Liberazione, 06.12.05
Storie di atei, negri, barboni e sfollati
di Piero Sansonetti
Nel discorso tenuto domenica mattina a San Pietro, all’Angelus, contro l’agnosticismo e il relativismo, il papa ha sostenuto due concetti. Il primo, chiarissimo, e ripreso ieri da tutti i giornali, è questo: libertà religiosa vuol dire garantire la supremazia della religione cattolica sul pensiero laico. Non c’è libertà religiosa dove non è assicurata la subalternità del pensiero laico.
Il secondo concetto, che non è stato notato da molti, ma che a noi sembra molto importante, è la messa in discussione della natura umana dell’ateo. Proprio così: la “natura umana”. Ha detto Ratzinger: “L’uomo, tra tutte le creature di questa terra, è l’unica in grado di stabilire una relazione libera e consapevole con il suo creatore”. Da questa particolare condizione “deriva la dignità dell’uomo”.
Voi capite bene che se rovesciate il ragionamento si deduce che chi non è in grado di stabilire una relazione con il suo creatore, non ha dignità di uomo. E’ paragonabile agli esseri viventi non umani. La differenza tra uomo e altre specie animali consiste nell’accettazione di Dio. Non è una teoria rassicurante per quel che riguarda la modernizzazione del pensiero cattolico. E neanche per le conseguenze che potrebbe avere nella concreta applicazione. (Speriamo almeno che in Vaticano siano vegetariani...)
La Suprema Corte di Cassazione ha sostenuto, in una solenne sentenza, che dire “sporco negro” a qualcuno - mentre lo si aggredisce e gli si procurano delle lesioni - non è una cosa molto grave e comunque non può essere considerata una espressione di razzismo. In questo modo ha annullato una sentenza di condanna nei confronti di un triestino (bianco), emessa prima dal tribunale e poi dalla Corte d’Assise.
Perché non è razzismo? Perchè il razzismo si basa solo sulla discriminazione razziale, mentre il grido “sporco negro” appartiene alla “pratica del rapporti quotidiani fra soggetti di diversa razza, o etnia, o nazionalità o religione”. Dunque - ha stabilito la Corte - dire sporco negro è un’ingiuria e basta, e - se capiamo bene - l’ingiuria sta nell’aggettivo sporco e non nella parola negro, che in fondo è solo una forma dialettale.
Con questa sentenza la Corte di Cassazione sdogana in modo formale il razzismo. Oltretutto, nella sua motivazione, la sentenza equipara l’idea di razza - idea scientificamente e giuridamente del tutto infondata - con categorie certe, quali sono la nazionalità o la religione. In questo modo, per la prima volta dopo tanti anni, restituisce valore giuridico a tutte le teorie razziste, come quelle che in Italia portarono alle leggi del ’38, che poi furono alla base dello sterminio degli ebrei.
Per quanto ci sforziamo di trovare le parole giuste, non riusciamo a commentare quello che è successo a Ostia a un senza casa polacco. Questo signore si è sentito male per strada, è stato soccorso e accompagnato in ospedale, rapidamente osservato dal personale e sistemato su una barella perchè non poteva stare sulle sue gambe. Probabilmente aveva bevuto troppo ed era ubriaco. Probabilmente ha dato di stomaco. Questa circostanza ha suggerito a qualcuno di spingere la sua barella all’aperto. E all’aperto faceva freddo. E al freddo, questo signore polacco di quarant’anni, non è stato lasciato dieci minuti, o un’ora, o due ore, o tre ore: è stato lasciato per 17 ore consecutive. Poi qualcuno ha deciso di visitarlo: era morto.
Ieri alcune decine di sfrattati hanno occupato la Basilica di San Giovanni. E’ chiaro, non è bello occupare le basiliche, che sono luoghi di culto. Però può succedere. In fondo, fino a qualche secolo fa, nelle Chiese e nella Basiliche si rifugiavano persino i manigoldi, inseguiti dai gendarmi, e trovavano protezione e soccorso. Possibile che dei poveri senza casa - colpevoli di nessun delitto se non quello di essere stati sfrattati - non debbano trovare un po’ di comprensione? Invece nessuno si è occupato di loro. Gli hanno detto di levarsi i cappelli (ai maschi) e di corpirsi il capo (alle donne) e non sono stati scortesi con loro. Questo è bene. Dopo aver letto le notizie di cui vi abbiamo parlato sopra, potrebbe persino risultare un gesto di inaudita civiltà e generosità. Però forse loro, i senza casa, dai sacerdoti si aspettavano qualcosa di più: un po’ di comprensione, un aiuto, l’impegno a sollevare il probelma. A Roma ci sono centinaia di miglia di appartamenti sfitti (sì: centinaia di migliaia; e non solo a Roma) e ciononostante migliaia e migliaia di persone non hanno un tetto. C’è qualcosa di civile in tutto questo? Davvero chiedere che le case vuote siano date agli sfrattati è pericoloso estremismo comunistoide?
