Liberazione, 13.12.05
Dopo il dramma di Dongzhoi, dove la polizia ha sparato sulla folla
Bertinotti, cosa ti piace della Cina? «I cinesi... »
di Simonetta Cossu
Zhengzhou [nostra inviata]
a Cina è un Paese che cammina veloce. Anzi, sarebbe meglio dire che corre. Per dare una idea di quanto corre basta dire che arrivando nella capitale della provincia di Henan, Zhengzhou, agli incroci delle strade non ci sono i semafori. Al loro posto la municipalità ha fatto mettere dei conta secondi che scandiscono il tempo che manca al verde. Questo per evitare che si perda tempo, che si sia pronti quando arriva il momento di partire.
La visita ufficiale del Prc in terra cinese ha portato la delegazione guidata da Fausto Bertinotti fuori dalla grande metropoli di Pechino.
L’ha trasportata in una Cina forse più complessa di quella che ci è apparsa al suo primo assaggio.
Due giorni nella regione di Henan, una di quelle che forse più di tutte descrive lo sviluppo modello cinese messo in moto 27 anni fa.
Henan con i suoi 100 milioni di abitanti è la provincia più popolosa della Cina. E’ una regione agricola, detta anche “La piana centrale” dove vengono coltivati 43 milioni di tonnellate di grano, uno dei beni più preziosi per una nazione con una popolazione di un miliardo e 300 milioni di persone da sfamare. E’ una regione ricca di storia, dove è possibile trovare testimonianze della grande civiltà cinese di 5000 anni fa. Su queste terre passava la via della seta, la sua capitale è uno degli snodi ferroviari più importanti del paese. E’ la Cina che meno si conosce e che si prepara più di tutte a cambiare il mondo.
Il panorama urbanistico delle città è una selva di cantieri. Grattacieli che si innalzano per 20 o più piani, nuovi edifici della pubblica amministrazione pronti ad ospitare migliaia di impiegati.
Tutti rigorosamente vuoti ma presto, dicono i rappresentanti ufficiali, si riempiranno delle migliaia di uomini e donne che stanno convergendo sulle città.
A raccontare alla delegazione del Prc (oltre al segretario ci sono Alfonso Gianni e Gennaro Migliore), cosa si muove in questa parte della Cina è Guangchun Xu, segretario del Pc cinese della provincia e membro del comitato centrale. Un personaggio influente viste le cariche. Un incontro amichevole e franco, dove due visioni si incontrano e spesso si scontrano. Xu infatti conferma che lo sviluppo economico è l’obiettivo primario, compito del governo di questo Paese è portare l’industrializzazione ovunque. La globalizzazione è il perno, e che questa porti squilibri è un dato di fatto. Il problema resta come gestirla. Ed è proprio su questi squilibri che Bertinotti insiste.
Il segretario del Prc domanda al suo ospite come intendono garantire le rappresentanze deboli di una società dove è il mercato a dettare le regole. Dove i diritti sindacali sono più un miraggio che una realtà, tema affrontato in un incontro specifico a Pechino con la Federazione dei sindacati cinesi - iperconcertativa, che respinge ogni ipotesi conflittuale che possa rallentare gli investimenti stranieri.
Alle domande Xu risponde riproponendo il tema centrale dello sviluppo «necessario ». Racconta di un processo, quello in corso, che fa registrare nella sua provincia una migrazione dalle campagne verso le città di 15 milioni di persone. Ma parla anche di un salario minimo definito per legge per gli occupati dell’industria pubblica e privata. Per la prima volta si sente parlare di un reddito di «garanzia alla vita» per chi perde il lavoro sia nel settore privato che pubblico. Un contributo che permetta di vivere ma che è basso al fine di evitare che le persone si possano sentire sicure. Ma nelle campagne? Anche in questo caso arriva una piccola novità. Xu racconta di come nella sua provincia si stia sperimentando in una zona un salario minimo anche per i contadini. «E’ solo una sperimentazione » ci tiene a precisare. Il problema, ribadisce, è la grande migrazione che dalle campagne porta migliaia di persone nei centri urbani alla ricerca di un futuro. Gente che cerca lavoro e stabilità. Per ora la risposta è dare una casa a queste persone.
