La Stampa 2.7.16
Il sabato infuocato della sinistra tra Renzi e Pisapia
di Federico Geremicca
Se
l’obiettivo era rappresentare plasticamente la distanza che li separa e
il grumo di risentimenti che rende per ora impossibile immaginare
qualsiasi forma di riavvicinamento e perfino di dialogo, bene.
L’operazione
è perfettamente riuscita. E così, il «sabato di fuoco» del
centrosinistra - Renzi contro il tandem Bersani-Pisapia - mette in
piazza i panni sporchi e lascia sul terreno la prima vittima: il
centrosinistra, appunto.
Renzi da Milano e i leader di Campo
progressista dalla prodianissima Piazza Santi Apostoli di Roma, hanno
infatti esposto - e non può esser considerata una sorpresa - programmi,
obiettivi e soprattutto sensibilità che più lontane non si potrebbe. Da
palchi diversi e distanti, dunque, si sono dettati condizioni
reciprocamente inaccettabili.
A oggi - e sfrondando il campo - il
senso del contendere potrebbe esser sintetizzato così: Renzi ha chiesto a
Campo progressista - e a chi ancora lo contesta dall’interno - «ordine e
disciplina», meno polemiche e più lavoro, con l’avvertenza che senza il
Pd il centrosinistra non esiste e la sinistra - di conseguenza - si
condannerebbe ad una nuova sconfitta; dall’altro palco, Pisapia (ma più
ancora Bersani) hanno semplicemente chiesto al Pd di liberarsi di Renzi,
del renzismo e di quelle innovazioni - dal Jobs Act alla politica dei
bonus - che hanno così pericolosamente avvicinato il Partito democratico
alla destra.
Ognuno ha esposto la propria ricetta con lo stile
ormai noto: il leader Pd con la cattiveria - e a tratti l’arroganza -
dei momenti migliori: basta con le polemiche, e chi non è d’accordo può
scendere subito dal treno; Pisapia (ma più ancora Bersani) col tono
ieratico e dolente di chi evoca un passato da «età dell’oro» e lamenta
il tradimento di ispirazioni e valori senza i quali la sinistra non
sarebbe più sinistra.
Distanze assai profonde, perché politiche,
culturali e generazionali assieme. E distanze, soprattutto, di fronte
alle quali la querelle in scena nel centrodestra circa il profilo
dell’alleanza e la leadership della coalizione, appare poco più di una
bega di non difficile soluzione. Intendiamoci: nulla che non si sapesse.
Ma l’idea di concentrare tutto questo in un solo giorno - quasi secondo
un piano studiato a tavolino - conferma la già nota predisposizione al
masochismo della sinistra (centrosinistra) italiana.
La strada,
dunque, si fa ancora più difficile e in salita in vista delle elezioni
politiche prossime venture: più difficile per Renzi, certo, ma anche per
i suoi nuovi competitor (definirli potenziali alleati ci sembrerebbe un
azzardo). Il più in difficoltà, in verità, ieri è parso proprio
Giuliano Pisapia. Chiamato a tentare di federare l’area a sinistra del
Pd, ci ha messo poco a capire l’asprezza dello scontro nel quale si è
ritrovato.
Infatti, rimettere assieme Renzi, Bersani e D’Alema,
ricreare un filo che li unisca, appare oggi la più impossibile delle
«mission impossible». Un lavoro da «politico di professione», cosa che
Pisapia non è e non intende diventare. Il rischio - considerato il clima
- è che insomma possa finirgli male: come è capitato a quel Professore
che voleva fare da collante e che ieri pomeriggio, certamente, avrà
invece spostato la sua tenda ancora un po’ più in là.