Liberazione, 06.12.05
Quale Marx per il XXI secolo. Una risposta polemica ai precedenti interventi e all’opzione del cosiddetto marxismo dell’astrazione
Siate marxisti, non siate impolitici
di Luigi Cavallaro
Il dibattito su “quale Marx per il XXI secolo”, avviatosi su questo giornale grazie agli interventi di Roberto Finelli e Cristina Corradi in replica alla recensione di Tonino Buccial volume collettaneo curato da Marcello Musto (Sulle tracce di un fantasma, Manifestolibri, 2005), ha già evidenziato i nodi dai quali non può prescindere qualunque ripresa della discussione sul lascito teorico e politico del pensatore di Treviri. In primo luogo, infatti, è emersa la necessità di un approccio rigoroso (soprattutto filologicamente), che non soltanto valga a stabilire una volta per tutte “che cosa esattamente ha scritto Marx”, in modo da differenziarlo da quanto è imputabile all’intervento sul Nachlass dei suoi molteplici editori e glossatori, ma soprattutto a fissare qualche limite a quel continuo “sollecitare i testi” che assai spesso inclina a sovrapporre intentio auctoris, intentio operis e intentio lectoris, vale a dire cose che sarebbe bene tener distinte. Sotto questo profilo, ha ragione Corradi a sostenere – richiamando quanto affermato da Roberto Fineschi nell’introduzione ad un volume al quale anche chi scrive ha contribuito (Karl Marx. Rivisitazioni e prospettive, Mimesis, 2005) – che è stato «proprio un malinteso, e apparentemente più rivoluzionario, primato della prassi e della politica» a far saltare «le necessarie mediazioni tra l’analisi del modo di produzione capitalistico e la politica del movimento operaio»; l’importante, aggiungerei, è non illudersi che i frutti, che speriamo copiosi, dello scavo filologico possano poi autorizzare Tizio o Caia a professarsi, che so, “marxiano” invece che “marxista”: l’unico che poteva dire “je ne suis pas marxiste” è stato, appunto, Marx; i suoi interpreti non possono non esserlo (s’intende, ammesso che lo vogliano).
D’altra parte, è pur vero che la discussione odierna su Marx non ha nulla di quel tempo in cui – per dirla con Bucci – le «sottigliezze dialettiche», lungi dal restare «confinate nelle aule universitarie », proiettavano «le proprie conseguenze sul mondo reale degli uomini in carne e ossa», né la differenza è dovuta solo al fatto che non ci sono poi così tante aule universitarie dove si discuta di Marx.
Il problema, piuttosto, mi pare costituito dal fatto che, nonostante il “marxismo dell’astrazione” possa senz’altro rivendicare una fedeltà all’intentio operis di Marx di gran lunga superiore al “marxismo del comune” di ascendenza negriana (dominato, all’opposto, da un’intentio lectoris così prepotente da dimenticare i “diritti” del testo), sono o rischiano di essere radicalmente “impolitiche” le implicazioni che da esso si possono derivare.
Provo a spiegarmi. Quale fu l’implicazione politica principale del “marxismo della contraddizione”, cioè di quello che dominò l’epoca della Seconda e Terza Internazionale e che assumeva come proprio perno la contraddizione tra “forze produttive” e “rapporti di produzione”?
Essenzialmente, quella di porre la rivoluzione all’ordine del giorno. Il fatto che quest’ultima non sempre si sia data in forme giacobine e che là dove si diede abbia prodotto risultati talvolta perfino esecrabili nulla toglie alla capacità di questo marxismo di mobilitare milioni di donne e uomini, che avranno magari avuto come obiettivo l’“assalto al cielo”, ma intanto venivano a partecipare per la prima volta alla vita politica e sociale.
E negli anni Sessanta, quando cominciarono a circolare i testi giovanili di Marx, cosa si dedusse dal “marxismo dell’alienazione”? Essenzialmente, che le strutture politiche e sociali che erano emerse dalla guerra civile europea (e poi mondiale) del 1914-1945 erano, all’Est come all’Ovest, ancora profondamente infettate dalla Trennung (scissione, ndr), per cui né i lavoratori abitanti nel “campo socialista” né tanto meno i loro omologhi del “campo capitalista” erano riusciti a sussumersi le condizioni della propria produzione e riproduzione, che continuavano al contrario a dominarli, seppure sotto forma di movimento “politico” (e non più solo “di cose”). E fu la critica al capitale, certo, ma soprattutto ai partiti tradizionali e allo Stato, alle istituzioni universitarie, scolastiche, sanitarie, ecc.