Come? Costruendole, Ma questo significa trovare terreni e conseguentemente produce espropri che devono essere risarciti.
Questo può provocare proteste e il segretario del Pcc racconta di come proprio pochi giorni fa un gruppo di contadini si sia presentato alle porte del partito per protestare e della trattativa avviata. Soluzioni però non ne vengono prospettate.
Ed è proprio sui conflitti sociali che l’incontro ha un svolta interessante. Il segretario del Prc chiede al rappresentante del Pcc se ha notizie dalla provincia di Dongzhou nella Cina meridionale dove la polizia ha sparato sui manifestanti che protestavano sul risarcimento del costo della terra espropriata per costruire un impianto di energia. «Una repressione e morti che colpiscono» ha dichiarato il segretario del Prc.
Per meglio spiegare il suo interesse Bertinotti racconta di come anche in Italia in questi giorni ci sia una valle dove i cittadini sono scesi in piazza per protestare contro il progetto di portare nelle loro montagne un opera che loro ritengono inutile e dannosa.
Questa volta, a differenza di quando, pochi giorni fa, davanti alla domanda sulla pena di morte era calato un silenzio siderale, una risposta è arrivata.
Il segretario del Pcc ammette che i problemi sollevati nell’incontro riguardo agli squilibri sociali siano reali, che la grande questione che deve essere affrontata è quella degli interessi in campo. Quello collettivo e quello individuale, quello a lungo termine a confronto con quello breve, interesse delle parti o quello generale. E parlando di questo fa un esplicito riferimento al nuovo grande progetto in programma che prevede grandi canali e dighe per portare l’acqua dal sud della Cina alle province del nord. In questo caso, dice, il progetto è di interesse generale, e dovrà essere fatto.
Per quanto riguarda il caso specifico citato da Bertinotti, Xu dichiara di non conoscerlo, ma a sorpresa precisa: «Quello che vi posso dire è l’indirizzo generale del partito: bisogna che il governo locale si sieda ad un tavolo e discuta con la comunità perché deve trovare il modo di dialogare, al fine di trovare un accordo». Tuttavia, ribadisce, «Il Paese è grande, i gruppi dirigenti sono molteplici e a volte non all’altezza del compito di evitare conflitti, che, crescendo, prendono strade impreviste. In questo caso, prosegue Xu, il livello superiore del partito deve intervenire per risolvere il problema secondo la legge. Se vi sono state violazioni queste vanno punite».
Incontrando i giornalisti, Bertinotti commenta «Guanchun Xu ha parlato di un indirizzo generale del partito, volto al dialogo con i contadini quando si apre un conflitto tra loro e il governo». Tutto questo, per Bertinotti, significa che nel sistema di partito unico in Cina «non c'è una condivisione della repressione. E’ indicativo inoltre - aggiunge - che Guanchun Xu abbia parlato di questi termini davanti ad una delegazione straniera». Ma c’è qualcosa della Cina che piace a Bertinotti? Il segretario del Prc non ha esitazione: «I cinesi».
Liberazione, 13.12.05
Perché sostenere il giudice Tosti
Caro direttore, la Francia si mobilita a sostegno del giudice Luigi Tosti, condannato dal Tribunale dell’Aquila a sette mesi di prigione e ad un anno di sospensione dalle funzioni per essersi rifiutato di “giudicare” in un’aula di Tribunale in cui era appeso un simbolo religioso (vedi “Liberazione” di venerdì 18 novembre, ndr). E lo fa con un appello già sottoscritto da 555 persone. E noi cosa facciamo? Non sarebbe una bella battaglia per la libertà di pensiero?
Luciana Bordin via e-mail
Liberazione, 13.12.05
Pirati, eroi dimenticati della lotta di classe il libro
di Ermanno Gallo
Oggi i pirati arrembano gli scaffali delle librerie europee con l’impatto di battaglie oceaniche e di onde anomale. Recentemente l’editore Piemme ha tradotto di David Gardingly, Donne corsare (2005), un testo che analizza l’altra luna della corseria storica e leggendaria, dal ’700 al 1800. In Francia i testi originali, o tradotti, sui fratelli della costa non si contano più.
