceva più o meno così: sono antiamericano e rivendico il mio antiamericanismo, perché non ce l’ho con il governo degli Stati Uniti, o col loro presidente, o coi ministri, i poliziotti, i boia: ce l’ho con la nazione Stati Uniti, perché questa nazione è in grado di esprimere solo valori di sopraffazione e di morte, aspirazioni imperialiste, pulsioni autoritarie, violente, nazionaliste.
Conosco Piero Bernocchi da quando eravamo ragazzi, e da allora - diciamo la verità, con affetto - lo ho sempre considerato un estremista e un “gruppettaro”… Anche stavolta è così. Una condanna dell’America, in quanto America - quasi fosse l’impero del male - è infondata, sbagliata, priva di ragioni. Però Bernocchi, con la consueta franchezza e irruenza, pone alcuni problemi che sono veri, seri. Il primo sta in questa domanda: perché nell’analisi storica, o politica, o persino culturale e letteraria sugli Stati Uniti, omettiamo sempre di considerare il fatto che quel paese è diventato grande sulla base di uno sterminio, di un genocidio paragonabile solo a quello eseguito da Hitler sugli ebrei, e che questo genocidio ha portato alla cancellazione totale dalla storia di un popolo gagliardo, raffinato e fiero, che era il popolo padrone di quel continente (è l’unico caso nella vicenda umana, credo, nel quale un genocidio produce la scomparsa totale di una intera popolazione di milioni di individui)?
E ancora, che questo paese ha costruito le basi della sua superpotenza economica su un sistema di produzione originario basato sulla schiavitù, e che gli schiavi erano il frutto di azioni di rapina, di sequestro, poi di deportazione feroce dall’Africa? E perché omettiamo di dire che il sistema di giustizia americano in parte - ma solo in parte - è copiato da quello britannico, ma ancora oggi è fortemente condizionato da una idea di giustizia che nell’ottocento - anni dopo Beccaria - era fondato sul processo di piazza e sul linciaggio?
Cosa c’è di più obbrobrioso - si chiedeva Bernocchi - che costruire un’intera epopea di film (e anche di racconti letterari) sull’esaltazione di un genocidio, cioè del massacro dei “pellerossa”, come è avvenuto a Holliwood con la produzione di un fenomeno cinematografico e letterario che ha dilagato con straordinario successo in tutto il mondo, ha influenzato la fantasia della nostra giovinezza, ha diffuso valori (il coraggio, la forza, la violenza, la freddezza nel colpire), ha fatto da battistrada al grande cinema moderno? C’è qualcuno che sa rispondere in modo decente a questa domanda?
Badate che la glaciale spietatezza di Arnold Schwarzenegger, che in piena tranquillità ha mandato a morte il cinquantenne scrittore, poeta ed ex gangster Tookie William, non è un’eccezione. E’ così, sta nelle cose: la stragrande maggioranza degli americani non ha un’idea diversa di giustizia. Decine di associazioni, anche di giovani, hanno organizzato manifestazioni l’altra sera per gridare la propria rabbia: urlavano “friggetelo, friggete Tookie…”. E del resto, non è agghiacciante il candore con il quale, pochi giorni fa, George Bush si è presentato alla tv per dire che la guerra andava bene e che aveva ammazzato 30 mila iracheni?
Torno alla domanda iniziale: ve lo immaginate il perfido Berlusconi, o persino Storace, andare in Parlamento e dire: tutto bene, ragazzi, ne ho fatti fuori trentamila, vado avanti così…
Oggi, giustamente, in Italia ci stiamo battendo per l’amnistia. Abbiamo troppa gente in prigione, troppi poveracci. Circa 60.000, uno ogni mille italiani. E’ uno scandalo ed è inumano. Sapete quanti sono i carcerati negli Stati Uniti? Due milioni e mezzo, uno ogni cento americani. E tra i giovani neri di età compresa fra i 19 e i 45 anni, quelli che sono, o sono stati, o andranno in prigione, sono uno su tre. Non vi sembra che si possa parlare di Stato autoritario? E’ una forzatura polemica? No. Abbiamo sempre condannato Castro per le sue violazioni di diritti umani. Giustamente. Però a Cuba, nel 2004, non ci sono state esecuzioni. Negli Usa 58. Le statistiche dicono che se si leva la Cina (che è una specie di infame catena di montaggio di fucilazioni), nella classifica degli Stati assassini, ai primi posti ci sono l’Iran (con 168 esecuzioni) poi la Corea del Nord con una settantina, e poi gli Usa, appunto con 58.
