Repubblica 2.7.17
La paura di una vittoria delle
destre può aiutare un’intesa tra segretario e ex sindaco in vista delle
regionali in Sicilia e della legge elettorale
Ira dem: troppe provocazioni Ma i mediatori ora lavorano su un incontro a settembre
di Carmelo Lopapa
MILANO.
Teatro e piazza, Milano e Roma, non potevano essere più distanti. Breve
storia triste di un dialogo mai nato. Eppure, ora che è sceso il
sipario sulle prove muscolari delle due anime del centrosinistra -
sull’assemblea Pd in cui Renzi ha parlato dei «nostalgici delle 12 sigle
chiamate Unione» e sul palco di Santi Apostoli dal quale Bersani ha
ironizzato sul «mondo che non gira intorno alla Leopolda» - non tutti,
da una parte e dall’altra, scommettono sulla fine della storia.
Certo,
ieri sera, quando Giuliano Pisapia ha lasciato la piazza romana («Non
ho parlato di Renzi? Ho parlato di cose più importanti »), l’aria era da
resa dei conti. «C’era più civismo e più società civile a Milano con
Berruto, Burioni, Annibali, Don Ciotti che non a Roma, dove quel Bersani
che insulta spiegando che non pensiamo si definisce da sé», confessano
amareggiati al quartier generale del Nazareno.
«Ma sì, siamo molto
delusi, abbiamo sentito attacchi al Pd e al suo segretario - racconta
in serata a Milano il coordinatore Lorenzo Guerini - Che distanza nei
toni e nei contenuti tra le due manifestazioni: la speranza è l’ultima a
morire, siamo aperti al confronto, ma se queste sono le basi, è molto
complicato». Complicato, ma non impossibile dunque, se il Pd renziano si
dice «aperto al confronto », nonostante le bordate delle ultime ore.
Il
fatto è che i ponti in apparenza sono saltati, ma i canali super
riservati tra Matteo Renzi e Giuliano Pisapia resistono. Forti del
rapporto personale tra i due. I pontieri lavorano già perché l’ex
premier e l’ex sindaco di Milano possano tornare a tessere una trama a
settembre nel tentativo di costruire una strada comune. Non è un caso, e
non è passato inosservato al Nazareno, se Pisapia non abbia mai citato
il leader dem nel suo intervento e, a differenza di Bersani, non abbia
mai affondato il coltello sul partito maggiore. È quello il sottile filo
del dialogo tra i due mondi. Pochi, qualificati ambasciatori continuano
a lavorare di diplomazia perché il filo non si spezzi. Lo stesso Romano
Prodi, Walter Veltroni e ancora Dario Franceschini, Piero Fassino. Due
gli snodi che potrebbero agevolare (o stroncare del tutto) il percorso,
alla ripresa.
Il primo: la campagna per il voto in Sicilia del 5
novembre, al quale potrebbe agganciarsi il Pirellone, se Roberto Maroni
riuscirà a portare al rinnovo anche la Lombardia. Se così fosse, tanto
più in elezioni amministrative di quella portata a ridosso delle
politiche, il centrosinistra sarebbe costretto a presentarsi unito. Con
quali uomini e su che basi oggi è tutto da vedere. A Palermo, Renzi
tornerà alla carica con la carica unificante Pietro Grasso, nonostante
la rinuncia del presidente del Senato.
Secondo snodo: la legge
elettorale. Il leader pd dal 24 settembre, chiusa la festa di Imola,
salterà sul treno, saluterà tutti ed entrerà di fatto in campagna
elettorale. Il messaggio è: occupatevi voi nel Palazzo di legge voto, io
vado per cinque mesi nelle cento province, «a incontrare la realtà del
Paese». Detto questo, anche dopo l’ennesimo sprone del Quirinale, in
autunno si tornerà a parlare di riforma. E se anche dovessero fallire
gli ultimi tentativi di introdurre il premio per le coalizioni che
favorirebbe le alleanze, l’attuale sistema prevede comunque al Senato
una corsa agovolata per le aggregazioni (non fosse altro che per
superare lo sbarramento dell’8 per cento). Berlusconi e Salvini, tra un
insulto e l’altro, rischiano di rimettersi insieme per davvero. E allora
saranno costretti a provarle tutte, anche a sinistra.
Nel Pd il
clima resta teso. Assemblea dei circoli col Teatro Ciak (quello di “X
Factor”) da quasi tremila posti, gremito solo per metà per la chiusura
del leader, teloni neri a coprire le decine di file vuote in coda.
Gentiloni ai funerali di Kohl, la sola Maria Elena Boschi e il ministro
(e vice) Maurizio Martina a rappresentare il governo. Andrea Orlando
ieri era da Pisapia. Franceschini c’era solo venerdì ed è andato via non
di ottimo umore. Mentre l’ex ct di volley Berruto parlava di
«sabotatori», sul maxi schermo il regista ha inquadrato proprio il
ministro dei Beni culturali. Giovedì si preannuncia l’ennesima direzione
Pd ad alta tensione.