Bucanieri, filibustieri, pirati, emergono da chiaroscuri caraibici, albe accecanti, roghi e bottini favolosi con profili inediti, idee rivoluzionarie, regole comunitarie sorprendenti. Su uno schermo oceanico che abbraccia i continenti emersi, scorrono immagini ed epopee che a partire dal 1600, liberano gli schiavi ad Haiti, accumulano ricchezze favolose, creano roccaforti di sole e fratellanza, come la Tortuga, S. Cristoforo, Santo Domingo, Barbados, Antille e infine Barataria sul Mississipi. Come si racconta nella storia epitonomata, Dar or die “Bastides Pirates” (Aden 2005), o nei classici “omerici corsari” di M. Giard (1996), G Jaeger, (1986) e D. Pouillade, (2005) la libertà e l’egualitarismo inalberano la bandiera fantasma della corsa. Il jolly roger, rosso o nero, teschiato o abbrunito è una bandiera libertaria e rivoluzionaria che solca i mari del mondo prima di ogni rivoluzione terrestre. Uomini di ciurma, schiavi delle stive, deportati irlandesi, diggers o renters ai quali gli imperi marittimi, fra cui Spagna Inghilterra e Francia, imposero, a partire dal 1700 l’impiccagione senza processo, sono stati “free-bother” ( liberi marinai), rivoluzionari dell’oceano, antesignani dell’utopia.
Racconta il recente libro di Rediker, Canaglie di tutto il mondo. L’epoca d’oro della pirateria, (Elèuthera, euro 17,00) che i capitani Kidd, Stone e Fly furono i primi leggendari corsari a subire il processo sommario riservato ai pirati senza patria né leggi. Londra, finita la guerra della regina Anna, dopo averli privati della patente di corsa (o marco) che ne autorizzava imprese illegali e scorrerie, divenne la piattaforma legale delle forche innalzate per strangolare il loro afflato di libertà contagioso e intollerabile dall’assolutismo.
Tuttavia questo movimento protorivoluzionario, fluido e vorticoso come i marosi senza frontiere, proiettò i suoi emblemi estremi sulla comune di Parigi, sull’Internazionale comunista e tra le colonne anarchiche. La rivoluzione oceanica non nacque e morì per caso.
Il merito indiscusso delle ricerche di Rediker, che fanno da sfondo ad altri libri di tendenza, consiste nel porre la guerra di corsa e la fratellanza della costa al di la’ di facili folclori, epopee stereotipate e aneddoti romantici.
Pur non dimenticando icone di “scorridori” al femminile – come Anne Bonny, Mary Read, Mary Crickett, Charlotte Berry – divenute eroine e martiri, per amore o per forza, della spietata lotta sui mari - l’autore inanella la genesi dello sfruttamento e dell’emancipazione vissuti dagli uomini di ciurma durante due secoli. La “catena di montaggio” mercantile dell’accumulazione originaria trovò negli oceani il suo nastro veicolatore di merci e ricchezze naturali, di cui i marinai asserviti erano proletari e sfruttati senza diritti. La guerra corsara, con la sua “aristocrazia” formata, tra pari, da bucanieri e filibusta, risultò la prima espressione di emancipazione proletaria nella «aritmetica politica della vita economica». Fino a quando le aquile dei grandi imperi, sconfitti i liberi albatros marini, iniziarono a controllare zone sempre più vaste di terraferma. A trasformare il monopolio di merci pregiate nel dominio del denaro. Finiti l’utopia libertaria degli oceani e i visionari “regni” corsari che sembravano inespugnabili, tornò a regnare il patibolo sui mari che non avevano padroni ma solo divinità senza nome.
Fra i molti vinti alcuni si annodarono con sprezzo il cappio da soli gridando come Davidson: ”muoriamo come uomini, non lasciamo che ci comprino come schiavi”. La guerra di corsa abbandonò gli orizzonti fluidi.
