lunedì 19 giugno 2017

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L’industria della vendita dei dati


Una cinquantina di euro e un indirizzo email. Questo è quanto ha fornito una giornalista dell’Atlantic per ricevere un rapporto su tutti i dati su di lei che potevano trovarsi su internet, le cosiddette tracce digitali. Il congresso Usa aveva appena varato la legge che facilita i provider internet nella raccolta e nella vendita dei dati personali degli utenti, come lo storico delle ricerche e l’uso delle applicazioni. Si è rivolta a un “negoziante di dati” una figura professionale che sapeva già che collaborava, a pagamento, con Facebook e alcune agenzie statali. «Mi aspettavo che leggere il rapporto sui miei dati sarebbe stato come guardarsi allo specchio», ha scritto in un articolo in cui racconta questa esperienza. «Invece era come se stessi guardando un ritratto espressionista di me stessa». Le informazioni contenute nel rapporto che ha ricevuto appena qualche ora dopo, infatti, erano per metà sbagliate o non aggiornate. I giornalisti cinesi del Nanfang DushiBao, hanno condotto un esperimento simile, ma è andato diversamente. Hanno pagato 111 euro e fornito il numero della carta di identità di un collega. In 24 ore hanno ricevuto le sue prenotazioni di hotel e aerei, la fedina penale, gli estratti conti e gli affitti pagati. Tutte informazioni corrette e comprate legalmente. In India l’Economic Times ha condotto un’indagine ancora più inquietante che ha intitolato: I tuoi dati personali costano meno di una gomma da masticare. Per poco più di 97 euro, il team investigativo della testata indiana ha comprato i dati di 170mila persone, una tabella ordinata per nomi, indirizzi e redditi. C’erano poi il numero di telefono e il tipo di carta di credito posseduta. Ma anche chi aveva ordinato su Amazon e eBay. Le verifiche a campione condotte sulla lista hanno rivelato che i dati di cui erano venuti in possesso erano tutti corretti. Secondo l’istituto globale di ricerca Aranca, l’industria della vendita di dati vale attualmente circa 200 miliardi.