giovedì 15 giugno 2017

Repubblica 15.6.17
Fan di Sanders spara sui repubblicani ferito un deputato In difficoltà per il Russiagate, il presidente e i suoi puntano a risalire nei consensi giocando sulle simpatie politiche dell’uomo che ha colpito ieri
“Ci detestano e questo è il risultato” Così la destra sfrutta l’aggressione
Federico Rampini


Può un attentato cambiare la storia di una presidenza? E’ successo in passato, quando però il bersaglio fu il presidente stesso: dall’assassinio di John Kennedy fino a Ronald Reagan che sopravvivendo al tiro di un cecchino ebbe un boom di popolarità. Ieri non c’era Donald Trump nel mirino, ma la destra spera che questa sparatoria “politica” metta in difficoltà l’opposizione democratica, e aiuti il presidente a uscire dalle sue gravi difficoltà.
Stavolta la violenza viene da un folle militante anti-Trump, un attivista che partecipò alla campagna elettorale di Bernie Sanders. Scatta subito il tentativo di ricavarne un vantaggio politico. Secondo un gioco prevedibile quanto cinico. Gioco nel quale nessuno è innocente: da anni ormai i morti o i feriti vengono usati senza pietà, da destra quando il terrorista è islamico, da sinistra quando è un suprematista bianco o un poliziotto razzista.
La commentatrice di destra Ann Coulter è la prima a sguainare su Twitter: «Ecco i fatti sullo sparatore. Bianco. Maschio. Armato. Di sinistra. Indovinate su cosa titoleranno i media progressisti, e quale dettaglio lasceranno ai margini?». Segue uno dei leader repubblicani più vicini a Trump, Newt Gingrich: «C’è un’escalation di ostilità a sinistra». Il tentativo è quello di mettere nello stesso mucchio l’attentato al deputato repubblicano Steve Scalise con le indagini sul Russia-gate o gli appelli all’impeachment: descrivendo tutti questi eventi come manifestazioni di una stessa ostilità preconcetta e radicale. La narrazione che si vorrebbe imporre è questa: la sinistra non indietreggia di fronte a nulla; mossa da un’avversione implacabile spinge a oltranza la delegittimazione politico-giudiziaria dell’avversario politico, fino a che qualche testa calda nei suoi ranghi cerca di passare alle vie di fatto.
Non è detto che il gioco del vittimismo sia efficace. La differenza col caso Reagan (attentato del 30 marzo 1981) è che allora le pallottole colpirono il presidente mentre stavolta sono stati feriti dei parlamentari della maggioranza repubblicana. Però il profilo biografico dell’attentatore mette a disagio la sinistra. Il sito Breitbart (già diretto da Steve Bannon, consigliere di Trump) sbeffeggia la capogruppo democratica alla Camera, Nancy Pelosi, per la sua «conversione di 180 gradi compiuta alla velocità della luce ». Si riferisce ad una dichiarazione della Pelosi che estende la sua solidarietà non solo alle vittime ma allo stesso presidente, adottando improvvisamente un tono di unità nazionale perfino un po’ eccessivo: «Prego per Donald Trump che la sua presidenza abbia successo e la sua famiglia sia al sicuro». (Nulla nella dinamica della sparatoria di ieri implicava un pericolo per il presidente stesso). Più sobrio Bernie Sanders, ha condannato così il gesto del suo simpatizzante: «Il vero cambiamento può accadere solo attraverso l’azione non violenta».
L’unico effetto politico che si può escludere a priori dopo questa vicenda, è la riapertura di un dibattito serio sulle armi. Nella dichiarazione di Trump l’elogio alla pronta reazione delle forze dell’ordine è in linea con l’antico riflesso pavloviano della destra e della National Rifle Association (Nra, lobby delle armi): per essere sicuri bisogna essere più armati, l’importante è che i “buoni” siano in grado di difendersi, e veloci nel rispondere al fuoco. Peraltro le recenti stragi avvenute in Europa ad opera di terroristi islamici hanno già rilanciato la tesi della destra armaiola negli Stati Uniti: i Paesi del Vecchio continente non sono affatto sicuri, pur avendo leggi più restrittive sul possesso di armi da parte dei cittadini onesti. In questa stagione politica non ci sono spazi per riaprire il discorso sulle armi, con una maggioranza repubblicana al Congresso che considera sacro il Secondo Emendamento. Anzi ha fatto scalpore che una celebrity televisiva come l’anchorwoman Megin Kelly abbia dato spazio all’aberrante tesi negazionista di chi dipinge la strage di venti bambini (scuola Sandy Hook nel Connecticut, 14 dicembre 2012) come un’invenzione e una montatura dei media di sinistra per limitare le vendite di armi.
Esclusa ogni riflessione critica su un tema tabù, resta da vedere che uso vorrà fare lo stesso Trump di questa tentata strage. Ieri il presidente è stato insolitamente… presidenziale, con una dichiarazione moderata, un appello all’unità nazionale. Ma è nei tweet mattutini che di solito si lascia andare. Di certo lui avrebbe bisogno di aggrapparsi a qualche evento imprevisto, per uscire dalla sindrome dell’accerchiamento. Da settimane la Casa Bianca fa notizia quasi esclusivamente per scandali e inchieste, e il suo livello di dis-approvazione è salito fino al 60%, un record storico.