Nella metamorfosi economica e sociale perse le ali della vela e del vento. Con la mutazione del conflitto capitalistico avvenne uno scambio di elementi, e la mattanza strisciante dello sfruttamento industriale, iniziò a falciare i proletari nelle fabbriche fumose, nelle gallerie asfissianti delle miniere. La repressione e il controllo non erano più legati al pennone di un’ammiraglia. La lotta di classe usciva dal vortex dell’oceano che l’aveva originata. Ma non cambiava polarità e bandiere: l’una rossa come il sangue della rivolta; l’altra nera come il rifiuto assoluto di ogni potere.
Le Scienze, 13.12.05
Grammatica innata
L'identificazione delle categorie grammaticali può emergere anche senza input esterni
esperienza continua. Tuttavia, determinare i ruoli specifici della capacità e dell'esperienza è molto difficile, visto che questi due fattori non possono essere separati sperimentalmente.
Marie Coppola ed Elissa Newport del dipartimento di scienze cognitive dell'Università di Rochester hanno sfruttato un caso naturale di privazione del linguaggio per esaminare alcuni aspetti inerenti alla struttura del linguaggio, in particolare il concetto del soggetto grammaticale. Le ricercatrici hanno studiato il sistema di gesti idiosincratici - chiamato "home sign" - di tre adulti del Nicaragua che erano cresciuti quasi privi di educazione formale e senza l'esposizione a una comunicazione strutturata, parlata o scritta che fosse.
I tre adulti hanno osservato brevi segmenti video e hanno poi descritto quello che avevano visto per mezzo dell'home sign. In quasi tutti i casi, gli individui hanno identificato in maniera appropriata un soggetto come tale, anche in situazioni molto diverse fra loro (per esempio di fronte a soggetti inanimati, a persone che sperimentavano uno stato emotivo oppure che eseguivano un'azione).
Marie Coppola, Elissa L. Newport, "Grammatical 'Subjects' in 'Home Sign': Abstract linguistic structure in adult primary gesture systems without linguistic input". Proceedings of the National Academy of Sciences (2005).
© 1999 - 2005 Le Scienze S.p.A.
il Manifesto, 13.12.05
Società del rischio, la potenza recita a soggetto
La fortuna editoriale di Michel Foucault. Dalla critica radicale dell'esercizio del potere alla produzione della soggettività nelle società liberali. Un percorso intellettuale che ha avuto nei corsi al «Collége de France» le sue tappe decisive e che in Italia ha aperto inediti spazi di ricerca oltre l'ambito filosofico
Genesi del liberalismo Il punto di svolta nella riflessione del filosofo francese a partire dai corsi degli anni Settanta
Biopolitica e non solo Da Rovatti a Petrillo, da Revel a Mazzocca, una lettura critica della ricezione italiana di Foucault
ROBERTO CICCARELLI
Silenzio, ascolta, attorno a noi c'è il rumore sordo e prolungato di una battaglia che sostituisce la severa musica dell'analisi teorica. Così Michel Foucault concludeva bruscamente Sorvegliare e punire, il suo volume sull'istituzione carceraria, «una delle regioni nascoste del nostro sistema sociale, una delle caselle nere della nostra vita». La battaglia annunciata nel 1975 sarebbe proseguita per tutta la fine del decennio in cui il filosofo francese avrebbe condotto in silenzio uno smisurato lavoro di ricerca durante i suoi corsi al Collége de France. La contemporanea uscita per Feltrinelli de La nascita della biopolitica (tradotto da Mauro Bertani e Valeria Zini, pp. 352, € 35) e di Sicurezza, territorio e popolazione (tradotto da Paolo Napoli, pp. 400, € 40) restituisce oggi anche al pubblico italiano quel rumore che in tutti gli anni Settanta scorreva sottotraccia. Tra il 1975 e il 1983, l'anno di pubblicazione in Francia della Volontà di sapere e della Storia della sessualità, Foucault avrebbe infatti continuato a lavorare, ma senza pubblicare nulla, maturando la convinzione della necessità di spostare l'analisi dai poteri alla soggettività in quanto produzione di sé. E' indubbio che in Italia, ma anche nel resto d'Europa e negli Stati uniti, Foucault è stato un filosofo molto letto, arrivando ad avere un successo editoriale di tutto rilievo, come testimonia il fatto che gran parte delle sue opere sono state pubblicate da diverse case editrici, fino al progetto della Feltrinelli di tradurre i suoi corsi parigini. Ma della sua fortuna italiana c'è traccia anche in ambiti lontani dalla filosofia: e infatti non è raro incontrare sociologi, antropologi e criminologi che si rifanno proprio alle sue riflessioni. Da qui la necessità di interrogare alcuni studiosi che si occupano sì di Foucault, ma che seguono le molteplici linee di ricerca di questo filosofo inquieto, ma oggi fondamentale per comprendere la natura, e i limiti, delle nostre società liberali.