E il “marxismo dell’astrazione”, quali possibilità schiude? Se è vero che, oggi, il capitale svuota dall’interno il mondo concreto degli oggetti e dei bisogni umani, che cose e uomini sopravvivono in superficie mentre tutto è incorporato nel meccanismo di un’accumulazione quantitativa e, soprattutto, che questo meccanismo funziona così bene che aumenta sia il numero dei salariati che la durata e l’intensità della giornata lavorativa, cosa ci resta da fare? La domanda non è oziosa. Se il capitale funziona così bene da colonizzare le nostre vite e il nostro immaginario e perfino da aumentare il numero degli occupati, “resistergli” è velleitario e, prima ancora, insensato: e in effetti, il velleitarismo è l’accusa che viene sempre più spesso mossa ai comunisti, che dal canto loro, nella misura in cui riducono il loro essere comunisti ad un generico “anticapitalismo”, di fatto danno ragione ai loro avversari. (Alcuni ecologisti l’hanno capito così bene che, per ovviare al problema, hanno sostituito alla contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione quella fra “capitale” e “natura”: ma codesto “ecomarxismo”, come si è voluto chiamare, non ha più titoli per rivendicare la propria discendenza da Marx di quanti ne possa vantare il “marxismo del comune”, cioè nessuno.) Intendiamoci: non vedrei nulla di male (né di “antimarxista”) nell’ammettere che da Marx non possiamo più derivare alcuna “teoria della rivoluzione”. La domanda però è: perché mai dovremmo allora pensare a un “nuovo soggetto rivoluzionario” o alla «costituzione, sociale e politica, di nuove soggettività dell’emancipazione » (Finelli), visto che il capitale funziona benissimo?
A diverse implicazioni potrebbe giungersi qualora considerassimo la crescita costante della disoccupazione negli ultimi trent’anni e, soprattutto, la circostanza che il capitale non riesce più a riprodursi ai tassi di crescita del secolo XIX (se non nelle periferie del pianeta, dove le condizioni della vita sociale ricalcano più dappresso quelle prevalenti due secoli fa in Europa e nell’America del Nord): si tratta, infatti, di evidenze empiriche che dovrebbero farci comprendere che è insensato continuare ad attribuire al capitale un potere che viceversa è solo l’espressione rovesciata di una nostra intrinseca debolezza. Ma non c’è cosa più difficile di convincere i marxisti che oggi il capitale è molto più debole di quanto non fosse ai tempi di Marx: credere in un capitalismo onnipotente è per loro molto più rassicurante, perché dispensa dalla ricerca delle proprie insufficienze teoriche e pratiche e, proiettando in futuro fantastico la plenitudo temporis, permette di eludere la resa dei conti col “comunismo realizzato” (quello statuale) e coi problemi che esso ha posto all’ordine del giorno, in Oriente come in Occidente. Di questi, uno mi pare davvero centrale, ed è quello che troppo banalmente si è definito come “fine del lavoro”. Non se ne può dire qui; c’è spazio solo per avvertire che la sua mancata comprensione fa sì che ancor oggi «il nesso interno della produzione complessiva si impone agli agenti della produzione come una legge cieca, e non come una legge compresa e dominata dal loro intelletto associato» (Marx): la diminuzione del tempo di lavoro necessario, connessa all’enorme sviluppo tecnologico del secolo appena concluso e soprattutto dai nuovi rapporti sociali entro cui esso ha potuto dispiegarsi in modo non distruttivo durante i “trenta gloriosi keynesiani”, trionfa infatti al momento «così come per esempio trionfa con forza la legge della gravità, quando la casa ci capitombola sulla testa». Non sarà per questo che aumentiamo l’età pensionabile pur essendo pieni di disoccupati e di disperati che premono alle frontiere alla ricerca di lavoro?
AprileOnLine, 06.12.05
L'intransigente Ratzinger chiede piu' libertà religiosa
Vaticano. Il papa rivendica piu' spazio contro l'agnosticismo e il relativismo. Ma, è il primo a negare la libertà di pensiero all'interno della Chiesa
Nane Cantatore
Papa Benedetto XVI, nell’indossare il triregno, si è assunto un impegno serio e profondo: quello di discutere a fondo la questione dell’identità e della prospettiva della cultura europea. Già la scelta di imporsi il nome del santo protettore d’Europa, la cui memoria è legata ai monasteri che preservavano il sapere nel furore delle invasioni e delle continue violenza del primo Medioevo, indicava una scelta forte, che ha fatto dire a molti, francamente un po’ disgustati dallo zuccheroso buonismo "urbi et orbi" del suo predecessore, che almeno ci sarebbe stato confronto.
Un papa non digiuno di filosofia, con un punto di vista intransigente ma schietto, capace di mettere in campo tutte le sue ragioni, potrebbe avere l’indiscutibile merito di promuovere, finalmente, una discussione a tutto campo con chi la pensa in modo diverso, anche perché, al momento, sui dissidenti non pende la minaccia del braccio secolare. Ci potevamo aspettare, insomma, che Ratzinger tenesse fede alla sua fama, e che un uomo della sua tempra filosofica si rendesse conto che, insomma, qualche contraddizione nelle tesi ecclesiastiche c’è, eccome se c’è.
