La Stampa 16.6.17
Il rispetto che manca verso una legge di civiltà
di Vladimiro Zagrebelsky
Ciò
che stupisce e anche indigna è che in Senato si venga alle mani per
impedire la discussione di un progetto di legge che riguarda il
riconoscimento della cittadinanza italiana anche a qualcuno che non è
figlio di genitori italiani. Si chiama ius soli, ma come ora accade
spesso nelle nostre leggi, non vuol dire quel che significa. Infatti la
legge non prevede che si sia italiani, qualunque sia la nazionalità dei
genitori, per il solo fatto di nascere in territorio italiano. Né
l’opposto criterio dello ius sanguinis, che in linea di principio
collegherebbe la cittadinanza al legame di sangue con entrambi i
genitori italiani, è quello che regge la legge fino ad ora in vigore, la
quale conosce profonde attenuazioni della regola. Ma basta l’uso di due
parole come terra e sangue a scatenare gli istinti contro la ragione.
E, con gli istinti, i muscoli!
L’Italia è un Paese il cui
carattere e la cui ricchezza derivano da ondate di migrazioni e
dominazioni straniere, che hanno creato una popolazione italiana nei cui
geni, modi di vita e cultura non ci sono solo i romani, ma anche i
greci, gli arabi, i normanni, gli ebrei, i germani e tanti altri. Adesso
e nel prevedibile futuro l’Italia e l’Europa ricevono gran numero di
stranieri. Vi sono da un lato il rimescolamento tra europei, frutto
benefico della libertà di circolazione nell’Unione europea e dall’altro
il fenomeno storico del movimento di popolazioni sotto la spinta di
guerre e miseria nei territori di origine. Per quanto si possa
disciplinare quello che sta avvenendo, è illusorio pensare di
arrestarlo. Truffaldino, nella propaganda politica, far credere di
essere in grado di farlo. Triste pensare a una società omogenea (la
difesa della razza?), chiusa nel suo modo di vivere e priva di ciò che
gli altri portano.
Ma la prospettiva di chi si scalmana in
Parlamento e in piazza è proprio questa, sicura di trovar consensi nella
pancia del suo elettorato.
La legge che integra quella vigente,
ammette nuovi casi di acquisto della cittadinanza, che riguardano chi
nasce in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno abbia regolare
permesso di soggiorno permanente. In tal modo diventa decisivo il fatto
che il genitore risieda regolarmente e permanentemente in Italia. È poi
previsto che lo straniero, se è nato in Italia o vi ha fatto ingresso da
minorenne, acquista la cittadinanza se ha regolarmente frequentato in
Italia le scuole del sistema nazionale per un tempo diversificato a
seconda dell’età che egli aveva all’arrivo in Italia. L’articolazione
dei casi è equilibrata e mette l’Italia in linea con tendenze già
presenti in diversi Paesi europei in una materia che da tempo è
condizionata dalla sempre maggior mobilità delle persone. Soprattutto
essa tiene conto dell’intrinseca italianità di chi fin dalla nascita e
per la frequenza delle scuole italiane, cresce qui, nel contesto
italiano, insieme a giovani italiani. Si tratta di riconoscere la
cittadinanza sociale, accanto a quella di sangue o di luogo di nascita.
Come
ogni legge che regola materie complesse anche questa meriterebbe in
Parlamento un’attenta discussione, articolo per articolo, parola per
parola. Lo stesso va detto anche per le altre leggi sui diritti civili
da lungo tempo pendenti. Ma un’attenta discussione, tesa a eliminare
problemi applicativi, richiederebbe un atteggiamento rispettoso non solo
del Parlamento, che si continua a scrivere con la maiuscola, ma anche
delle persone cui la legge si rivolge. In questo caso la rissa
parlamentare propone lo scontro tra un generico «noi» e un generico
«loro». Imbarca sulla nave nazionale anche chi tra i «noi» non lo
meriterebbe e rifiuta chi tra i «loro» sente e vive ormai da italiano.
Ma per fortuna il sentimento maggioritario tra gli italiani non segue
questa strada nefasta. Non è un caso che il progetto di legge derivi
anche da un’iniziativa legislativa popolare.