Il paradigma logorato
Il punto di partenza è da quel silenzio della metà degli anni Settanta denunciato da Foucault, che non era dovuto ad una improvvisa crisi teorica, ma ad una ridefinizione radicale dei paradigmi della ricerca fino ad allora adottati. Nei corsi al Collége de France Foucault capisce infatti di essersi occupato sino a quel momento solo dei poteri e non aveva invece descritto che cosa si produce dentro i poteri. Con questa presa di coscienza l'analisi del potere e quella della soggettività non andranno più l'una senza l'altra. «La frase sul rumore sordo della battaglia è stata molto commentata, ma credo sia stata in realtà poco compresa - commenta la filosofa francese Judith Revel - E' il rumore di fondo dei poteri disciplinari ed esiste nel quadro di una analitica del potere che arriva alla conclusione che non esiste un fuori dal potere. In Nascita della biopolitica e in Sicurezza, territorio e popolazione per la prima volta Foucault mette in causa questa sua affermazione e pone la possibilità che esista un fuori dalla griglia predisposta dai poteri disciplinari alla soggettività. Uno spazio, direi un limite, che è pur sempre dentro la griglia, ma che è anche fuori di essa».
Per Judith Revel questi due corsi hanno una grande importanza perché in essi Foucault «passa alla problematizzazione del tema della governamentalità, cioè dell'impossibilità di definire un fuori e quindi della necessità di pensare il processo di soggettivazione dentro un rapporto di potere». In Francia questi due corsi hanno suscitato un grande interesse, ma anche polemiche. Tra gli interpreti liberali di Foucault, infatti, e ce ne sono parecchi tra chi nella Confindustria francese studia la gestione attuariale in economia e il suo discorso sulla biopolitica viene usato strumentalmente come un'apologia del liberalismo. Foucault insomma che canta le lodi delle libertà individuali dell'individuo. Un'altra interpretazione sostiene invece che se gli anni Settanta sono stati anche per Foucault anni di militanza politica, questo impegno termina non a caso tra il `78 e il `79, quando inizia a occuparsi di etica, di estetica, cioè un ripiegamento su una dimensione individuale e quindi un fallimento della sua attività politica. Cosa può dire allora Foucault ai nuovi movimenti sociali? «In primo luogo - risponde Revel - per i movimenti radicali diviene urgente un discorso sull'etica in quanto materia politica. Questo non significa smettere di fare militanza, ma significa che la militanza deve mettersi all'altezza dei nuovi modi di produzione, caratterizzati da una dimensione relazionale, dove la produzione a molto a che vedere con la produzione di sé . Questo significa che la politica non può fare a meno di controntarsi con l'ontologia. Foucault direbbe che bisogna "lavorare" il potere dall'interno e conquistarsi nuovi spazi di libertà».
Anche per Roberto Esposito, nella cui analisi sulla biopolitica la filosofia del bios Foucault occupa una posizione centrale, i due corsi freschi di traduzione hanno una grande importanza. «Perché riflettono sul legame costitutivo tra biopolitica e sovranità, cioè tra il potere e la vita, tipico della modernità. Il regime sovrano infatti non limita la vita, ma la espande - continua il filosofo napoletano - Il potere e la vita costituiscono due facce contrapposte e complementari. Per potenziare se stesso il potere è costretto a potenziare la vita, l'oggetto su cui si scarica. Questa è la stessa dinamica tra liberalismo e libertà che Foucault osserva in Sicurezza, territorio e popolazione. Il liberalismo infatti rivendica la libertà degli individui da un lato, ma dall'altro deve limitarlo per evitare che la libertà del singolo interferisca con quella dell'altro. Nel liberalismo, dice Foucault, il potere non deve soltanto presupporre, ma anche produrre le condizioni di libertà dei soggetti cui si rivolge. Ma deve constatare che per proteggere queste libertà è anche costretto a distruggerne delle altre. La sua conclusione è esplicita: la dove c'è potere - dice Foucault - c'è resistenza e tuttavia essa non è mai in posizione di esteriorità rispetto al potere».