Invece, no: l’Angelus di domenica, forse la dichiarazione più politica uscita finora dalle labbra del capo della chiesa romana, altro non fa che ripetere la solita tiritera a base di bambini non nati e mani cucciole, questa volta condita anche dalla lacrimuccia di rito per i poveri portatori di handicap eliminati dall’eugenetica laicista, per poi inventarsi una straordinaria bestialità concettuale. La libertà religiosa, secondo l’erede di Pietro, sarebbe in pericolo, “negata per motivi religiosi o ideologici; altre volte, pur riconosciuta sulla carta, viene ostacolata nei fatti dal potere politico oppure, in maniera più subdola, dal predominio culturale dell'agnosticismo e del relativismo”. Stupisce che un predominio culturale, peraltro tutto da dimostrare almeno nel Paese delle ventisette fiction su Padre pio, dei preti investigatori, delle dirette fiume dal Vaticano, della genuflessione rituale di ogni potere, politico, economico e mediatico, possa essere visto come una negazione della libertà. Per meglio dire, può pensarlo l’ipotricotico, talmente frustrato dalla mancanza di intellettuali di destra migliori di Marcello Pera da attribuirne la colpa al perfido complotto comunista. Ma la libertà, a quanto ci risulta, viene minacciata solo quando subisce una costrizione da parte dell’autorità, non quando un’opinione si deve confrontare con un’altra, magari anche più forte o più diffusa.
Anzi, diciamocela tutta: ci pare che la libertà sia proprio questo, la coesistenza e il confronto di posizioni diverse, legittimate ad esprimersi ma che, comunque, competono per affermare la forza dei loro argomenti. Questa era la libertà laica che permetteva di salutare con una certa soddisfazione l’avvento del bavarese sul soglio di Pietro. Se oltre-tevere la libertà consiste solo nell’ascoltare la verità rivelata, allora qualche problema c’è, dal momento che per dare legittimità al discorso vaticano si dovrebbero annullare tutti gli altri, e questa non sembrerebbe una così gran libertà.
Ma, in fondo, il nostro non ha tutti i torti, a dire che la libertà religiosa è in pericolo. Basti pensare al caso di padre Rodolfo Zecchini, insegnante di Etica all’istituto teologico san Zeno, “sollevato dall’incarico” dal suo superiore monsignor Flavio Roberto Carraio, perché aveva pubblicamente dichiarato che avrebbe votato sì ai primi tre quesiti dell’ultimo referendum. Ha ragione il papa: in un Paese in cui si viene licenziati per divergenze teologiche, non ci può essere vera libertà religiosa.
La Stampa, 06.12.05
Più che all’aborto pensate ai bambini
di Chiara Saraceno
Ci sono dei grandi assenti nella campagna mediatica e politica scatenata in queste settimane contro l'aborto: i bambini. Nonostante le accuse di assassinio, sterminio, strage di bambini, che vengono sollevate contro la pratica dell'aborto, i bambini effettivamente nati e in crescita sono fuori dall’attenzione. Tutti gli occhi sono puntati sulla pancia gravida delle donne (molto meno sulle donne come tali e non solo come «uteri che camminano»), sugli embrioni, sui feti. Basta che nascano, sembra, e tutto è fatto. Una volta nati, i bambini spariscono dalla preoccupazione collettiva. Come nelle favole, sembra di capire, dopo «vissero tutti felici e contenti».
Così, non crea scandalo che avere un figlio rappresenti ancora per molte donne un handicap grave agli occhi di molti datori di lavoro e che per molte donne immigrate proprio le condizioni di lavoro rendano impossibile avere un figlio, esattamente come avveniva alle domestiche di un tempo. Non preoccupa che con l'espansione dei contratti di lavoro cosiddetti atipici molte donne siano escluse di fatto o di principio dai congedi di maternità. Ma soprattutto non crea altrettanto - se non più - attenzione e scandalo dell'aborto che un quarto dei bambini nel Mezzogiorno viva in povertà e che nel nostro paese se si è poveri da bambini si ha una altissima probabilità di rimanerlo a lungo. Più in generale, non crea scandalo il fatto che il nostro sia uno dei Paesi occidentali e democratici in cui le disuguaglianze di partenza, cioè nelle origini famigliari, hanno maggior peso sul destino degli individui, a prescindere dalle capacità individuali. Perché non vi sono politiche sociali adeguate, sotto forma di trasferimenti di reddito e di servizi, che attenuino queste differenze.
Solo questa disattenzione per i bambini può spiegare la risibilità delle proposte che vengono avanzate sia dalla maggioranza sia, spiace dirlo, anche dall'opposizione, per favorire la scelta di avere un figlio: dai bonus una tantum alla nascita (con esclusione per altro delle immigrate) ad assegni di gravidanza per le donne più povere, che cessano, appunto, alla nascita. Come se il problema, per una donna, fosse solo quello di avere abbastanza soldi per portare avanti una gravidanza e non soprattutto quello di poter mantenere adeguatamente, e per diversi anni, il figlio che nascerà. E come se, appunto, ad un bambino bastasse nascere per diventare un uomo, o una donna. Purtroppo, invece, l'amore basta, anche se è necessario come il pane. Al punto che, se non c'è, forse è meglio non nascere.
