il manifesto 6.6.17
Sicurezza, May nell’angolo e Corbyn cavalca la protesta
Gran
Bretagna. Dopo gli attacchi riprende la campagna elettorale. Il leader
laburista chiede le dimissioni della premier, troppi tagli alle forze
dell’ordine. Si vota giovedì
di Leonardo Clausi
LONDRA
Due volte interrotta e per due volte ricominciata dopo l’immane
efferatezza degli attacchi a Manchester e Londra, la più importante e
tumultuosa campagna elettorale in Gran Bretagna dal 1945 è a meno di due
giorni dalle urne. Si vota questo giovedì, 8 giugno.
Nell’atmosfera
grave dopo il trauma ieri Theresa May ha tenuto una conferenza stampa
nella capitale, per poi proseguire nel tour elettorale in Scozia e nello
Yorkshire. Jeremy Corbyn, che ne ha chiesto le dimissioni, ha passato
la giornata in vari appuntamenti nel nord-est dell’Inghilterra.
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OPTANDO
DOMENICA per un’indignazione tanto fiera quanto vaga – «Il troppo è
troppo», aveva detto nella prima uscita dopo la strage – la premier ha
avuto un classico riflesso pavloviano in puro stile Tory, sempre pronti a
stigmatizzare e ad aumentare la repressione ogni qualvolta si trovino
di fronte a un problema di dissenso o di ordine pubblico, pur di
allontanare il sospetto che questo orrendo caos sia il raccolto seminato
dalla loro politica estera. Ha tuonato contro i social media che fanno
da veicolo indisturbato al materiale propagandistico dei jihadisti e
insistito che il budget della polizia è protetto. Ma si è rifiutata di
ammettere che aver tagliato 20mila poliziotti da Home Secretary abbia
avuto nefaste ricadute sull’efficacia della polizia. In effetti la
situazione è per lei quanto mai scivolosa: a rispondere meglio
all’emergenza sono stati proprio quei settori del pubblico, sanità e
polizia, più colpiti dall’austerità di marca conservatrice. Anche la
comunità islamica ha risposto positivamente, denunciando i sospetti.
Le
denunce hanno funzionato, le indagini no. Nelle parole di uno dei
delatori: «Io ho fatto il mio piccolo, le autorità non hanno fatto il
loro».
E May, che ha tiepidamente elogiato il sindaco di Londra
Sadiq Khan per la sua condotta durante e dopo l’eccidio ma non lo ha
difeso dai cinguettii inebriati di Donald Trump (che vorrebbe forse che
Khan apostatasse l’Islam in mondovisione), si trova ora in chiara
difficoltà.
ORMAI È INELUDIBILE: la questione sicurezza,
marginalizzata inizialmente dalla strategia dei tories per far spazio
alla Brexit, ha gettato la sua cupa ombra sul governo, costringendo
all’angolo una premier tallonata da dubbi e critiche sul suo operato da
ministro dell’interno.
Quasi dieci anni di ritornelli sul «fare
meglio con meno» con cui i tories hanno giustificato l’assalto allo
stato sociale si ritorcono loro contro. Nel frattempo tutto ciò ha
trasformato la mansuetudine di Corbyn, in risalita nei sondaggi,
nell’opportunismo-killer del politico classico. Per questo,
approfittando anche delle critiche di Steve Hilton, un ex-aiuto di David
Cameron, in una faida interna ai conservatori, Corbyn ha invocato le
dimissioni di May.
LA DETERMINAZIONE a sfruttare politicamente
l’attacco – segno inequivocabile di una cesura fra il Corbyn di lotta e
quello di governo – s’era prefigurata già ieri, quando il leader Labour
aveva gettato fuoribordo tutto il suo passato antimilitarista e
antiautoritario per una inversione radicale sulla sicurezza. Unendosi al
leader Libdem, Tim Farron, Corbyn ha rincarato gli attacchi al governo,
che condanna l’estremismo mentre intesse un fitto commercio di armi e
capitali con il maggiore esportatore del radicalismo wahabita, la
liberale Arabia Saudita. Ben consapevole che la polizia aveva scaricato
addosso agli attentatori 50 colpi d’arma da fuoco – un inedito assoluto
in strade orgogliose di avere poliziotti disarmati – Corbyn ha detto che
bisogna usare «ogni forza necessaria» contro il terrore: una chiara
risposta a chi lo accusa di essere un ex-fricchettone vegetariano
smidollato e non il primo ministro sagace e austero degno di tanto
Paese. In questo May ha avuto facile replica, ricordando quante volte
l’allora imprevedibile futuro leader avesse votato contro le leggi
antiterrorismo, rincarando per scrupolo con le ben oliate invettive di
amico dell’Ira e nemico della Patria.
È uno strano cambio di ruolo
nel nome della policy contro la politics: i tories paladini della
polizia la depotenziano, dando al pacifista e antiautoritario Corbyn
l’abbrivio per presentarsi come difensore di legge e ordine. E l’esito
della corsa appare imperscrutabile.