La Stampa 1.7.17
2037, basta sesso sfiorarci è un tabù
di Ester Armanino
Tra
vent’anni non ci toccheremo più, nemmeno per fare i bambini. La pratica
del sesso verrà considerata antiquata e rischiosa perché i figli
saranno «componibili» in provetta, sani e belli come da catalogo (magari
potessimo scegliere di averli predisposti all’antirazzismo, pacifisti e
rispettosi del pianeta: per questa gamma genetica serve ancora un po’
di ricerca).
È il futuro che prospetta Henry Greely, direttore del
Centro per la Legge e le Bioscienze alla Stanford Law School e autore
del saggio «The End of Sex and the Future of Human Reproduction». Un
futuro reso possibile dall’Easy Pdg, ovvero una diagnosi preimpianto di
routine, facile ed economica. Se non per tutti, per molti.
Il
sesso che tramonta, almeno quello a scopo riproduttivo, ha qualcosa di
struggente. Forse lo saluteremo come abbiamo fatto con il rosso delle
barriere coralline, o con la pratica estetica di perderci nei luoghi
prima dell’arrivo di Google Maps e del suo utilizzo persino per
raggiungere il negozio dietro l’angolo. Arrivederci alla poesia dei
corpi sudati, all’incidente non programmato, alla bellezza scoperta per
caso, all’attesa di sapere che occhi avrà (e speriamo ne abbia due). Il
bambino del futuro secondo Greely sarà frutto di una preselezione di
quello che piace ai genitori, un predestinato come ne «Il Mondo Nuovo»
di Aldous Huxley, obiezione a cui Greely risponde preparato e scettico:
non bambini di design, ma semplici embrioni selezionati. Considerate le
malattie genetiche, non è soltanto questione di occhi azzurri.
Infatti
la questione è che tra vent’anni – a essere ottimisti, trenta o
quaranta – tra di noi non ci toccheremo più. L’interazione con le
persone vere non sarà più necessaria e forse i robot ci sostituiranno
come Super Vicky – Small Wonder, la piccola domestica dal fiocco rosso e
grembiulone che nel popolare telefilm Anni 80 a fine giornata si
chiudeva nello sgabuzzino, una botta in testa e in modalità «off» si
addormentava per fare riposare i circuiti.
Ma tra vent’anni, in
una vita priva di contatti fisici antiquati e rischiosi, non finirà che
qualcosa si addormenti anche dentro di noi? Una specie di coscienza
intorpidita?
Scrive Margaret Atwood nel profetico Racconto
dell’ancella: «Prima dormivo. Ecco come abbiamo permesso che accadesse
tutto questo. Non ci siamo svegliati nemmeno quando hanno incolpato i
terroristi e hanno sospeso la costituzione. Ora sono sveglia.» La
società distopica che ha creato Atwood nel suo romanzo si colloca in un
futuro altrettanto prossimo a quello del dottor Greely, in una teocrazia
totalitaria di ispirazione biblica che ha rovesciato il governo degli
Stati Uniti e in cui le donne hanno perso ogni diritto; le poche ancora
in grado di riprodursi vengono ridotte in schiavitù e trasformate in
ancelle. Ogni minima infrazione alle regole viene punita e l’ancella
Offred, protagonista nonché voce narrante, pur di restare in cucina con
un’altra donna desidera l’indicibile: «aiuterei Rita a fare il pane,
affondando le mani in quel morbido tepore resistente che è così simile
alla carne. Desidero ardentemente toccare qualcosa di diverso dalla
stoffa o dal legno. Desidero commettere l’atto del toccare.»
L’atto
del toccare rappresenta quindi la veglia. Lo stato di veglia è il
momento in cui possiamo toccarci tra esseri umani, in cui siamo vigili e
consapevoli ed è possibile l’azione volontaria, in cui i bambini
possiamo crearli da soli, all’antica maniera, rischiando pure che ci
vengano con il naso a campana come il nonno o con le gambe corte come la
zia, magari con qualche difficoltà che li renderà all’inizio più
diversi degli altri e poi più speciali degli altri. Fatti da noi invece
che cucinati e impiattati dal dottor-chef mentre stavamo dormendo.
Altrimenti vi immaginate i discorsi in laboratorio?
I signori del
tavolo sei sono allergici all’alopecia e non desiderano le sopracciglia
unite. Voilà, lo sformato di beltà su letto di quoziente intellettivo
sopra la media è pronto. E Super Vicky che col suo fare robotico serve
ai signori un bebè perfetto.