il manifesto 2.7.17
«Giudizio sospeso, ma per fare una alleanza serve una svolta sul programma»
di Massimo Franchi
Intervista
a Nicola Fratoianni. Nicola Fratoianni, lei prima della manifestazione
di piazza Santi Apostoli ha mandato una lettera aperta a Giuliano
Pisapia chiedendo un incontro sul programma. Avendo ascoltato da fuori
l’intervento appena finito è più ottimista che si possano trovare punti
in comune per un’alleanza? Dopo aver sentito Giuliano sono in uno stato
di sospensione, mi ha lasciato un po’ perplesso. È mancato in uno
significativo la chiarezza di una prospettiva. Non ho sentito su un
singolo tema proposte radicalmente alternative alle politiche portate
avanti dal Pd in questi anni. In realtà l’avverbio «radicalmente»
Pisapia lo ha pronunciato molte volte. Non le è bastato? Sì, l’ha detto
ma poi non ha mai spiegato in cosa essere radicali. Se l’intervento di
Bersani è stato molto positivo nel merito, seppur non tutto
condivisibile, soprattutto nel rivendicare "la globalizzazione dal volto
buono" che per me non c’è mai stata, Pisapia non ha dato seguito,
limitandosi a tracciare un elenco di temi senza mai lasciar neppure
intravvedere la svolta necessaria. Bersani mi pare abbia interpretato
con le sue parole il bisogno della piazza di chiudere una stagione
politica terribile: ha parlato di lavoro, di welfare universalistico, di
progressività. Pisapia lo ha fatto molto meno... Sta dicendo che
Bersani è più leader di Pisapia? Eppure è stato proprio l’ex segretario
Pd a incoronare Giuliano come «leader della nuova casa comune della
sinistra e del centrosinistra»... I leader non si inventano. O si
scelgono in modo democratico o ci sono perché sono in grado di
convincere tutti per la giustezza della loro proposta. Detto questo, non
voglio personalizzare il problema. Che è invece quello di lavorare per
costruire un programma in grado di essere credibile come alternativa ai
governi di questi anni. Non intendo rassegnarmi, ma se qualcuno pensa
che la piazza di oggi sia lo spazio a cui aderire a prescindere dal
programma terrebbe un comportamento poco intelligente. Se dovesse
scommettere dunque ad oggi la prospettiva delle due liste a sinistra è
la più probabile? Non voglio fare scommesse. Quel che mi interessa è
lavorare perché una prospettiva di alternativa al Pd abbia il massimo di
successo, ma per esserlo deve essere prima di tutto credibile. Non si
può imporre l’unità mettendo in secondo piano la credibilità di
politiche di sinistra che riportino a votare i milioni di persone che
oggi si astengono. Il 18 giugno con Anna Falcone e Tomaso Montanari
abbiamo iniziato un percorso che deve procedere, senza che questo renda
impossibile il confronto con Giuliano. La discriminante è il rapporto
col Pd? Il problema è sempre Renzi? Guardi, che il problema per noi non
sia Renzi è dimostrato dal fatto che noi eravamo all’opposizione anche
del governo Letta. Il problema sono le politiche portate avanti dal
Partito democratico in questi anni: Jobs act, Buona Scuola, bonus ai
ricchi. Con questo Partito democratico non c’è possibilità di intesa. In
piazza però c’erano anche molti esponenti del Pd a partire da Andrea
Orlando. Con lui un dialogo sarebbe possibile? Trovo incredibile che
Orlando possa essere considerato un interlocutore. Lo dovrebbe essere
solo perché ha sfidato Renzi alle ultime primarie? Non scherziamo: è
stato ministro anche con Letta, è l’autore di provvedimenti che poco
hanno a che fare con la sinistra. Io sono contrario ad una astratta
vocazione coalizionale: un alleanza si costruisce sul programma e il
programma deve essere totalmente diverso dalle politiche portate avanti
anche da Orlando. Pisapia e Bersani le obietterebbero che se non vi
allete fate il gioco della destra... Mi pare l’abbia detto bene anche
Leoluca Orlando dal palco: "Se la sinistra fa la destra, le persone
votano l’originale". Il problema è tornare a fare la sinistra, non
inseguire la destra. Solo così potremo vincere.