Perché non ammettere che questo paese - che pure ha al suo interno delle cose meravigliose, ha il suo popolo afro-americano con grandissime tradizioni, ha la musica, ha la letteratura, ha grandi punte di eccellenza nello studio della scienza, della filosofia, della politologia, ha una formidabile macchina economica, ha dato i natali, o l’asilo, a giganti del pensiero, dell’arte come, per dire, Luois Armstrong, Einstein, John Brown, Marc Twain, MalcolmX, e tantissimi altri - non è ancora un paese pienamente civile?
E’ importante ammetterlo, per una sola semplicissima ragione: perché la tendenza della cultura politica europea è quella che dice: uniformaci agli Usa. No, per carità. Sarebbe un imbarbarimento del mondo.
Liberazione, 15.12.05
Il 18 assemblee in molte città. Parte l’inchiesta sull’aborto
Mobilitazione delle donne contro l’attacco alla 194
di Angela Azzaro
Dice che la 194 non si tocca. Che il governo non ha nessuna intenzione di cambiare la normativa sull’interruzione volontaria di gravidanza. Ma poi fa terrorismo psicologico e attacca senza tentennamenti la 194. Il ministro della Salute, Francesco Storace, ha dato il via alla cosiddetta indagine conoscitiva sull’interruzione di gravidanza portando avanti la sua offensiva contro le donne. «Dal 1978 a oggi in Italia non sono nati, per aborto, 4 milioni e 350 mila bambini» ha detto davanti alla commissione Affari sociali della Camera e ha informato che fin da ieri pomeriggio avrebbe inviato alle Regioni una proposta di protocollo con i nuovi questionari per la raccolta di dati e informazioni sulle attività di prevenzione. Una vera schedatura. Una vera e propria intimidazione.
Ma le donne non stanno a guardare. Escono con decisione dal silenzio come recita lo slogan che è stato lanciato dalla Camera di lavoro di Milano il 29 novembre scorso, durante un’assemblea affollatissima.
Il segnale di protesta espresso in quell’occasione è diventato un’onda di mobilitazione che sta coinvolgendo tutta l’Italia, dal Nord al Sud, alle isole. Molte le iniziative, con due tappe centrali. Domenica, 18 dicembre, assemblee nelle più grandi città italiane in vista della manifestazione nazionale che si farà a Milano il 14 gennaio. Si discuterà di come arrivarci e, soprattutto, con quali contenuti. Un’occasione importante. Unica. Le donne vanno in piazza e chiedono agli uomini di farlo perché pensano che la situazione sia molto grave. La legge 194 è già di fatto, in molti casi, svuotata di senso. I consultori sono presi di mira. L’embrione è diventato soggetto di diritto. E’ uno scontro di civiltà che vede le donne come obiettivo privilegiato di un patriarcato che non è mai morto. In Italia. In Europa. A Est come a Ovest. E’ un patriarcato molto crudele, invasivo, che non si ferma davanti a niente.
L’attacco all’autodeterminazione femminile è il segno, emblematico, di quale rapporto si voglia instaurare tra lo Stato (l’idea che si ha dello Stato) e i corpi delle individue e degli individui: corpi ridotti a mere funzioni di una legge che li dovrebbe, vorrebbe sovrastare nelle scelte più intime.
Le donne si riprendono la parola pubblica per contrastare questo progetto, per chiedere per tutte e tutti che l’Italia torni a essere un paese laico. E’ un progetto di civiltà che passa, come già è stato detto nelle varie riunioni delle settimane scorse, attraverso la problematizzazione del rapporto tra i sessi, attraverso la messa in discussione della (etero) sessualità. Lo ha scritto su queste pagine Lea Melandri: lo ha fatto in maniera chiara. Netta anche rispetto alle ambiguità di chi nel centrosinistra pensa che l’attacco alla legge 194 vada contrastato con politiche di aiuto alla maternità (vedi Turco o Bindi). Niente di più sbagliato. Niente di più lontano dalla radicalità che esprimono le donne, molte femministe, che si mobilitano: la loro protesta passa attraverso un’idea diversa di libertàe responsabilità femminile, attraverso un’idea diversa di società.