Più che di una indagine sull’applicazione della legge 194 ci sarebbe bisogno di una bella indagine parlamentare sulle difficoltà che in Italia si frappongono alla libertà di scelta di procreare, sui costi sostenuti da chi (soprattutto le donne) fa questa scelta e sugli effetti delle disuguaglianze sociali alla nascita. Ma una indagine di questo genere metterebbe in luce troppe contraddizioni negli stessi programmi politici e toccherebbe troppi interessi (nel sistema di welfare, nella organizzazione del lavoro, nella individuazione delle priorità). Meglio quindi trovare qualche capro espiatorio (i consultori, le donne che abortiscono) e fare qualche elemosina una tantum.
Corriere della Sera, 06.12.05
«Sposarsi non più vergini» Le indiane contro il tabù
Sotto tiro campionessa di tennis e attrice Avevano detto sì al sesso prematrimoniale
Il sasso nello stagno lo ha lanciato per prima Khushboo, affascinante attrice di Bollywood. Seguita dalla tennista più famosa del subcontinente, Sania Mirza. E dal (finora) unico pilota di Formula Uno di New Delhi, Narain Karthikeyan. Argomento: il sesso. Tema: possono le donne fare l'amore prima di sposarsi? Khushboo: «Non vedo che cosa ci sia di male per una donna a fare sesso prima del matrimonio, a patto che sia protetto». Sania Mirza: «Non importa se prima o dopo il matrimonio, l'importante è fare sesso sicuro». Narain Karthikeyan: «Rapporti prematrimoniali? Non c'è nulla di sbagliato».
Tema scontato? Forse per il disincantato Occidente. L'India, molto semplicemente, si è infiammata fino a rasentare la rivolta, almeno nel Tamil Nadu, luogo natale della diva trentacinquenne che per prima ha osato infrangere il muro di silenzio e omertà sulla castità delle giovani indiane. Cortei, appelli, minacce. È bastata l'uscita di Khushboo perché la Procura di Chennai, capitale dello Stato, fosse inondata da quaranta e più querele a carico dell'attrice. La quale, per la cronaca, si è vista prima recapitare un ordine di arresto (è libera su cauzione) e poi aggredire in un'aula del tribunale dove era entrata per testimoniare a una delle tante udienze sul caso del momento: urla, spintoni, pomodori e uova marce in faccia, promesse di morte. Tanto che adesso, su ordine delle autorità di polizia, Khushboo gira con la scorta.
Per il resto, il Paese ha accantonato le dispute sul terrorismo o le guerre di religione. Persino il tema della pace con il Pakistan è rimasto nell'ombra mentre giornali e televisioni ospitavano dichiarazioni, smentite, precisazioni e anatemi di stelle dello spettacolo, celebrità varie e, ovviamente, politici. «Khushboo ha offeso l'intera Nazione». «Uno scandalo così non si era mai visto». «Deve essere arrestata». «Basta ipocrisie — ha rincarato Khushboo —. Quale persona istruita, in India, si aspetta che una ragazza arrivi alle nozze ancora vergine?». Persino il primo ministro Manmohan Singh, intervenendo alla giornata mondiale contro l'Aids, si è sentito di affermare che «è ora che gli indiani superino i loro tabù legati al sesso».
Argomento scottante se la tennista Sania Mirza, di religione musulmana (Khushboo è indù), spaventata dalle reazioni, si è affrettata a smentire: «Voglio dire con chiarezza che sono contraria al sesso prematrimoniale, dal momento che per l'Islam si tratta di un peccato molto grave che, ritengo, Allah non potrebbe perdonare». Parola di una sportiva finita nel mirino degli integralisti per il suo abbigliamento in campo. «A nessuno deve importare come mi vesto — si era sempre difesa — almeno finché vinco...». Più coraggioso Karthikeyan. Che a un pubblico dibattito ha difeso Khushboo: «Ha ragione, non c'è nulla di sbagliato nelle sue parole».
La più grande democrazia del mondo si interroga sul sesso. E non è solo una battaglia tra «alta società» con standard di vita occidentali e le caste inferiori più legate alle tradizioni. Per la prima volta, entra nel dibattito la nuova classe media nata dall'imponente sviluppo tecnologico degli ultimi anni. Dunque studenti e giovani professionisti di entrambi i sessi. Che si trovano più a loro agio con telefonini e computer. E che intervengono, per lo più in difesa dell'attrice e del «diritto a una vita emancipata e libera dai lacci del Medioevo», utilizzando il mezzo più semplice e immediato: Internet. Scrive per esempio Murali sul sito di attualità Rediff.com: «Per favore, svegliatevi e guardate il mondo intorno a voi: non possiamo continuare a vivere come nel Medioevo. Una donna dovrebbe scappare da un futuro marito che la sposa soltanto per la sua verginità». Una donna Tamil sottolinea: «Un recente sondaggio ha evidenziato come il 90 per cento delle indiane, anche se in ritardo rispetto ad altri Paesi, perdano la verginità intorno ai 19 anni. Ma solo il 10 per cento della ragazze si sposa prima dei vent'anni. Dunque Khushboo ha perfettamente ragione. Tanto rumore per nulla».