Governamentalità liberale
Nascita della biopolitica e Sicurezza, territorio e popolazione aprono dunque un percorso inaspettato che è quello dell'analisi della governamentalità liberale, ma anche del neoliberalismo lungo tutto il XX secolo fino a sfiorare il reaganismo che si sarebbe affermato poco più di un anno dopo negli Stati uniti. Per il filosofo Ottavio Marzocca «se si volesse trovare una differenza significativa nell'analisi del neoliberismo e del liberalismo classico in Foucault si può dire che quest'ultimo era partito dall'idea miracolistica secondo la quale la libertà di scambio potesse essere lo strumento principale per sostenere il benessere collettivo». Partendo da questa idea il liberalismo deve in seguito riscontrare che da questa idea restano fuori una serie di problemi che non trovano soluzione. «Il liberalismo si preoccupa innanzitutto dei limiti che l'azione di governo deve porsi - continua Marzocca - ma non è mai in grado di individuare stabilmente questo limite che il governo deve darsi. E quindi il limite si sposta in continuazione perché il liberalismo non trova mai il criterio attraverso il quale identificarlo e imporlo».
Con tutta la prudenza del caso si può allora dire che per Foucault la socialdemocrazia sia stata in qualche misura anticipata dal ceto borghese liberale. «Il liberalismo - sostiene Marzocca - è l'arte della limitazione del governo, ma questa limitazione non è mai determinata. Il liberalismo classico entra in crisi perché non riesce a frenare l'esigenza dell'intervento politico sulla società e sul mercato. Con il crollo di Wall Street nel `29 è dalla stessa culturale liberale che nasce l'idea del New deal e il Welfare State. Ancora una volta la socialdemocrazia sembra essere anticipata dal liberalismo».
Che la socialdemocrazia venga in qualche modo prefigurata dal liberalismo e dalla sua idea di governamentalità è una notizia. Ma quello che stupisce ancora di più nell'analisi foucaultiana in questi due corsi è un altro elemento: il rapporto tra libertà e liberalismo. «Il liberalismo presta molta attenzione alle libertà - continua Marzocca - prevalentemente a quelle economiche, giuridiche, ma anche a libertà concrete che in altri momenti appaiono in pericolo rispetto ad altre. Nel momento in cui ad esempio il liberalismo promuove la libertà di impresa accade prima o poi che tale promozione metta in pericolo la libertà di associazione sindacale ad esempio. I rischi per la libertà discendono dal fatto che è il liberalismo stesso a promuovere queste libertà». In questo contesto, sostiene Foucault, la cultura del pericolo e del rischio si presenta come una caratteristica del liberalismo. Al punto che si potrebbe dire che l'uomo liberale si trova a vivere pericolosamente. «Vivere pericolosamente è un portato necessario del liberalismo - conclude Marzocca - perché esso enfatizza l'inevitabilità del rischio. Il problema della sicurezza esiste perché non è mai risolvibile. Il pericolo è inevitabile perché è il prodotto stesso della libertà. Chi promuove la libertà si espone ai rischi che essa produce».
