Internazionale 30.6.17
Economia e lavoro
Gli investimenti cinesi che preoccupano Pechino
da Frankfurter Allgemeine Zeitung, Germania
Il governo ha messo sotto controllo le operazioni con cui i grandi gruppi comprano aziende all’estero. teme la fuga di capitali, ma soprattutto rischi seri per il sistema finanziario
All’inizio di maggio il gruppo cinese Hna ha portato al 9,9 per cento la sua quota nel capitale della Deutsche Bank, diventando il maggiore azionista dell’istituto tedesco. La Hna è una delle tante aziende private cinesi che si sono avventurate in una serie di acquisizioni spettacolari all’estero. Il valore delle sue partecipazioni supera i cento miliardi di dollari. Non stupisce che, durante un vertice economico a Shanghai, un banchiere tedesco abbia fatto una semplice domanda: “Da dove li prendono tutti questi soldi?”. Anche le autorità cinesi vorrebbero saperlo, e non solo dall’Hna. L’azionista della Deutsche Bank infatti non è l’unica azienda così attiva sul fronte delle acquisizioni. Il 23 giugno la China banking regulatory commission (Cbrc), l’autorità di controllo del sistema bancario, ha preso di mira anche altri due gruppi – la Dalian Wanda e la Fosun – e la compagnia assicurativa Anbang. Secondo alcune stime, negli ultimi cinque anni i quattro gruppi hanno comprato quote azionarie all’estero per un valore che supera i cinquanta miliardi di dollari. La Cbrc ha chiesto alle banche cinesi di verificare i prestiti concessi a queste aziende. Il timore della commissione è che “certi grandi gruppi rappresentino un rischio per l’intero sistema finanziario”. Il 20 giugno, a Shanghai, il governatore della banca centrale cinese, Zhou Xiaochuan, aveva affermato che il governo non tollererà “indebitamenti eccessivi e crediti inesigibili”. Il mercato finanziario cinese è in tumulto. Già il 22 giugno il prezzo delle azioni della Wanda era crollato del 9,9 per cento. Il suo fondatore e presidente del consiglio d’amministrazione, Wang Jianlin, aveva ammesso che nei mesi precedenti le autorità di controllo avevano impedito al gruppo d’investire un miliardo di dollari in una casa cinematografica statunitense. Quel giorno le azioni della Fosun erano scese del 6 per cento, come il titolo dell’Hna. La Anbang, uno dei maggiori gruppi assicurativi cinesi, non è quotata in borsa, ma sta incontrando lo stesso enormi difficoltà. I mezzi d’informazione cinesi riferiscono che a metà giugno il fondatore del gruppo, Wu Xiaohui, è stato arrestato, anche se la versione ufficiale dell’azienda è che si è dimesso “per motivi personali”. Solo qualche giorno prima era stato reso noto che la Anbang era in corsa per l’acquisto della banca tedesca Hsh Nordbank, un istituto in crisi che è stato nazionalizzato ma dev’essere venduto entro il 2018 su disposizione della Commissione europea. Ora sembra che la cessione ai cinesi sia destinata a saltare. L’affare del Milan Sui motivi che hanno spinto le autorità cinesi ad agire contro i quattro gruppi si possono fare solo delle ipotesi, visto che in Cina le informazioni sicure sono merce rara. Negli ambienti finanziari cinesi si ipotizza che investimenti all’estero di tale portata siano usati per “riciclare denaro”. Da Pechino arriva la notizia che il presidente Xi Jinping ha reagito duramente quando ha appreso che ad aprile la società d’investimento Zhejiang Rossoneri ha comprato la società di calcio italiana del Milan (anche per questo caso sono scattati i controlli). Si pensa quindi che Pechino voglia soprattutto impedire la fuga di capitali. Nel 2016, quando lo yuan è crollato a una velocità preoccupante, erano state introdotte misure severe per contenere il trasferimento di capitali all’estero. Ma il caso della Anbang solleva un’altra questione: la presenza di un rischio effettivo per l’intero sistema finanziario cinese. Nel paese asiatico si parla già di un equivalente della Lehman Brothers, la banca statunitense fallita nel 2008. L’anno scorso la Anbang ha raccolto all’estero premi assicurativi per un valore di circa 500 miliardi di yuan (circa 66 miliardi di euro), venti volte di più rispetto al 2013. In poco tempo il gruppo ha aumentato il suo giro d’afari del 1.800 per cento. Una grossa fetta di questi ricavi è confluita negli investimenti all’estero, per esempio nel celebre hotel newyorchese Waldorf Astoria. Di recente, però, le entrate della Anbang si sono ridotte drasticamente. E se il gruppo non riuscisse a mantenere gli impegni presi con i suoi venti milioni di clienti, si rischia una rivolta della classe media cinese. Lo stato dovrebbe intervenire con i soldi dei contribuenti per salvare l’azienda ed evitare il caos nel sistema finanziario. I clienti hanno investito nella Anbang una somma enorme, che secondo alcune stime è pari a un terzo del pil cinese. uct