In realtà, l'attrice è intervenuta in un contesto particolare, intendendo mettere l'accento — rispondendo a un'indagine del portale Indiatimes — non tanto sul «sesso prematrimoniale» quanto sul concetto di «sesso protetto». Una questione importante in un Paese, l'India, che denuncia oltre 5 milioni di persone colpite dall'Hiv, il virus che provoca l'Aids. Ovviamente il discorso si è allargato: «Le ragazze — dice Khushboo — sono sempre più emancipate. Vanno al pub, in discoteca. È ora di liberarsi da concetti quali: "Una donna deve arrivare vergine al matrimonio"».
«Siamo il Paese del Kamasutra e dei bassorilievi erotici — chiosa Sethi sul forum aperto su Indiatimes —. Ciò mi fa pensare che l'India antica era più aperta di quella di oggi in fatto di sesso. Che cosa ci è successo? Perché è diventato un simile tabù?».
Paolo Salom
Corriere della Sera, 06.12.05
Quelle con famiglia sono discriminate rispetto agli uomini e alle single
Donna manager? Scordati di fare la mamma
Ricerca su un campione di 1.200 dirigenti: «La maternità è un lusso che non ci possiamo permettere. Le retribuzioni? Più basse»
ROMA - Manager e mamma? Certamente si può. Ma quanto è difficile. Il binomio tra lavoro ad alta responsabilità e impegno famigliare si verifica con grande fatica nel mondo delle imprese italiane. A certificarlo è una ricerca di Federmanager, la federazione nazionale dei dirigenti di aziende industriali, che in occasione dei propri 60 anni di attività ha realizzato una ricerca su un campione di oltre 1.200 donne con ruoli dirigenziali. Che della loro condizione tracciano un quadro tutt'altro che incoraggiante.
DONNE PENALIZZATE - L'aspetto più negativo riguarda i rapporti all'interno della famiglia e, in particolare, la maternità, definita dalle signore di Federmanager «un lusso che non ci possiamo permettere». La ricerca mette infatti in evidenza come nelle aziende le donne con famiglia siano più penalizzate rispetto ai colleghi uomini. Se il 90% dei manager maschi è coniugato o convivente, infatti, la percentuale delle donne che si trovano nella stessa condizione scende al 73%. E mentre solo il 13,9% dei
dirigenti uomini non ha figli, tra le donne sono il 43% quelle che si considerano "obbligate" a non averne.
DISPARITA' ECONOMICHE - La disparità di trattamento si verifica, secondo l'inchiesta, anche a livello economico: le donne separate o single hanno infatti una retrubuzione alle colleghe coniugate o conviventi. «E lo stesso risultato si registra per le donne senza figli rispetto a quelle con figli». La retribuzione media del dirigente italiano è infatti di 95 mila euro lordi l'anno, ma per le dirigenti donne si ferma a 83.340. Le manager single riescono però ad andare oltre la media e a raggiungere i 92 mila, mentre quelle con figli o comunque coniugate non superano gli 81 mila.
SERVONO ASILI - Come è possibile, dunque, arrivare a condizioni di pari opportunità tra dirigenti dei due sessi? Il 75% delle donne interpellate ritiene che le difficoltà oggettive nel percorso di carriera siano legate alla quasi impossibile conciliazione tra impegni professionali e impegni famigliari. Dunque gli interventi dovrebbero essere mirati nella rimozione degli ostacoli con la creazione si strutture di supporto quali asili nido aziendali e assistenza domiciliare per figli minori e anziani. Provvedimenti, questi, già adottati da alcune grandi aziende, ma di difficile applicazione per le imprese medio-piccole che costituiscono la gran parte della realtà produttiva italiana.
L'IDENTIKIT - La ricerca traccia anche un identikit della donna manager italiana: ha un'età media di 45 anni, ed è arrivata al top della carriera a 38. Ha la laurea nel 70% dei casi e almeno 20 anni di lavoro alle spalle, di cui 10 da dirigente. Dati che contrastano con la realtà dei dirigenti maschi: per loro l'età media è di 50 anni e solo il 62% possiede una laurea.
Corriere della Sera, 06.12.05
Scontro aperto tra i poli sulla legge 194
Prodi: «Sull'aborto si fa propaganda»
Il presidente della Commissione, Palumbo: «Al lavoro anche a Natale».
Botta e risposta tra Casini e Fassino
ROMA - L'inchiesta sull'aborto continua a produrre scintille nel Palazzo. Il presidente della Commissione Affari Sociali, Giuseppe Palumbo di Forza Italia, assicura - intervistato da Corriere.it - che l'indagine sul funzionamento della legge 194 sarà rapidissima, come da raccomandazione di Casini. E che produrrà risultati in tempo per non intralciare l'inizio ufficiale della campagna elettorale. «Chiederemo agli onorevoli un sacrificio, di lavorare anche a Natale durante la pausa dei lavori parlamentari», spiega Palumbo che anticipa alcuni contenuti delle audizioni che - osserva - coinvolgeranno diversi soggetti e non si limiteranno al tema dei consultori ma accenderanno un faro anche sulla pillola abortiva, definita dall'onorevole azzurro «un'opportunità per le donne». Nel frattempo continua lo scontro a distanza tra Casini e il centrosinistra.
