il manifesto 1.6.17
Il raggiro sui nuovi voucher passa alla Camera con un voto di fiducia
Precarietà.
Non votano gli scissionisti Mdp e i centristi dell'Udc. Laforgia (Mdp):
«Siamo responsabili ma non vogliamo essere corresponsabili». Al Senato
gli alfaniani potrebbero votare contro per rappresaglia contro Renzi
dopo la rottura sulla nuova legge elettorale
di Andrea Colombo
La
fiducia posta dal governo sulla manovra correttiva imposta dall’Europa,
3,1 miliardi di euro pari allo 0,2% del Pil, passa alla Camera con 315
sì, 142 voti contrari e 5 astensioni. Ci sono però due buchi che, se si
allargassero, potrebbero diventare voragini al Senato, dove il voto è
atteso tra un paio di settimane. Non hanno votato infatti la fiducia,
per motivi diversi, gli scissionisti dell’Mdp ma anche i centristi
dell’Udc.
Mdp ha scelto di non votare per protesta contro il
reinserimento dei voucher, una truffa che non solo reintroduce quello
che negli ultimi anni è stato il principale veicolo per il dilagare del
precariato ma viola palesemente l’articolo 75 della Costituzione che
regola i referendum. Il gioco delle tre carte è stato sfrontato: prima
la cancellazione dei voucher per evitare il referendum, poi il loro
ripristino, oltretutto tramite emendamento presentato da una ex
dirigente Cgil come Titti Di Salvo. La stessa fomulazione del testo,
peraltro, è truffaldina. Ufficialmente ci sono paletti che dovrebbero
almeno limitare l’abuso dei buoni-lavoro, però piazzati in modo tale da
permettere ai datori di lavoro di aggirarli quasi a piacimento. «Siamo
responsabili ma non vogliamo essere corresponsabili», ha spiegato il
capogruppo Mdp Laforgia aggiungendo che se la ferita non verrà sanata al
Senato la fiducia verrà negata anche lì. Durissime anche le critiche
rivolte alla ministra per i Rapporti per il Parlamento Anna Finocchiaro,
che in un articolo pubblicato ieri dal Sole 24 Ore aveva negato che
l’emendamento approvato costituisca una resurrezione dei voucher: «È un
insulto ai lavoratori italiani. È gravissimo che la ministra finga di
non riconoscere la ferita democratica che si sta aprendo nel Paese»,
dice la senatrice Ricchiuti. La Cgil si sta muovendo su due piani: la
grande manifestazione nazionale del 17 giugno a Roma ma anche il ricorso
alla Corte costituzionale. Il problema è che, se anche confermerà
l’incostituzionalità del raggiro, la sentenza arriverà con immenso
ritardo.
Dal punto di vista politico la decisione dell’Mdp
dimostra in realtà che il partito di Bersani non intende offrire alibi
per anticipare ulteriormente le elezioni facendo saltare la legge
elettorale. Alla Camera la manovra sarebbe passata certamente anche col
voto contrario dell’Mdp. Si sarebbe però inevitabilmente posto un enorme
problema politico: se un partito della maggioranza sfiducia il governo
pone infatti automaticamente le basi per la crisi. Al Senato le cose
sono però diverse. Anche a palazzo Madama Mdp eviterà il voto contro la
fiducia abbandonando l’aula. Lì, però, quei voti almeno sulla carta sono
necessari. La maggioranza dispone di 172 voti e senza i 15 degli
scissionisti finirebbe sotto la soglia dei 161 voti. Pura teoria. Forza
Italia ha votato ieri contro la fiducia ma se sarà necessario non
esiterà a far uscire i propri senatori per assicurare la fiducia,
riproponendo quel soccorso azzurro già visto nella commissione Bilancio
di Montecitorio, dove l’emendamento sui voucher è passato proprio grazie
al voto a favore di Fi e della Lega.
La situazione potrebbe però
diventare più rischiosa se all’Mdp si aggiungessero i centristi, come
rappresaglia per il rifiuto di Renzi di abbassare la soglia di
sbarramento nella legge elettorale. Ieri anche l’Udc ha scelto di non
votare la fiducia, per la prima volta in questa legislatura. Paola
Binetti ha motivato la decisione con i contenuti della manovra, che non
mettono al centro esigenze reali, come il sostegno alle aree
terremotate, ma «cose che rispondono a logiche di lobbies». Però ha
anche detto chiaramente che «è difficile dare la fiducia a un governo
che ha innestato un processo accelerato verso il proprio dissolvimento
senza tenere in nessun conto le esigenze degli italiani».
L’Ncd ha
invece votato ieri la fiducia e Alfano non ha mai minacciato
apertamente di farla mancare, neppure nei momenti più tesi dello scontro
sulla legge elettorale. Ma una decisione vera sarà presa solo il primo
giugno dalla direzione e in ogni caso ormai la presa di Alfano sui suoi è
almeno malcerta. Se anche l’Ncd decidesse di seguire al Senato
l’esempio dell’Udc il soccorso di Forza Italia potrebbe non bastare.