mercoledì 14 giugno 2017

Il Fatto 14.6.17
Roma, lo psico-congresso Pd: 4 candidati renziani
Dopo 30 mesi di Orfini commissario, la parola torna agli iscritti: il candidato ufficiale del capo è Andrea Casu
di Gianluca Roselli


Quattro candidati “renziani” l’uno contro l’altro armati. Questo è il risultato della grottesca sceneggiatura del congresso romano del Pd, in programma domenica 25 giugno. Una trama degna dei fratelli Coen che ha visto candidati cadere come birilli sotto il tiro di veti incrociati che hanno reso la corsa a segretario cittadino più difficile di un jackpot milionario.
L’ultimo a farne le spese è stato Daniele Torquati, presidente del XV municipio (Cassia-Flaminia, strappato nel 2013 alla destra dopo decenni), la cui candidatura è stata ostacolata da un veto di Roberto Giachetti. Lui stesso, a poche ore dalla presentazione delle liste, s’è fatto da parte. Altro birillo caduto nelle ultime ore è Silvia Scozzese, commissario al debito storico del Comune, proposta da Angelo Rughetti e dallo stesso Giachetti, colpita pure lei dal tiro incrociato tra renziani. E Mariano Angelucci, vicino a Gasbarra e Fioroni, affondato subito. Il 67% preso a Roma da Renzi alle primarie nazionali aveva fatto sperare in un candidato unitario della maggioranza, ma così non è stato.
Le premesse, naturalmente, erano pessime: al congresso cittadino si arriva dopo l’harakiri della giunta Marino, la sconfitta coi 5Stelle e il partito commissariato da 30 mesi. Un periodo segnato da accuse violente e litigi continui tra il commissario Matteo Orfini e i dirigenti locali. Sotto il Cupolone, poi, “renziani” non significa nulla, sono le sottocategorie a contare: turborenziani, renziani low profile, orfiniani, franceschiniani, popolari, ex veltroniani. Ognuno ha cercato di spingere un nome e di ostacolare gli altri. Risultato: lo stesso Renzi ha dovuto sbrogliare la matassa candidando, in sua rappresentanza, Andrea Casu, 30enne vicino a Luciano Nobili (turborenziano), che pare abbia declinato la candidatura per ambizioni più alte: vuole entrare in Parlamento. Gli altri candidati sono Valeria Baglio, anch’essa renziana ma più vicina agli ex veltroniani di Roberto Morassut; Andrea Santoro, che alle primarie ha votato per Renzi ma intorno a sé ha pezzi di minoranza (Walter Tocci, Estella Marino, Marta Leonori); Livio Ricciardelli, consigliere del I Municipio, l’unico outsider, renziano senza correnti.
Sul candidato espressione della maggioranza i turborenziani si sono subito incartati. Dopo il divieto di presentarsi ai parlamentari (tipo Giachetti o Madia) e altri rifiuti importanti (come quello della capogruppo in Campidoglio nonché moglie di Dario Franceschini, Michela De Biase, anch’essa con ambizioni parlamentari), la situazione si era parecchio ingarbugliata. A quel punto, la partita è stata risolta dal duo Lotti-Guerini e si è giunti al nome di Casu. Il tutto sotto gli occhi di un Orfini che non sembra aver risolto nemmeno uno degli atavici problemi del Pd capitolino. “Sono sempre stato critico con Orfini e gli eventi mi danno ragione. Correnti e sottocorrenti ce ne sono come prima, con la differenza che in passato facevano riferimento ai leader nazionali, oggi sono nominali: ognuno ha la sua”, osserva l’ex segretario Marco Miccoli.
Naturalmente non poteva mancare la polemica sulle firme. Ogni candidato ne doveva raccogliere 400 in almeno 6 municipi. Qualcuno si è chiesto come ha fatto Casu a riuscirci, visto che il suo nome è spuntato all’ultimo, con poche ore a disposizione. Il sospetto, secondo alcuni dem, è che qualcuno abbia raccolto firme su moduli “in bianco”, senza il nome del candidato.