Il Sole Domenica 11.6.17
Chiesa & vita
«Ardor, desir, amor» materia per teologi
L’esortazione
«Amoris laetitia» di Francesco ha generato una serie di studi sui temi
della persona, del corpo, e dell’amore sessuale
di Gianfranco Ravasi s.j.
«Un
medesimo ardor, un desir... / inclina e sforza l’uno e l’altro sesso / a
quel suave fin d’amor». Siamo nel IV canto dell’Orlando Furioso, quello
del volo di Ruggiero, innamorato di Angelica, sull’ippogrifo,
all’ottava 66, e Ariosto ci offre una suggestiva ricomposizione della
costellazione che regge l’innamoramento. Esso parte, sì, dall’«ardor»
istintuale della sessualità (e fin qui procediamo appaiati a tutti gli
esseri viventi) ma sboccia poi in «desir» che è sostanzialmente l’eros,
cioè la scoperta della bellezza dell’altro, è la passione, il
sentimento, l’emozione, la tenerezza, e qui ci attestiamo in un
territorio che è squisitamente umano. Ma la vera meta che la persona
riesce a raggiungere è sulla vetta, ove brilla l’amore, «quel suave fin
d’amor», come scrive il poeta emiliano.
Sull’esortazione
postsinodale Amoris laetitia di papa Francesco (19 marzo 2016)
l’attenzione prevalente dei lettori s’è inchiodata su quel capitolo VIII
e in particolare sulla nota 351, alla ricerca di una risposta alla
questione dell’ammissibilità all’eucaristia dei divorziati risposati. In
realtà, il testo papale è un grande affresco dell’amore nuziale, della
famiglia, della spiritualità coniugale con molte pagine che esaltano
appunto quella triplice ascensione capace di collocare all’apice
l’esperienza d’amore, «che persiste attraverso mille vicissitudini, come
il più bello dei miracoli, benché sia anche il più comune», come
annotava nel suo Journal François Mauriac. Naturalmente riguardo al
documento pontificio, ma soprattutto attorno al tema che lo regge, s’è
allargata una raggiera di pubblicazioni.
Noi ne vogliamo segnalare
una trilogia di taglio differente, capace però di ricomporsi in un
trittico dalle scene e dai colori variegati ma complementari. Iniziamo
dall’orizzonte più largo, proposto da uno dei nostri maggiori e più
raffinati teologi morali, Giannino Piana, che ha ricostruito fin dal
titolo un’altra terna che trascende e colloca al suo interno la sequenza
sesso-eros-amore (l’ariostesco «ardor-desir-amor»): persona, corpo,
natura. È una trattazione sintetica di alcuni temi spesso roventi nel
dibattito contemporaneo: si pensi solo al concetto di “natura” umana del
quale si indica, al termine di un lungo itinerario storico-ideale,
l’approdo a una prospettiva personalista, capace di reagire a visioni
riduttive solo fisiciste o essenzialiste. Per elaborare una simile
proposta sono necessarie, anzi, sono capitali le altre due categorie, il
corpo e la persona.
Da un lato, c’è la base della corporeità
umana che non può essere derubricata a mera biologia eticamente neutra
ma che è per eccellenza simbolo relazionale e razionale. D’altro canto,
si ha l’accesso terminale alla persona, “ultimo referente”, la cui
dignità genera automaticamente una serie di corollari molto delicati
come la sua manipolabilità, l’inserzione sociale, il coinvolgimento
nell’intrico delle cosiddette «questioni eticamente sensibili». Come è
evidente, lo scritto di Piana si rivela come una guida primaria per un
itinerario lungo strade che ogni giorno si diramano davanti ai passi
della nostra vita. Da questa mappa primordiale possiamo transitare senza
soluzione di continuità all’altro volume della nostra trilogia, un vero
e proprio “trattato” nel senso classico del termine ove il tractare,
cioè “impegnarsi in un’opera” precisa, acquista una connotazione
didattica.
