il manifesto 8.6.17
La Sanità non è per tutti: 12 milioni rinunciano alle cure
Rapporto
Censis-Rbm: le conseguenze dei tagli le pagano i cittadini. Boom della
spesa sanitaria privata: 35,2 miliardi di euro nel 2016. 7,8 milioni
hanno dovuto utilizzare tutti i propri risparmi o indebitarsi con
parenti, amici o con le banche
di Roberto Ciccarelli
Salari
e pensioni da fame, precarietà e lavoro povero spingono gli italiani a
rinunciare ai controlli sanitari, alle cure o a indebitarsi per
affrontare esami e operazioni talvolta vitali. Secondo il rapporto
Censis-Rbm Assicurazione Salute, presentato ieri al «Welfare Day 2017»,
nel 2016 dodici milioni di italiani hanno rinunciato, o rinviato, almeno
una prestazione sanitaria per ragioni economiche: 1,2 milioni in più
rispetto al 2015. Sono 7,8 milioni i cittadini che hanno usato i
risparmi o hanno contratto un debito con le banche o parenti per
affrontare una cura non rinviabile. Quasi 2 milioni sono entrati
nell’area della povertà.
I TAGLI e le «razionalizzazioni» della
spesa sanitaria avvenuti negli ultimi dieci anni, in coincidenza con le
politiche di austerità, hanno ridotto la copertura pubblica e aumentato
il ricorso alla sanità privata. Questo settore assorbe ormai 35,2
miliardi di euro con un aumento record del 4,2% rispetto al triennio
2013-2016. Per la Corte dei Conti l’Italia ha superato il record europeo
di riduzione del valore pro-capite della spesa sanitaria: 1,1% all’anno
rispetto al Pil in meno dal 2009 al 2015. In Francia tale spesa è
invece aumentata dello 0,8% all’anno, in Germania del 2%. La riduzione
della spesa sanitaria fa respirare le casse di tante regioni ed è stata
ottenuta a spese dei cittadini. I più danneggiati sono quelli del Sud e
in generale coloro che hanno redditi modesti. La spesa sanitaria privata
si abbatte maggiormente su chi ha meno, è più debole e vive in
territori dove le strutture sono fatiscenti o irraggiungibili.
SOLO
IL 20% della popolazione riesce a tutelarsi con una polizza sanitaria
integrativa perché è prevista dal contratto di lavoro o da un accordo
specifico con la propria azienda. Tutti gli altri devono pagare. Quando
hanno i soldi. Questa situazione spinge chi ne ha bisogno a fare ricorso
alla sanità privata. I tempi di attesa per le prestazioni si sono
allungati a dismisura e si preferisce pagarle a tariffa intera. Per una
mammografia si attendono in media 122 giorni, 60 in più rispetto al
2014, a Sud si arriva a 142 giorni. L’attesa media per una colonscopia è
di 93 giorni, sei in più rispetto al 2014. Per una risonanza magnetica
ci vogliono 80 giorni, a Sud 111. Per una visita ginecologica bisogna
attendere 47 giorni, 8 in più rispetto al 2014.
SONO NOVE le cure
più difficili da ottenere: tra queste ci sono le visite specialistiche,
l’acquisto dei farmaci e il pagamento dei ticket, accertamenti
diagnostici, le cure dentistiche, lenti e occhiali da vista, la
riabilitazione. A questo si aggiunge il precariato dei medici. Ieri
Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine dei medici di Milano ha
scritto una lettera all’assessore al Welfare della Regione Lombardia,
Giulio Gallera, per denunciare una «piaga» che contagia «anche le grandi
strutture». «Questi colleghi – scrive Rossi – hanno la prospettiva di
trovarsi a una certa età senza nessuna stabilità sociale ed economica,
in una condizione potenzialmente incompatibile con il mantenimento di un
minimo decoro professionale ed umano». Gallera ha risposto che il
precariato medico a Milano è sotto controllo e, rispetto ad altre
regioni, è inferiore.
TRA DIECI ANNI, a investimenti invariati e
in mancanza di una politica per la sanità pubblica, la situazione sarà
senz’altro peggiore. Il rapporto fa una previsione : al servizio
sanitario nazionale mancheranno dai 20 ai 30 miliardi di euro per
garantire il mantenimento degli attuali standard assistenziali. La
soluzione dei promotori del rapporto è la costruzione di un secondo
pilastro sanitario basato su polizze sanitarie integrative. Il
ragionamento è questo: visto che la sanità pubblica non funziona,
l’universalismo delle cure è di facciata e la crisi dei redditi è
devastante, non si punta a rifinanziare il sistema e renderlo più
giusto, ma a privatizzarlo con strumenti assicurativi.
«UN
SOSTEGNO AL REDDITO, come il reddito di cittadinanza \[in realtà un
reddito minimo, ndr\] può aiutare a uscire da questa situazione,
sostengono i Cinque Stelle. «La politica affronti l’emergenza sociale»
sostiene Fratoianni (Sinistra Italiana), «anche con un decreto per
recuperare ifondi mancanti» aggiunge Scotto (Mdp). Ma è tardi, ora si
aspettano le elezioni e leggi elettorali. Poi si vedrà. Forse.