Corriere 2.6.17
Si inceppano la riforma e la corsa alle elezioni
di Massimo Franco
L’accordo
scricchiola. Un Movimento 5 Stelle imbarazzato dal patto di fatto con
Pd e Forza Italia sulla riforma elettorale e sul voto anticipato, adesso
sostiene che l’intesa «non è scontata». Lo stesso Matteo Renzi non
sarebbe più così sicuro che l’asse per le elezioni regga. E soprattutto,
nel testo si scoprono crepe costituzionali impreviste. Lo scontro tra
il segretario del Pd e l’alleato Angelino Alfano sprigiona veleni. Il
ministro degli Esteri conferma la rivelazione di un dirigente del
partito, secondo il quale Renzi voleva far cadere Paolo Gentiloni già a
febbraio; e che era pronto a concessioni ai centristi sul sistema di
voto purché aprissero la crisi.
Ieri l’intera segreteria dem è
stata costretta a schierarsi per giurare lealtà al premier. È
comprensibile. L’episodio espone Renzi al sospetto di avere tramato
contro Palazzo Chigi; e di avere accelerato sulla riforma per arrivare
alle urne. Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, probabile
candidato del M5S a premier, ora parla del leader dem come di un
«eversore» e di un «pericolo per la democrazia». È una durezza
singolare. Viene il sospetto che nasca dall’esigenza di velare il
compromesso stipulato da Beppe Grillo con Renzi e Silvio Berlusconi.
Tra
l’altro, non si capisce se la riforma scritta dal vertice del Pd,
tenendo fuori il governo, sia davvero così pasticciata. I parlamentari
di Grillo ne hanno preso coscienza con ritardo sospetto. Ancora ieri
mattina Danilo Toninelli assicurava: «Non ci sono dubbi che si tratti di
una riforma costituzionale. Ci sono ovviamente migliorie da fare...».
Il problema è che la fretta di arrivare in aula entro il 5, ora il 6
giugno, e di votarla al Senato entro inizio luglio, non favorisce la
chiarezza. Ma gli aspetti tecnici si sommano a questioni squisitamente
politiche.
L’attacco ruvido e irridente di Renzi e dei suoi a
Alfano, dopo la decisione di mettere la soglia di sbarramento al 5 per
cento, non poteva non avere effetti. E quelli che si stanno producendo
inducono i Cinque Stelle a prendere le distanze da un accordo che
privilegerebbe di nuovo un Parlamento di «nominati» dai leader. Gli
scissionisti di Mdp martellano su «Renzi, Berlusconi e Grillo che fanno
finta di litigare su tutto ma poi decidono nel chiuso di una stanza».
Accusa insidiosa, almeno per un movimento che esalta la democrazia
diretta e «dal basso».
È possibile che si recuperi un accordo e si
arrivi comunque a un testo condiviso. Ma certo, il nervosismo e le
tensioni offrono al Capo dello Stato, Sergio Mattarella, uno sfondo
diverso da quello di appena poche ore fa. Prima c’era più o meno l’80
per cento delle forze presenti in Parlamento concordi nel volere un
sistema proporzionale e decise a chiedere, come passo successivo,
elezioni in autunno. Ora, lo schieramento sembra assottigliarsi. Può
darsi si tratti di una battuta d’arresto. Ma non si può escludere che
l’intesa si complichi: e dunque anche la corsa un po’ scomposta al voto
anticipato.