La Stampa 12.6.17
Il flop dei grillini nei territori
“Non si può fare finta di nulla”
Da
Parma a Genova, i Cinque Stelle mancano il secondo turno Delusione tra i
parlamentari: “È l’effetto-Raggi”. Di Maio nel mirino
Ilario Lombardo
È
il paradosso del partito che vola nei sondaggi nazionali e crolla a
livello locale. La sintesi sul M5S è tutta qui. E in fondo, come sarebbe
andata a finire, l’aveva messa in musica lo stesso Beppe Grillo: «Tanto
non andiamo nemmeno ai ballottaggi…» cantava ironico e profetico il
comico, venerdì, al comizio conclusivo di queste amministrative a bassa
intensità. L’ultimo giro di blues è stato in piazza Matteotti, nella sua
Genova. Poca gente ad applaudirlo, ma in verità poca gente si è vista
in generale ai comizi di tutti in candidati.
Genova è uno dei due
simboli del flop del M5S, la città di Grillo, che agli amici in questi
mesi ha sempre confidato, un po’ scherzando un po’ no, di sperare di
perdere per non ritrovarsi le proteste sotto la villa di Sant’Ilario.
L’altro simbolo è Parma, dove il diseredato Federico Pizzarotti si è
preso la sua vendetta: il sindaco uscente, l’ex dissidente numero 1
guarda dalla vetta in giù disgregarsi quello che resta del M5S. Poi c’è
Palermo, il capoluogo perduto di una regione che resta ancora il sogno
segreto di questo 2017 per i 5 Stelle, il trampolino da cui lanciarsi
alla conquista del governo del Paese. La meta che sembrava così vicina
però è ancora lontana. Prima bisognerà raccogliere i cocci dei
territori.
Il quadro è limpido. Nelle grandi città il M5S non agguanta
il ballottaggio da nessuna parte. In alcuni casi non è nemmeno terzo o
quarto, inchiodato sotto il 10%. Neanche a Taranto, la città dell’Ilva,
dell’ambiente ammalato, i grillini hanno convinto i cittadini. A Genova e
a Palermo si è compiuto il suicidio perfetto: prologhi che erano già
epiloghi e che raccontavano il fallimento di un Movimento con pulsioni
autodistruttive, incapace di radicarsi con una classe dirigente locale,
preda di lotte tribali interne, tra candidati e capicorrente che si
combattono a colpi di veleni e dossier. Genova, dove la diaspora ha
prodotto tre candidati di matrice grillina, è stata la città del golpe
online, contro cui si sono infranti i sogni dei molti che credevano
nella democrazia diretta sul web: spazzata via dalla decisione di Grillo
di sostituire Marika Cassimatis, legittima vincitrice delle primarie
online, con Luca Pirondini, capace di raccogliere, secondo le prime
proiezioni, solo il 20% di consensi. A Palermo il calvario dello
scandalo firme false, di tre deputati di primo piano indagati e le faide
tra bande opposte, è culminato nel gioco autolesionistico degli audio
rubati per indebolire il candidato Ugo Forello, fermo al 16,8%. Lo
schiaffo più forte però arriva da Parma dove Pizzarotti, lasciando
Grillo e Casaleggio al loro destino, con un partito cucito sulla sua
amministrazione ha ridotto il M5S a numeri da cespuglio, tra il 3 e il
4%%.
Ai vertici, però, i 5 Stelle ostentano una certa tranquillità che
stona con la débâcle fotografata a urne chiuse. «Ce lo aspettavamo» si
ripetono al telefono Grillo e lo staff della Casaleggio. Già alle nove
di sera ai parlamentari arriva l’ordine di tacere e di evitare commenti.
Qualcuno però ha voglia di parlare e sotto anonimato dice «non si può
fare finta di nulla», che dopo «la figuraccia di Virginia Raggi, cosa
potevamo aspettarci?». Già: Roma è lì a ricordare impietosamente un anno
di caos amministrativo. E il dramma dei feriti di piazza San Carlo a
Torino, avvenuto pochi giorni fa, potrebbe non aver aiutato. Ma al di là
di un possibile effetto-Raggi, nella caccia al colpevole il deputato
dice di essere in buona compagnia quando afferma che «c’è qualcuno tra
noi che si atteggia a statista e aveva la responsabilità degli enti
locali». A Luigi Di Maio si riferiscono gli scontenti di oggi, a lui e
ai suoi fedelissimi Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, titolari di un
ruolo sui territori dove la ricetta pentastellata non ha attecchito. «I
comuni sono stati abbandonati dai 5 Stelle - commenta i dati Pizzarotti
- Per loro sono sempre meno importanti, perché hanno perso la filosofia
originaria dei meet-up e guardano solo alle percentuali nazionali».
In
questa distanza si misura il fallimento del M5S, si coglie la sua forza
di partito di opinione nazionale e si comprendono i motivi di tanta
insistenza sulla necessità di inserire il voto disgiunto nella legge
elettorale. È una questione di sopravvivenza per un movimento che era
stato creato attorno ai meet-up, motori di passionali campagne politiche
spesso nate su problemi locali, ma adesso ragiona solo pensando a
Palazzo Chigi.