STOP ALLA PROPAGANDA - Sull'argomento è intervenuto lunedì anche Romano Prodi. Lo ha fatto non per contestare l'indagine conoscitiva sulla 194, ma il fatto che il centrodestra l'abbia promossa sul finale di legislatura, circostanza che dal Professore viene definita una «strumentalizzazione» «In questa decisione non c'è nulla di criticabile dal punto di vista del regolamento parlamentare. Più c'è conoscenza meglio è», ha scandito il Professore in una pausa dei lavori del seminario dell'Unione a San Martino in Campo. Quello che non gli piace è che un problema così delicato come quello trattato dalla legge 194 venga affrontato in una «commissione che durerá 5 minuti. Il fatto che si faccia alla fine della legislatura dà la misura su come ci sia una strumentalizzazione su un fatto tanto delicato, importante e serio. Una strumentalizzazione che andava evitata». Altra stoccata alla Cdl sulla presunta minaccia alla libertà religiosa: «Posso solo assicurare - ha dichiarato Prodi - che non è certamente il caso della nostra coalizione».
BOTTA E RISPOSTA - In precedenza era stato Piero Fassino ad andare giù duro. «E' stato sconcertante», ha sbottato il segretario dei Ds contro il presidente della Camera finito sotto una gragnuola di critiche e sospetti per il suo via libera all'indagine parlamentare. Accuse che Pier Ferdinando Casini ha giudicato ingenerose e viziate da «considerazioni politiche ed elettorali». «È sconcertante - è stata la sua replica a Fassino - quando la polemica politica prevale sull'oggettività dei fatti».
ATTO DOVUTO - «In questa legislatura, ho fatto i calcoli questa mattina, sono state chieste al presidente della Camera 68 commissioni di indagine, il presidente della Camera ha sempre dato il concerto: su 68 richieste, 68 sì. Per cui le polemiche sono evidentemente elettorali, strumentali da parte di chi le fa», si è ribellato la terza carica dello Stato.
«L'idea se fare o meno questa indagine - ha aggiunto Casini - è della Commissione. Può essere un'idea criticabile, ma il mio atto è praticamente un atto dovuto. Vorrei che tutti, lasciando perdere la campagna elettorale, guardassero all'evidenza: 68 richieste, 68 sì». «Sono sereno - ha concluso Casini - perché come al solito ho fatto il mio dovere. Del resto sono polemiche che non mi riguardano».
LE ACCUSE - Ma Fassino non ha mollato la presa e ha rincarato. «Peraltro - ha osservato il leader della Quercia - in queste settimane si fa finta di non sapere, e Casini come presidente della Camera lo deve sapere, che la legge 194 prevede che ogni anno il governo presenti al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della legge. Da poche settimane Storace ha inviato al Parlamento questa relazione. Allora perché non si discute dello strumento di verifica che è già previsto dalla legge e chi si inventa invece una Commissione dalla dubbia finalità e dalla equivoca efficacia? Siamo in presenza di un comportamento molto scorretto».
Le Scienze, 06.12.05
Un legame fra Alzheimer e sindrome di Down
I livelli elevati di mioinositolo risultano associati a una ridotta capacità cognitiva
Alcuni ricercatori dell'Istituto di Psichiatria del King’s College di Londra hanno identificato una molecola che potrebbe suggerire nuovi trattamenti per i pazienti con la sindrome di Down. Lo studio, pubblicato sulla rivista "Archives of General Psychiatry", ha rivelato che questi pazienti presentano livelli più elevati di mioinositolo nel cervello rispetto ai soggetti di controllo, e anche alti livelli di questa molecola sono associati con una ridotta capacità intellettiva.
Gli scienziati sospettano inoltre che i livelli elevati di mioinositolo possano svolgere un ruolo nella predisposizione dei pazienti con la sindrome di Down allo sviluppo prematuro del morbo di Alzheimer. La molecola, infatti, è nota come promotrice della formazione di placche amiloidi, una caratteristica dell'Alzheimer.
Una volta raggiunti i 40 anni di età, quasi tutti i pazienti con la sindrome di Down esibiscono le caratteristiche formazioni cerebrali del morbo di Alzheimer, anche se non tutti sviluppano la demenza. Secondo Declan Murphy, che ha guidato lo studio, "gli adulti con la sindrome di Down presentano nella regione ippocampale del cervello una concentrazione di mioinositolo significativamente più alta del normale. Questo incremento è associato con una ridotta capacità cognitiva. Stiamo ora effettuando ulteriori studi per vedere se è possibile ridurre terapeuticamente la concentrazione di mioinositolo: forse potrebbe rivelarsi un nuovo modo per trattare questa condizione".
Felix Beacher, Andy Simmons, Eileen Daly, Verinder Prasher, Claire Adams, Maria Luisa Margallo-Lana, Robin Morris, Simon Lovestone, Kieran Murph, Declan GM Murphy, "Hippocampal myo-inositol and cognitive ability in adults with Down Syndrome: an in vivo H-MRS study". Archives of General Psychiatry, Volume 63, No.12 (dicembre 2005).
