sabato 17 giugno 2017

il manifesto 17.6.17
La piazza dei nostri laburisti
di Norma Rangeri

Oggi in piazza San Giovanni ci saranno i dimenticati in carne e ossa, italiani e immigrati, lavoratori condannati alla precarietà, disoccupati, giovani che un lavoro non lo hanno mai visto. Sono una parte del nostro mondo, le loro battaglie fanno parte delle nostre radici.
Nello sfascio generale dei partiti, la Cgil resta un’organizzazione con una storia, un seguito di massa e un programma alternativo disegnato con il nuovo statuto dei diritti dei lavori insieme alle proposte di un’altra politica economica contro la crisi. Ieri impegnata nel referendum in difesa della Costituzione, oggi la Cgil è all’attacco sull’ultima vergogna del governo Renzi-Gentiloni che prima ha gambizzato il referendum contro i voucher, poi ha inserito la nuova normativa nel pacchetto della manovrina economica imposta con la novantreesima fiducia.
Se quel referendum fosse stato celebrato, gli italiani non si sarebbero astenuti e sarebbe stato un voto sulle condizioni sociali del lavoro, un voto tutto politico.
Susanna Camusso e Maurizio Landini, i leader sindacali di piazza San Giovanni, potrebbero ben essere i volti del partito laburista italiano.
I due sindacalisti hanno nulla da invidiare ai Corbyn, ai Sanders, agli Igliesias, agli Tsipras. Sarebbero le persone giuste al posto giusto per un partito con la testa a una nuova programmazione economica europea e con il cuore tra le periferie sociali che nessuno ascolta più, salvo mettersi sui giornali a interpretarle dopo i risultati elettorali.
Piazze come quella di oggi riassumono le idee, nonostante la crisi abbia coinvolto tutti, Cgil compresa, di una forza di lotta e di governo, come tutta la variopinta galassia che si muove a sinistra del Pd ripete ogni giorno di voler diventare.
E, a proposito del Pd, non sarà secondario osservare che il suo segretario, con il jobs act e i voucher, a piazza San Giovanni non sarebbe bene accolto. Lui sta su un altro pianeta, esprime una cultura del lavoro e dell’impresa che con la sinistra non si intende.
La piazza e la leadership piddina rappresentano due mondi diversi.
E non è ben chiaro come potrebbero, questi due mondi, ritrovarsi domani alleati in un centrosinistra di governo. Prima di arrampicarsi sugli specchi delle future alleanze, bisognerebbe rispondere a questa semplice domanda: che partito di sinistra è quello che vedrebbe oggi espulso dalla piazza del lavoro il suo leader?
Un’altra visione del lavoro e in sostanza dell’identità politica di un partito che vive di illusioni ottiche.
Andrebbe smontata, per esempio, quella che mostra in bella evidenza le battaglie per i diritti civili come il necessario e sufficiente marchio di fabbrica di una moderna sinistra doc. Necessario non c’è dubbio, ma non sufficiente.
Si può essere liberali, di destra e a favore dei diritti civili, viceversa non si può essere liberali o di destra e battersi per i diritti che i lavoratori portano oggi in piazza.
A cominciare dal ripristino dell’articolo 18, sostituito con il marketing politico del contratto a tutele crescenti. Quanti sinceri liberal democratici di destra sono per l’articolo 18? E quanti sono contro la vergogna dei voucher e di tutti gli altri strumenti di flessibilità che schiacciano il lavoratore al rango di merce sul mercato?
Destra e sinistra esistono ancora, basta volerle vedere.
Per questo oggi il Pd di Renzi, paladino dei diritti civili (ma sempre con moderazione: unioni civili sì ma stepchild-adoption no; ius soli sì ma temperato…) e inflessibile avversario dei diritti del lavoro, è un partito che ha cambiato la sua natura.
Per questo sembra fantascienza solo immaginare la sua presenza tra i lavoratori di piazza San Giovanni.
Paradossale ma non troppo, la storica piazza romana, viceversa, accoglierebbe benvolentieri papa Francesco, specialmente dopo il suo discorso all’Ilva di Genova. Dove il papa ha espresso un pensiero avanzato sul lavoro ma non solo. Il suo giudizio sulla bandiera renziana del “merito” è una lucida analisi sulla mistificazione di chi la sventola come principio di uguaglianza quando è vero che il “merito”, al contrario, esclude i più svantaggiati, colpevolizza chi viene respinto perché emarginato da ogni competizione che non ristabilisca l’uguaglianza dei punti di partenza.
In una società diseguale come la nostra, un pensiero di sinistra, una forza di sinistra non può che lottare contro una politica che regala diseguaglianze (mai viste così profonde nel secolo scorso nei paesi europei), come fossero eventi naturali e non frutti avvelenati di un’economia capitalistica globale, brutale e arida che desertifica le nostre società come la siccità che sta desertificando il pianeta.