Domenica gli occhi saranno puntati in primo luogo su Milano, dove (ore 21, Camera del lavoro) si deciderà anche il percorso del corteo nazionale che partirà alle 14, e su Roma dove l’appuntamento è alla Casa internazionale delle donne (alle 15). E poi ancora Bologna, Firenze, L’Aquila, Genova. In molte città le riunioni ci sono state o sono previste in questi giorni. Altre ancora si terranno subito dopo il 18. La partecipazione è un altro elemento di novità. Le giovani ci sono. Vanno alle assemblee, invitano le donne più impegnate nelle loro scuole occupate. Nelle università. Il silenzio è superato con una parola che è diventata in questi decenni sempre più incisiva, ricca di esperienze, espressione di culture diverse. Il 14 gennaio è l’occasione non solo per resistere, ma anche per fare un salto in avanti. Ci sarebbe, per paradosso, da ringraziare la destra e il Vaticano, se a causa della loro offensiva non ci fosse anche la sofferenza o il disagio di molte.
Domenica 18
•Milano, Camera del lavoro, ore 21, 00
•Roma, Casa internazionale delle donne, ore 15
•Bologna, Camera del lavoro, ore 10
•tutti gli altri appuntamenti sul sito www.usciamodalsilenzio.org
Liberazione, 15.12.05
L’iraniana premio Nobel per la pace Shirin Ebadi, ospite di un convegno organizzato da Telefono rosa
«Le donne sono portatrici sane della cultura patriarcale»
di Laura Eduati
Nei Paesi islamici le donne sono obbligate a portare il velo, e ne sono scontente. In Europa sono obbligate a non portare il velo, e sono scontente. Perché non lasciamo le donne libere di fare ciò che vogliono?». Shirin Ebadi è minuta ma le sue parole si fanno sentire. Ebadi è la prima donna iraniana, e musulmana, a meritare il Nobel per la pace, nel 2003.
Prima della rivoluzione di Khomeini del 1979 era una delle poche donne giudice in Iran. «Poi decisero che le donne non potevano giudicare un uomo. Dissero che era la shar’a, la legge islamica, a prevederlo. Mi offrirono il posto da segretaria nel mio tribunale. Rifiutai. Ho preferito lottare con le donne del mio Paese. Tredici anni dopo il regime ammise che, è vero, la shar’a permette alle donne di giudicare i maschi. Abbiamo lottato e abbiamo vinto. Allora vedete che non è una questione di religione ma di cultura patriarcale?».
Ebadi non è una femminista radicale. «Mi piace paragonare la cultura patriarcale all’emofilia: le donne ne sono portatrici sane e passano la malattia ai loro figli maschi ». Interviene Sophie Salamata Sedgho Sema, dell’organizzazione Voix de femmes: «Anche in Burkina Faso sono le donne le più fiere sostenitrici delle mutilazioni genitali. Da quando il parlamento, a maggioranza maschile, ha vietato l’escissione, le prigioni straboccano di donne». Sophie Salamata è un’insegnante di scienze nelle scuole superiori.
Ha deciso che nelle sue ore di lezione insegna alle alunne anche «a rispettare se stesse» e a spiegare le terribili conseguenze delle mutilazioni genitali femminili: quelle fisiche, come le emorragie, il tetano, la morte. E quelle psicologiche: difficoltà nei rapporti sessuali e nelle relazioni con gli uomini. Grazie al divieto, le donne escisse nel suo Paese sono diminuite, dall’85% al 65%.
«Oggi dobbiamo affrontare le mutilazioni eseguite nella clandestinità, su bambine che vanno dai zero ai sette anni. La difficoltà? Sta nello sconfiggere un problema che è nella testa delle persone, che pensano che una donna dai genitali integri non possa sposarsi».
Shirin Ebadi e Sophie Salamata si sono incontrate ieri ad un convegno di Telefono Rosa patrocinato dal Comune di Roma. Il titolo: “Le donne, un filo che unisce mondi e culture diverse”.