Così un teologo, Maurizio Chiodi, e un filosofo,
Massimo Reichlin, delineano una Morale della vita, un’architettura
imponente eretta e “trattata” a quattro mani, proprio perché la bioetica
esige un duplice sguardo sia filosofico-etico, sia teologico-morale
secondo epistemologie non overlapping (per usare la celebre formula di
Stephen Gould), non sovrapponibili ma neppure antitetiche, distinte ma
non separate. L’imprescindibile diversità metodologica non conduce,
quindi, a una mera giustapposizione ma a un dialogo fecondo (gli autori
parlano di «approfondimento reciproco») all’interno di un perimetro
comune che è riassunto anche in questo caso in una terna lessicale:
nascere, morire, soffrire. E dato che non si parte mai da una tabula
rasa, cioè da una tavoletta o pagina senza iscrizioni (come suggerisce
la locuzione latina), la prima sezione dell’opera è dedicata alla
memoria, cioè alla storia della riflessione sul tema e alla relativa
eredità culturale. Là sfilano i grandi come Agostino e Tommaso, Cartesio
e Kant, Schopenhauer e Nietzsche, ma anche figure più vicine a noi come
Illich, Jonas, Habermas, Ellul e così via.
Altre figure
riappaiono nella seconda parte del trattato ove si presentano quei tre
crocevia – nascita, morte, dolore – che tutti affrontiamo e che
costituiscono la nostra carta d’identità comune. È proprio qui che
s’aggrovigliano tutti i nodi della bioetica. Per questo sono convocati
pensatori come Arendt e Ricoeur, Levinas e Rahner, naturalmente sotto
l’ombrello di una riflessione teorica complessa che cerca di coprire
soggetti etici la cui sola elencazione rende evidente la delicatezza e
urgenza: genetica, aborto, procreazione medicalmente assistita,
staminali, eutanasia, sperimentazione clinica, testamento biologico...
Un orizzonte sul quale Chiodi accende la lampada della Rivelazione
biblica e della teologia, mentre Reichlin rischiara questo orizzonte con
l’insonne interrogarsi della filosofia e con le sue diagnosi.
Giungiamo,
così, all’ultima tavola del nostro trittico che restringe l’arco di
visuale dall’antropologia generale a quel campo da cui siamo partiti con
Ariosto, cioè l’Amore sessuale, come recita il titolo di un altro
saggio-trattato, frutto della ricerca di un teologo ambrosiano, Aristide
Fumagalli, che abbiamo già ospitato su queste pagine per un suo
interessante studio sul gender. L’opera, piuttosto maestosa ma nitida
nella sua impostazione e nel dettato, si muove sostanzialmente lungo due
traiettorie indicate già nel sottotitolo «Fondamenti e criteri
teologico-morali». Il primo movimento rivela un’assidua frequentazione
delle biblioteche non solo esegetiche e teologiche, ma anche storiche,
filosofiche e psicologiche. Così, accanto a tutta la letteratura
religiosa che attorno a questo tema ha da sempre accumulato uno scrigno
di analisi – a partire dall’asserto biblico dell’“immagine” di Dio nel
“maschio e femmina”, cioè nella creatività genetica d’amore (Genesi
1,27) – si accostano i “fondamenti antropologici” che la sessuologia
scientifica, la simbologia, la psicologia hanno eretto o demolito.
D’altronde,
quelli della generazione che ha vissuto la “contestazione” degli anni
Sessanta e Settanta (Fumagalli ne è cronologicamente escluso, tant’è
vero che non lo cita) ricordano la battuta della Rivoluzione sessuale di
Wilhelm Reich – testo del 1936 allora imbracciato col “libretto rosso”
di Mao – secondo cui «l’ideologia sessuale è la più profondamente
ancorata di tutte le ideologie conservatrici». Ma Fumagalli su questi
fondamenti vasti e complessi si preoccupa di elevare una criteriologia
morale che tiri anche le fila della precedente carrellata storica lunga
più di 350 pagine. Ora ne bastano una cinquantina (forse troppo poche e
sintetiche) per spremere il succo di una concezione squisitamente
teologico-morale della sessualità umana. Come egli scrive ricorrendo a
una metafora vegetale, la morale sessuale può essere riassunta in un
quadrifoglio, le cui foglie possono crescere in forme diverse ma mai
disgiunte, pena l’avvizzimento: «vivere per l’altro/a, con tutti se
stessi, nel mondo ambiente, lungo la storia».
Giannino Piana, Persona, corpo, natura , Queriniana, Brescia, pagg. 228, € 15
Maurizio
Chiodi – Massimo Reichlin, Morale della vita. Bioetica in prospettiva
filosofica e teologica , Queriniana, Brescia, pagg. 438, € 31
Aristide Fumagalli, L’amore sessuale. Fondamenti e criteri teologico-morali , Queriniana, Brescia, pagg. 462, € 30