Corriere 2.10.18
Usa, Cina, populisti, Brexit
L’uragano che minaccia lo scenario internazionale
di Antonio Armellini
Trump,
la Cina, Putin, Brexit. Come il battito d’ali della proverbiale
libellula dell’apologo rischiano, incrociandosi fra loro, di determinare
uno tsunami nelle relazioni internazionali come le abbiamo sin qui
intese.
Donald Trump ha vinto disintermediando le strutture
tradizionali del suo partito; Hilary Clinton che con le strutture del
suo ha operato, le ha perse. I populismi europei hanno origini e
programmi diversi, ma il Presidente americano ha aperto loro
un’autostrada al termine della quale si profila il dominio del click sul
computer. I checks and balances della democrazia statunitense tengono
la partita aperta a Washington e possono fornire utili indicazioni
altrove, ma il tema di come trovare un punto di sintesi fra
rappresentanza e competenza nell’era del consenso digitale, interroga in
misura più o meno ampia le democrazie liberali dell’Occidente. Le
possibili soluzioni sono nebulose (con buona pace della piattaforma
Rousseau) ma ragionare come se fosse possibile tornare indietro è
un’illusione pericolosa.
La suggestione dell’isolazionismo è un
tratto ricorrente della politica americana e non è chiaro quanto in
Trump essa sia ideologica e quanto espressione di uno spregiudicato
mercantilismo. Con la caduta del Muro, le regole del sistema emerso
dalla Seconda guerra mondiale sembrava dovessero essere riscritte, per
adattarle alla globalizzazione a trazione americana indotta dalla «fine
della storia». Che le cose non andassero così si è visto presto: la
storia continuava e la globalizzazione ha determinato non una crescita
equilibrata, ma un aumento sempre meno sostenibile delle diseguaglianze
economiche. Anziché cercare di correggere un sistema che restava
americano-centrico, Trump ha annunciato di volerlo smantellare in nome
di un bilateralismo senza se e senza ma, ispirato allo slogan «Make
America Great Again». Ha ottenuto qualche successo commerciale ma ha
aperto una voragine creando nella sua politica estera vuoti in direzioni
impreviste: in Medio Oriente come in Iran, in Afghanistan e in America
latina. Ma non solo.
Complice l’indifferenza di Trump, Pechino si è
mossa con una politica a tutto campo che la fa apparire — dazi o non
dazi — sempre più come il prossimo contendente degli Usa per l’egemonia
globale. In Africa, le accuse di neocolonialismo aggressivo rivoltele
suonano agli orecchi europei un ironico déja-vu, ma non le hanno
impedito di assumere un controllo sempre più stretto su un continente
vitale per l’approvvigionamento alimentare e di materie prime del
vecchio Continente. In Asia intanto, India, Giappone e Australia si
interrogano su quale potrà essere la loro linea di difesa una volta
venuta meno una seria presenza riequilibratrice americana.
Che la
Nato sia un’alleanza in cerca di ruolo era noto da tempo, ma lo scossone
inferto dalla politica putiniana di Trump rischia di essere devastante.
Non si tratta delle simpatie o della dipendenza dall’uomo forte di
Mosca dei vari Salvini di turno: se gli Usa ritengono non più essenziale
un loro controllo politico in Europa e intendono sostituirlo con
assetti definiti bilateralmente con la Russia, ai loro alleati non
resterà che ricercare con essa una relazione che definisca in maniera
del tutto diversa le linee d’influenza rispettive. Con conseguenze
evidenti anche sulla sopravvivenza del processo di integrazione europea:
aldilà delle diverse priorità e inclinazioni, esso è parte di una
costruzione euro-atlantica che o rimane tale o non è.
Se Brexit
fosse solo un suicido annunciato per Londra, pazienza; ma non è solo
questo. Rendendo concreta l’ipotesi che in Europa si può entrare ma
anche uscire, ha dato fiato alle opinioni di quanti ne considerano per
diverse ragioni esaurita la spinta propulsiva. Si ha un bel dire che i
vari sovranisti giocano con il fuoco fingendo di ignorare i costi
insostenibili di una rottura: o che l’affievolirsi delle motivazioni
originarie della scelta europea trova facile riscontro in discorsi
fondati soprattutto sull’ignoranza, riversando sull’Ue responsabilità
che nascono da neghittosità o insufficienze dei singoli Paesi.
In
una Europa che ha idee sempre più divaricate su sé stessa, crescono
quanti coltivano l’illusione che sia possibile rompere il giocattolo
comunitario, recuperando illusorie libertà senza rinunciare ai vantaggi
acquisiti. Brexit fa apparire possibile una via sin qui impercorribile e
rischia di provocare effetti a cascata alla lunga incontenibili.
Trump
potrebbe non essere rieletto nel 2020. Le ambizioni di potenza di Putin
devono fare i conti con le fragilità interne. Il vento nelle vele dei
populismi potrebbe afflosciarsi al confronto con la realtà. Non è detto
che Brexit alla fine avvenga. Ma le libellule in volo sono molte e il
battito delle ali si fa sentire: sarà bene tenerne conto.