ìÈ il paradosso del partito che vola nei sondaggi
nazionali e crolla a livello locale. La sintesi sul M5S è tutta qui. E
in fondo, come sarebbe andata a finire, l’aveva messa in musica lo
stesso Beppe Grillo: «Tanto non andiamo nemmeno ai ballottaggi…» cantava
ironico e profetico il comico, venerdì, al comizio conclusivo di queste
amministrative a bassa intensità. L’ultimo giro di blues è stato in
piazza Matteotti, nella sua Genova. Poca gente ad applaudirlo, ma in
verità poca gente si è vista in generale ai comizi di tutti in
candidati.
Genova è uno dei due simboli del flop del M5S, la città di
Grillo, che agli amici in questi mesi ha sempre confidato, un po’
scherzando un po’ no, di sperare di perdere per non ritrovarsi le
proteste sotto la villa di Sant’Ilario. L’altro simbolo è Parma, dove il
diseredato Federico Pizzarotti si è preso la sua vendetta: il sindaco
uscente, l’ex dissidente numero 1 guarda dalla vetta in giù disgregarsi
quello che resta del M5S. Poi c’è Palermo, il capoluogo perduto di una
regione che resta ancora il sogno segreto di questo 2017 per i 5 Stelle,
il trampolino da cui lanciarsi alla conquista del governo del Paese. La
meta che sembrava così vicina però è ancora lontana. Prima bisognerà
raccogliere i cocci dei territori.
Il quadro è limpido. Nelle grandi
città il M5S non agguanta il ballottaggio da nessuna parte. In alcuni
casi non è nemmeno terzo o quarto, inchiodato sotto il 10%. Neanche a
Taranto, la città dell’Ilva, dell’ambiente ammalato, i grillini hanno
convinto i cittadini. A Genova e a Palermo si è compiuto il suicidio
perfetto: prologhi che erano già epiloghi e che raccontavano il
fallimento di un Movimento con pulsioni autodistruttive, incapace di
radicarsi con una classe dirigente locale, preda di lotte tribali
interne, tra candidati e capicorrente che si combattono a colpi di
veleni e dossier. Genova, dove la diaspora ha prodotto tre candidati di
matrice grillina, è stata la città del golpe online, contro cui si sono
infranti i sogni dei molti che credevano nella democrazia diretta sul
web: spazzata via dalla decisione di Grillo di sostituire Marika
Cassimatis, legittima vincitrice delle primarie online, con Luca
Pirondini, capace di raccogliere, secondo le prime proiezioni, solo il
20% di consensi. A Palermo il calvario dello scandalo firme false, di
tre deputati di primo piano indagati e le faide tra bande opposte, è
culminato nel gioco autolesionistico degli audio rubati per indebolire
il candidato Ugo Forello, fermo al 16,8%. Lo schiaffo più forte però
arriva da Parma dove Pizzarotti, lasciando Grillo e Casaleggio al loro
destino, con un partito cucito sulla sua amministrazione ha ridotto il
M5S a numeri da cespuglio, tra il 3 e il 4%%.
Ai vertici, però, i 5
Stelle ostentano una certa tranquillità che stona con la débâcle
fotografata a urne chiuse. «Ce lo aspettavamo» si ripetono al telefono
Grillo e lo staff della Casaleggio. Già alle nove di sera ai
parlamentari arriva l’ordine di tacere e di evitare commenti. Qualcuno
però ha voglia di parlare e sotto anonimato dice «non si può fare finta
di nulla», che dopo «la figuraccia di Virginia Raggi, cosa potevamo
aspettarci?». Già: Roma è lì a ricordare impietosamente un anno di caos
amministrativo. E il dramma dei feriti di piazza San Carlo a Torino,
avvenuto pochi giorni fa, potrebbe non aver aiutato. Ma al di là di un
possibile effetto-Raggi, nella caccia al colpevole il deputato dice di
essere in buona compagnia quando afferma che «c’è qualcuno tra noi che
si atteggia a statista e aveva la responsabilità degli enti locali». A
Luigi Di Maio si riferiscono gli scontenti di oggi, a lui e ai suoi
fedelissimi Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, titolari di un ruolo
sui territori dove la ricetta pentastellata non ha attecchito. «I comuni
sono stati abbandonati dai 5 Stelle - commenta i dati Pizzarotti - Per
loro sono sempre meno importanti, perché hanno perso la filosofia
originaria dei meet-up e guardano solo alle percentuali nazionali».
In
questa distanza si misura il fallimento del M5S, si coglie la sua forza
di partito di opinione nazionale e si comprendono i motivi di tanta
insistenza sulla necessità di inserire il voto disgiunto nella legge
elettorale. È una questione di sopravvivenza per un movimento che era
stato creato attorno ai meet-up, motori di passionali campagne politiche
spesso nate su problemi locali, ma adesso ragiona solo pensando a
Palazzo Chigi.