Il Fatto 1.7.17
“Sesso in sagrestia e molestie”: tutte le accuse al cardinale Pell
La polizia australiana ha aperto il fascicolo nel luglio 2016: deve rispondere di pedofilia e stupro
di Leonardo Coen
Fu
nel luglio del 2016 che la polizia australiana aprì un nuovo fascicolo
sul cardinale George Pell per abusi su minori. La delicatezza
dell’inchiesta e le implicazioni diplomatiche imposero prudenza e tatto:
i detective della speciale Task force Sano istituita dalla Royal
Commission into Institutional Responses to Child Sexual Abuse, la
commissione governativa creata nel 2012 che per quattro anni ha indagato
sui crimini di pedofilia commessi dal clero, sapevano che si sarebbero
scontrati con un muro di silenzi, di reticenze, di menzogne. Pell era il
numero 3 del Vaticano. E loro avevano come punto di partenza le denunce
di due uomini che alla fine degli anni Settanta erano stati allievi
nella scuola elementare di St. Alipius (con annesso presbiterio),
fondata a Ballarat nel 1905, al numero 85 di Victoria Street, a meno di
due chilometri dalla cattedrale St. Patrick. La parola del potente
cardinale, che si vantava d’essere il paladino della lotta contro la
pedofilia nella Chiesa e nella società, e le presunte verità di chi
invece dichiarava l’esatto contrario. Come se Pell fosse mr. Hyde e
anche il dottor Jekyll.
Quanto complesso e irto di difficoltà sia
stato il lavoro degli investigatori lo dimostrano le centinaia di pagine
dei verbali raccolti dalla Royal Commission quando è stata costretta ad
affrontare il potente cardinale per vicende legate ad abusi commessi
nel periodo in cui lui era responsabile della diocesi di Baccarat e di
Melbourne.
I lavori della commissione sono disponibili in
Internet. Più difficile, invece, è stato sollevare l’oscuro sipario di
segretezza che occultava remote vicende le cui radici affondavano in un
passato dai contorni resi opachi dall’usura del tempo e forse della
memoria. Un passato ignobile che Pell confuta “strenuamente”. Dovrà
smentire, per esempio, due supertestimoni che lo hanno chiamato in
causa, sebbene dopo quasi quarant’anni, si chiamano Lyndon Monument e
Damian Dignan: hanno depositato i loro esposti contro il cardinale Pell –
all’epoca dei fatti di cui l’accusano, Vicario Episcopale per
l’Educazione della diocesi di Ballarat – nel 2015, in luoghi e momenti
diversi. Rimproverano al cardinale di avere avuto dei gesti
“inappropriati” nei loro confronti quando si trovavano nella piscina
pubblica Eureka, durante l’estate 1978-1979, accusandolo di averli
palpeggiati “ripetutamente” nelle parti intime mentre facevano il bagno.
Lo scandalo è cavalcato dalla televisione ABC che intervista Lyndon
Monument, il quale non nasconde la sua (comprensibile) riluttanza nel
rivangare quelle molestie. Perché era rimasto in silenzio tutti questi
anni? “Perché sapevo che Pell era un uomo molto potente e questo mi
spaventava”. Dignan, che soffre di leucemia, aggiungeva un dettaglio
penoso: “Mi toccava soprattutto attorno all’ano”. Era così insistente,
quel prete, che decise di non andare più in piscina.
L’emittente
ABC, interpretando l’indignazione nazionale, rivela che i verbali contro
Pell sarebbero almeno otto. Uno dei testimoni asserisce che si sarebbe
mostrato nudo davanti a tre ragazzini che avevano tra gli 8 e i 10 anni,
mentre si trovavano nello spogliatoio di un club di surf della spiaggia
di Torquay, durante l’estate del 1986-1987. Così come ci sarebbe un
altro episodio, databile all’inizio degli anni Novanta, quando Pell era
già arcivescovo di Melbourne. Vittime due ragazzi del coro della
cattedrale: uno dei due è morto per overdose nel 2014. È la madre che
riporta una versione del fatto, “Pell abusò sessualmente dei due giovani
coristi della cattedrale di St. Patrick nella sacrestia, appena
terminata la messa, dopo che gli aveva fatto bere il vino della
consacrazione”.
Per tre volte il cardinale Pell è stato ascoltato
dalla polizia australiana e sempre si è difeso dichiarandosi totalmente
estraneo alle accuse, anzi, le ha rigettate con sdegno biblico (“sono
orribili, infamanti calunnie”), conclamando la sua innocenza, “sono
vittima di un complotto”, di una sistematica campagna denigratoria
orchestrata dai mezzi di comunicazione e dalla polizia, basata su
asserzioni da lui bollate come character assassination, cioè vero e
proprio linciaggio mediatico.
Del resto, gli era già capitato di
finire dentro i vortici di fango della centrifuga giudiziaria: successe
nel 2002, quando venne accusato di abusi sessuali su di un chierichetto,
negli anni in cui stava a Ballarat e a Melbourne. In quell’occasione
venne assolto. Poche settimane fa, il 14 maggio, è uscito in Australia
un saggio dall’inequivocabile titolo: Cardinal: the Rise and the Fall of
George Pell. L’ha scritto Louise Milligan, nota giornalista
investigativa del network ABC, origini irlandesi e grande fede
cattolica. Il libro riporta numerose testimonianze che alludono a nuove
accuse di abusi sessuali su minori da parte del cardinale.
Ma
ancor più grave è la tesi portante: ossia l’attività di grande
insabbiatore, perché secondo la Milligan, che ha basato il saggio sui
verbali e i documenti della Royal Commission, Pell sapeva quel che
succedeva realmente all’ombra delle parrocchie, degli oratori e dei
presbiteri, ma evitava di denunciarlo alle autorità civili. In fondo, il
fulcro dell’inchiesta governativa: nel caso di Pell, ci sono 57 case
study in cui gli inquirenti hanno cercato di capire il suo livello di
coinvolgimento, quale responsabile diocesano e vescovile. In questo
senso, il processo che vedrà alla sbarra Pell il 18 luglio – sempre che
si rechi in Australia, come promette – è altamente simbolico: perché ha
l’ambizione di mostrare che nessuno è al di sopra della legge, nemmeno
chi ha Dio al suo fianco.