Per i sociologo Antonello Petrillo, i due corsi foucaultiani insistono in maniera particolare sulla matrice doppia e ambigua dello stato sociale liberale che si fonda sulla continuità paradossale tra il modello sicuritario di governo della popolazione e l'attenzione del liberalismo ai diritti. In questo scenario il ruolo nello stato non è destinato a scomparire ma invece a gestire i meccanismi della gestione dell'esclusione sociale. Ed è in questo senso che Foucault coglie «in maniera magistrale» la tensione interna del liberalismo. «Da questi corsi - continua Petrillo - viene fuori una San Francisco liberale, in attesa permanente di questo Big One nella tensione strutturale tra l'impulso interventista in termini di controllo e la tensione allo stato minimo da parte degli economisti. Oggi questa contraddizione nel quadro dell'intervento del governo sulla popolazione diventa di sconvolgente attualità e urgenza«. Perché? «Ma perché - risponde Petrillo - il modello liberale, proprio come quello socialdemocratico del governo, implodono quando si confrontano con i problemi legati ai centri di permanenza temporanei per i migranti ad esempio». In questo caso l'ossessione per la garanzia delle libertà individuali si trasforma esattamente nel suo contrario: nel sicuritarismo di una società che distrugge le libertà per proteggere quella dei garantiti, i cittadini nazionali. «Questa è la dimostrazione - aggiunge Petrillo - che il "sicuritarismo" non segni affatto una cesura delle garanzie dello stato di diritto. Questa convinzione in realtà andrebbe rivista alla luce di questi due corsi. Il liberalismo ha molto a che vedere con la riduzione delle garanzie dei diritti che sta avvenendo sotto i nostri occhi. I Cpt si inseriscono per molti versi nei confini ideologici del liberalismo che da una parte mira al controllo della popolazione e dall'altra parte cerca di ridurre il ruolo dello stato nella società».
Toni Negri preferisce riflettere su un altro aspetto determinante di questi due corsi. Il rapporto tra biopolitica e biopotere e sul modo in cui Foucault, alla fine degli anni Settanta, arriva ad una svolta nella sua filosofia. «Ho avuto la fortuna di seguire il corso sulla nascita della biopolitica a Parigi - esordisce Negri - L'aula del Collège de France era sempre piena e spesso non riuscivo nemmeno ad entrare. Ogni tanto si sentivano dei mozziconi di frasi che venivano dalla porta. Ma al di là dei miei ricordi di una stagione di studi e di rapporti che si sarebbe chiusa da lì a pochissimo con il mio arresto nel 1979 per il caso 7 aprile, credo che questi due corsi, e in particolare quello sulla Nascita della biopolitica, siano una specie di pompa storico-strumentale per la costruzione di alcuni concetti fondamentali sui quali ho lavorato nei decenni successivi». Di quali concetti si tratta? «Il rapporto tra la soggettività e il potere ad esempio - risponde Negri - In questo corso inizia ad emergere il discorso sulla produzione della soggettività. La costruzione del sé avviene in base ad una potenza, che è la potenza del soggetto. Quella di cui parlo è una potenza che si dà nella relazione e non certamente nella riscoperta di elementi metafisici».
La sovranità perduta
Perché allora in questo biennio '78-'79 Foucault cambia tutto? «Perché Foucault in questi corsi - risponde Negri - scopre che il soggetto si cala completamente nella dimensione della biopolitica e scopre che questa dimensione è qualcosa di diverso dalla struttura del biopotere. Qui il soggetto si costituisce attraverso un'affermazione della propria individualità talmente forte da produrre non semplicemente il proprio sé ma un'accumulazione di biopotere che a questo punto non passa più attraverso lo stato ma attraverso il mercato e la relazione sociale. Il potere non è più autonomo dalla politica e dalla soggettività. Proprio il contrario di quello che in Italia si diceva in quegli stessi anni con i teorici dell'autonomia della politica». Che cosa succedeva nel 1978 in Italia? «Siamo ad un crocicchio importantissimo - risponde Negri - perché tutti hanno ormai capito la crisi dello Stato e della sovranità. Ricordo che ci fu un numero di Aut Aut dedicato a Foucault a cui partecipai anch'io. In Italia questa idea di soggettività in quanto costruzione e trasformazione di sé viene spogliata dal pensiero debole della sua potenza costitutiva. Questo pensiero fa i salti mortali tra la teoria dell'autonomia del potere e la conflittualità sociale. Davanti al conflitto si ritrae e preferisce trovare riparo in questa idea del potere».