Con differenze “insospettabili” tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo: l’Italia ha una rappresentanza di donne, nelle istituzioni, minore rispetto al Burkina Faso; in Iran il fenomeno dell’asportazione della clitoride non esiste, ma nei tribunali iraniani la testimonianza di un uomo pesa come quella di due donne e l’assicurazione risarcisce una cliente femmina la metà di quanto risarcisce un cliente maschio. Khomeini lanciò una fatwa a favore dei mezzi contraccettivi e dell’aborto, per contenere il boom demografico - l’Iran è passato nei primi anni ’80 da 30 milioni di abitanti ai 70 attuali - mentre in Italia «i teo-con», accusa Daniela Colombo dell’Aidos, «cioè gli stessi fondamentalisti cristiani che in America sono riusciti ad eleggere Bush, colpiscono la legge sull’aborto». Un disegno, un complotto, insiste Colombo, che va dagli Stati Uniti all’Europa Maria Pia Garavaglia, vicesindaco di Roma, Monica Cirinnà, vicepresidente del consiglio comunale, e Gabriella Moscatelli, responsabile del Telefono Rosa, difendono i consultori («non sono i luoghi dell’aborto»), lamentano la scarsa coscienza politica delle ragazze italiane - specialmente se confrontate con il diffuso attivismo dei Paesi musulmani - («in che cosa abbiamo sbagliato nel trasmettere le nostre lotte?») ma invitano alla difesa della 194 («la commissione parlamentare in realtà salta le istituzioni, perché gli strumenti per verificare l’andamento delle interruzioni di gravidanza già c’era»).
Ebadi oggi fa l’avvocato e la docente universitaria a Teheran, e sintetizza: «I diritti delle donne sono l’indice rivelatore della democrazia di un Paese». Lei, che per recarsi in Svezia e ricevere il premio Nobel ha dovuto farsi firmare un’autorizzazione dal marito, lo sa bene. L’Iran di oggi, dice, è un Paese duro con le sue donne. «Le sue leggi discriminatorie, in contrasto con la civiltà millenaria della Persia, ammettono la poligamia maschile e il ripudio della moglie senza alcuna ragione. L’età minima per essere giudicati per un reato è 9 anni per le bambine e 15 per i ragazzi. L’Iran è un luogo dove uccidere il proprio figlio è meno grave che uccidere un bambino qualunque». Ma l’Islam non c’entra proprio nulla con queste leggi, aggiunge. Come non c’entra con le mutilazioni genitali. «Ogni uomo prepotente è stato cresciuto da una donna. E’ la cultura patriarcale la bestia da combattere».
Ebadi trasuda ottimismo. La sua esperienza di lotta, che come ultima vittoria annovera una legge più equa sull’affidamento dei figli alle madri iraniane, è positiva. A chi le chiede se la recente elezione del conservatore Ahmadinejad, che minaccia Israele e nega l’Olocausto, cambierà le cose, lei non ha dubbi: «Le donne iraniane non retrocederanno di un passo». Sì, ma gli attacchi a Israele? «L’Iran non lo farà. Comunque tutti i Paesi devono rispettare l’Onu». Cioè anche Israele.
Sorridente la ascolta Rebecca Lolosoli, che in Kenya ha fondato un villaggio dove accoglie le donne in difficoltà, ripudiate dai mariti, violentate e allontanate dalla famiglia. Il villaggio si chiama Umoja (“unità”) e si autofinanzia con il lavoro delle abitanti. Dalla Sicilia chiama Rita Borsellino, candidata alle regionali per l’Unione e presidente onoraria di “Libera”, l’associazione antimafia di don Ciotti che si dedica ai beni confiscati alle cosche. La Sicilia ha la palma nera per la rappresentanza femminile nelle istituzioni, l’augurio è che Borsellino «diventi la terza presidente di regione».
AprileOnLine, 15.12.05
Il battesimo della lobby vaticana
Santa sede. Dall'Azione cattolica alle Acli. Dai Focolarini alla Comunità di Sant'Egidio. E' nata ''Rete in Opera'', per mettere in pratica tutte le indicazioni politiche del cardinale Ruini
Paolo Giorgi
Il "partito di Dio", lo chiama con una sintesi efficace il vaticanista di "Repubblica" Marco Politi. Il laicato cattolico conservatore, con la benedizione di Ruini e del Papa stesso, rilancia la sua sfida alla politica e alla società italiana, risponde indirettamente alle critiche su un "silenzio" del laico, oppresso dal peso mastodontico della gerarchia curiale, e si associa, di fatto, in un'unica, influente, tentacolare entità politica.