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Le Scienze, 06.12.05
L'efficienza degli impianti cocleari
Possono restaurare alcune caratteristiche strutturali del nervo uditivo
Quando si tratta di ripristinare la funzionalità dell'udito, il tempismo è tutto. Gli impianti cocleari funzionano bene per i bambini con sordità congenita, o per gli adulti che hanno perso l'udito in tarda età, ma possono fare poco per gli adulti sordi dalla nascita. Ora alcuni ricercatori credono di aver scoperto il perché.
Gli apparecchi cocleari bypassano le cellule ciliate danneggiate nell'orecchio interno e stimolano direttamente i nervi uditivi. Ma perché sono più efficaci se impiantati in giovane età? La risposta potrebbe essere fornita dai gatti. Come gli esseri umani, infatti, i gatti congenitamente sordi presentano una struttura anomala del nervo uditivo, con le estremità nervose prive di gran parte delle vescicole sinaptiche che trasportano i trasmettitori chimici da una cellula all'altra. Le poche vescicole presenti, fra l'altro, sono malformate o eccessivamente grandi.
Per scoprire perché gli impianti cocleari sono più efficaci nei mammiferi giovani, il neuroscienziato David Ryugo del Center for Hearing and Balance della Johns Hopkins University di Baltimora e colleghi hanno impiantato i dispositivi in tre gattini di 3 mesi con sordità congenita. Dopo l'operazione, i ricercatori hanno fatto ascoltare ai gatti per tre mesi suoni ambientali e dialoghi in laboratorio. Per assicurarsi che gli impianti migliorassero l'udito dei gatti, gli scienziati hanno registrato le risposte neurali degli animali in seguito a stimolazione elettrica, un test standard che viene usato anche per i pazienti umani. Dopo il periodo di sperimentazione, gli scienziati hanno confrontato il cervello dei gatti trattati con quelli di tre gatti normali e di tre gatti sordi senza impianti. Hanno così scoperto che le strutture sinaptiche in un gruppo di fibre del nervo uditivo dei gatti normali e di quelli trattati erano indistinguibili fra loro. Ciò suggerisce che durante lo sviluppo del sistema nervoso è possibile fare "risorgere" queste sinapsi.
Lo studio, descritto sul numero del 2 novembre della rivista "Science", dimostra che l'impianto di questi dispositivi in giovane età può contribuire a preservare o a restaurare alcune caratteristiche strutturali fondamentali per l'udito. E che i benefici dell'inserzione di impianti cocleari possono essere superiori ai rischi delle operazioni chirurgiche nei bambini.
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Corriere della Sera, 06.12.05
La ricerca sui neurotrasmettitori che influenzano la socialità e l’affettività
Drogati dall’amore
Gli stessi meccanismi chimici che producono dipendenza e assuefazione inducono la monogamia. Da uno studio sui topi
TALLAHASSEE (Florida) - «Amor è uno desio che ven da core» cantava Giacomo da Lentini, sbagliando. Oggi la scienza ribadisce che viene dal cervello e in particolare da un neurotrasmettitore, la dopamina. A dimostrarlo – spiega la BBC – sarebbe un animale assai poco poetico, un topo. Sì, siamo lontani anni luce dallo Stil Novo di Dante, e precisamente dentro i laboratori asettici della Florida State Univeristy. Qui un gruppo di scienziati ha scoperto che alla base dell’amore, e più specificamente della monogamia, soggiacciono gli stessi meccanismi chimici attivi nel tossicodipendente. Dal balcone di Giulietta al tunnel della droga il passo è dunque breve.
IL TOPOLINO MONOGAMO - La pietra dello scandalo è il Microtus ochrogaster, un topolino di campagna diffuso nel sud degli Stati Uniti che da tempo solletica le fantasie dei ricercatori a causa della sua ferrea, struggente fedeltà al partner. Una caratteristica presente anche nella razza umana, seppur in modo spesso vacillante, che deve aver suscitato l’interesse dell’uomo di scienza: perché per questi mammiferi è così facile l’amore eterno mentre noi siamo a combattere ogni giorno col suo fantasma?
EFFETTO DOPAMINA - Il topino, si è scoperto, ha dalla sua la dopamina. Ogni volta che l’animale maschio si accoppia con una partner, nel suo cervello - e precisamente in un’area che abbiamo anche noi umani, il nucleo accumbens - viene rilasciata della dopamina, il neurotrasmettitore della ricompensa, lo stesso che ci fa sentire bene quando mangiamo una tavoletta di cioccolata o ci iniettiamo una dose di eroina. Lo stesso che alimenta la dipendenza dalla fonte di piacere. La controprova è che bloccando nei roditori la proteina attivata dalla dopamina questi improvvisamente smettono di essere monogami. E anche per loro l’amore torna ad essere tragica illusione. Ecco dunque spiegata tanta fedeltà. Ed ecco individuato forse anche per noi il responsabile, anzi il colpevole, di centinaia d’anni di struggimenti, tormenti romantici, odi et amo dell’umana schiatta. Galeotto fu il neurotramettitore. Averlo saputo prima ci saremmo messi in fila ai Sert per la disintossicazione.
Carola Frediani