Dato che si parla di Aut Aut non rimane che interpellarne il direttore, Pier Aldo Rovatti, a proposito dei corsi foucaultiani, e non solo. «C'è stata una certa fatica a fare entrare Foucault in un mondo che, al tornante degli anni Settanta-Ottanta, era profondamente succube dell'ideologizzazione derivante da un linguaggio che allora era comune a sinistra». Rovatti prova a fare un bilancio della ricezione italiana di Foucault e precisa: «Quello della sinistra era un linguaggio anche intelligente che si ispirava al Marx dei Grundrisse. Foucault appariva uno scarto, un salto, ed è passato molto tempo per capirlo. In quel momento Aut Aut cercava di uscire da questo circuito ideologico e di produrre nuovi strumenti filosofici, storici, utili a ricostruire un quadro demolito dai fatti. Ricordo che facemmo un numero sulla teoria dei bisogni in cui Foucault veniva recepito. Negli anni poi abbiamo continuato a lavorare sulla sua opera. L'ultimo numero che abbiamo fatto è sul corso sul Potere psichiatrico uscito l'anno scorso anche in Italia».
C'è chi sostiene che questi corsi segnino il passaggio da un'analitica pura del potere ad un'analitica della soggettività in cui parte fondamentale del progetto foucaultiano diventa l'etica del sé. Lei è d'accordo? «Credo che sia un'interpretazione corretta, ma fino ad un certo punto - risponde Rovatti -. L'idea che ad unire questi due periodi distinti sia il concetto del governo mi sembra un'interpretazione debole. Non credo che Foucault ad un certo punto dimentichi il problema del potere a favore di un'interpretazione intersoggettiva e sociale del potere stesso. In lui da una parte c'è il potere, il politico e dall'altra c'è l'etica. Sono convinto che un intreccio esiste tra queste questioni e che non sia il governo, ma la questione della soggettività».
il Manifesto, 13.12.05
Un ordine del discorso made in Italy
Già dalla loro uscita in Francia, «Nascita della biopolitica» e «Sicurezza, territorio e popolazione» hanno riscosso un grande interesse in Italia. Già ampiamente recensiti sulle riviste (Massimiliano Guareschi sul secondo numero della rivista «Conflitti Globali», Shake, e Elettra Stimmilli sul quarto numero di «Forme di vita», DeriveApprodi ad esempio) da qualche settimana sono stati tradotti in italiano da Feltrinelli. Gli intervistati sono tutti impegnati da anni in un lavoro di scavo e di analisi nella colossale opera foucaultiana. Judith Revel è stata la curatrice dell'«Archivio Foucault 1. Interventi, colloqui, interviste 1961-1970», pubblicato sempre da Feltrinelli, è autrice anche del «Vocabulaire de Foucault» pubblicato da Ellypses in Francia. Roberto Esposito, già autore di volumi come «Bios. Biopolitica e filosofia» e di «Immunitas» (entrambi pubblicati da Einaudi) svolge da anni un confronto serrato con il filosofo francese. Ottavio Marzocca, filosofo che insegna all'università di Bari, è l'autore dell'antologia «Michel Foucault. biopolitica e liberalismo» (Medusa 2001) e uno dei curatori del «Lessico sulla biopolitica» che verrà pubblicato dal Manifestolibri il prossimo febbraio. Antonello Petrillo, sociologo, insegna al Suor Orsola Benincasa di Napoli, partecipa al volume collettaneo «Michel Foucault, un lavoro disperso e mutevole», a cura di Ciro Pizzo e Ciro Tarantino, in uscita per l'editore napoletano Elio Sellino il prossimo gennaio. Da molti anni Toni Negri conduce con Foucault un confronto che è confluito anche nei suoi volumi, scritti con Michael Hardt, «Impero» e «Moltitudine» (Rizzoli). Pier Aldo Rovatti, direttore della rivista «Aut Aut» e filosofo all'università di Trieste, è stato anche il curatore del volume collettaneo «Effetto Foucault», pubblicato a metà degli anni Ottanta sempre da Feltrinelli, che ha rilanciato il dibattito sul filosofo francese. L'integralità del dibattito riportato in questo articolo lo potete trovare sul sito: www.centroriformastato.it . Ro. Ci.