E' un fenomeno nato da pochi anni, ed esploso nel 2005, l'anno del referendum, l'anno in cui sono cadute le barriere e gli indugi. C'è anzitutto il coordinamento "Rete in Opera", nato all'inizio di quest'anno, che comprende l'Acli, la Compagnia delle Opere, l'Azione Cattolica, i Focolarini, Sant'Egidio, settori della Cisl, della Coldiretti, e via dicendo. Sotto l'eloquente slogan di "prendiamo il largo", titolo del manifesto costitutivo, la Rete si presenta come "un laboratorio di riflessione e formazione, di convergenza attorno a specifici progetti ed obiettivi, di ricerca di posizioni comuni relativamente a questioni pubbliche di grande rilevanza e di promozione di conseguenti iniziative dell'associazionismo cattolico" (art. 3 dello Statuto). In pratica, un grande "Think tank", e insieme movimento di pressione (una lobby, direbbero senza pruderie gli americani), e poi un utile strumento per dettare la linea da seguire alle centinaia di migliaia di iscritti laici delle diverse associazioni che aderiscono.
Nei suoi documenti, abbondano le riflessioni sulla democrazia: citazioni di Maritain, il primo teologo che tentò di coniugare democrazia e cattolicesimo, ma anche distinguo: con la sola forza dei numeri, si chiede in uno dei seminari preparatori Padre Francesco Compagnoni, Rettore della Pontificia Università S. Tommaso, si possono accettare anche il matrimonio gay? O la ricerca sulle cellule staminali? Occorre, sottolinea il prelato, dare indicazioni ai fedeli su questi temi "perché anche i cristiani - eccome - assorbono i trends sociali relativisti, e quindi nel dialogo non sanno orientarsi fino in fondo". Un'ideologia ambigua, confermata in qualche modo dalla compresenza nella Rete di associazioni giudicate "conservatrici" (come l'Azione Cattolica) e altre ritenute "progressiste" (basti pensare a Sant'Egidio). Democrazia sì, in pratica, ma cedimento sui valori no. Al punto di lanciarsi, a mo' di falange armata dell'episcopato italiano, in battaglie politiche senza esclusione di colpi, in grado di sfruttare tutti i trucchi del parlamentarismo più vetusto, a partire dall'astensione.
Per questo il 7 dicembre scorso Ruini ha rimesso in piedi la sua creatura prediletta, quella "Scienza e Vita" che aveva contribuito, con i 300 comitati messi in piedi i tutta Italia, alla vittoria nel referendum sulla fecondazione assistita (ottenuta, come tutti sanno, grazie all'astensione). Si era sciolto dopo quella vittoria, ora ritorna più bellicoso che mai: nello Statuto si legge che l'obiettivo principale è "promuovere e difendere il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale, come fondamento di tutti i diritti umani e quindi della democrazia". In pratica, l'agenda politica è già scritta: volontari nei consultori, monitoraggio sulla legge 40, battaglia senza quartiere alla pillola ru480, all'eutanasia, alla ricerca con le staminali. Con la compiacenza di una classe politica di destra quasi tutta aggrappata come un naufrago alla scialuppa vaticana, ultima speranza prima del prevedibile uragano di aprile. "Rete in Opera" e "Scienza e Vita": il nuovo "vento di sintonia cooperativa" che soffia sul laicato cattolico, come lo ha definito il presidente di Azione Cattolica Luigi Alici durante la presentazione di una mostra (ironia della sorte) sul Concilio, soffia più forte che mai, per indicare la via, i principi cardine da cui è impossibile discostarsi.
Il prossimo gennaio a Napoli Rete in Opera presenterà il suo programma, un'"Agenda sociale" stilata da tutte le associazioni aderenti. Ma dietro a queste grandi manovre si cela una verità anche amara per il mondo del laicato cattolico: questa sbandierata autonomia è pura finzione. Non c'è un solo punto all'ordine del giorno del "Partito di Dio" che non sia indicato dal Vaticano, non sia avallato dalla gerarchia ecclesiastica, e non costituisca precisamente l'obiettivo strategico della Chiesa di Roma. Il grande movimento laicale sorto durante e dopo il Concilio, soprattutto a Firenze, a Bologna, a Venezia, non aveva niente a che vedere con la situazione attuale. Si confrontava apertamente, promuoveva seminari sul Vangelo, sull'applicabilità della Parola nel mondo di oggi, sulle istanze sociali, culturali, anche sessuali, del XX secolo. Oggi, nel XXI, non c'è più traccia di tutto questo. La scuola di studi storici di Bologna, nata proprio per perpetuare e divulgare gli insegnamenti conciliari, è stata completamente emarginata, e la monumentale "Storia del Concilio" promossa dal suo fondatore Giuseppe Alberigo dichiarata superata e antiquata da Ruini stesso, che ha favorito una versione storica più compiacente (e certamente più riduttiva rispetto allo scontro che divampò tra la vecchia chiesa tridentina e le nuove istanze roncalliane e montiniane, che ebbero la meglio) di quell'evento decisivo e dimenticato. Perché "quei" laici, quarant'anni fa, sostenevano con forza che il Cristianesimo non è una dottrina, ma una fede. Non una battaglia politica, ma una testimonianza anzitutto personale. E la Chiesa, la comunità degli uguali che mangiano insieme e si lavano i piedi a vicenda, non poteva certo essere una monarchia.
Ma oggi è il tempo del nuovo laicato, quello integrista, moralizzatore, obbediente. Più Fazio che La Pira. E certo più utile a questa gerarchia vaticana di milioni di preti coraggiosi.
ANSA, 15.12.05
Genitore omosex per 100 mila bimbi
Lo rivela indagine di Arcigay e Istituto Superiore Sanita'
Papa' gay, mamma lesbica: e' boom di bebe' tra gli omosessuali italiani ultraquarantenni, stando a un'indagine statistica condotta da Arcigay.Il 20,5% delle lesbiche e il 17,7% dei gay italiani over 40 infatti, secondo la ricerca, hanno almeno un figlio. L'indagine, la piu' estesa mai condotta in Italia su omosessuali e bisessuali, ha coinvolto negli ultimi mesi 10 mila persone, di cui 6.774 si autodefiniscono omosessuali o hanno avuto rapporti sessuali recenti con persone dello stesso sesso.
Corriere della Sera, 15.12.05
La variazione è stata approvata dalla commissione Lavoro del Senato
Il «sordomuto» diventa «sordo preverbale»
Il vecchio termine scompare da oggi da tutte le leggi e dai documenti ufficiali rimpiazzato dal nuovo
ROMA - Da oggi scompare da tutte le leggi e documenti ufficiali il termine «sordomuto». Lo rende noto il sottosegretario al welfare Grazia Sestini, riferendo l'approvazione della nuova terminologia in commissione lavoro, in sede deliberante al Senato. Il termine «sordomuto» lascia il posto al termine «sordo preverbale».
Sestini ha espresso soddisfazione per il provvedimento. «Si tratta infatti - ha detto - di una modifica attesa dalle associazioni delle persone affette da questa tipologia di disabilità e si tratta pertanto di un ulteriore passo avanti compiuto dal nostro Paese verso una sempre migliore tutela e verso la completa e sostanziale equiparazione di tutti i cittadini. La sostituzione del termine "sordomuto" con il termine "sordo preverbale" opera in tutte le disposizioni legislative vigenti».
Repubblica.it, 15.12.05
Ricerca dell'università di Amsterdam: per l'83% esprime questo
sentimento, al 9% la superiorità, al 6% la paura, 2% di collera
Un software decifra la Gioconda
"Quello è un sorriso di gioia"
Un software decifra la Gioconda. "Quello è un sorriso di gioia"
PARIGI - Il celebre e misterioso sorriso della Gioconda ha diviso - e molto probabilmente continuerà a farlo esperti d'arte e studiosi. Come interpretarlo? L'accordo sembra impossibile, ma almeno adesso c'è una posizione scientifica da registrare e dalla quale - pur trattadosi di arte - non si può prescindere. Secondo i ricercatori dell'università di Amsterdam - che hanno utilizzato un software creato dall'università stessa e da alcuni ricercatori dell'università dell' Illinois (Usa), quel sorriso esprime all' 83% la gioia, al 9% il senso di superiorità, al 6% la paura e al 2% la collera.
Il programma per computer che ha permesso questo risultato sull'enigmatico capolavoro di Leonardo da Vinci è stato messo a punto per decifrare gli stati d'animo delle persone: il suo scopo è infatti quello di analizzare i principali tratti del viso e metterli in relazione con sei emozioni di base. E in un futuro prossimo, come scrive il settimanale scientifico inglese New Scientist, che ha pubblicato i risultati di questa ricerca, potrebbe essere utilizzato per mettere a punto dei sistemi sofisticati di sorveglianza.