Corriere 1.6.17
E Berlusconi con il Pd non esclude anche un accordo di governo
di Marco Galluzzo
Le strategie del leader di FI che punta al 20%. La distanza sempre più forte dalla Lega
ROMA
Dietro la grande accelerazione verso il voto, con un sistema elettorale
diverso, c’è anche il lavoro che gli emissari di Renzi e di Berlusconi
hanno compiuto in queste settimane. Ad Arcore addirittura parlano di
accordo «sia di governo che di programma», dove con la prima parola si
indicano proporzioni, ovviamente flessibili, di dicasteri da assegnare
ora al Partito democratico ora al partito dell’ex Cavaliere, e con la
seconda si fa capire che anche sull’agenda di un governo di larghe
intese gli abboccamenti sono in fase avanzata, in primo luogo su una
forte spinta alla riduzione della pressione fiscale.
Berlusconi in
pubblico ovviamente sta un passo indietro, dice che «l’accordo sulle
regole fra le principali forze politiche non prefigura alcun accordo
politico per la prossima legislatura, nessuna grande coalizione, ma solo
la corretta condivisione delle regole elettorali». Eppure sia Nicolò
Ghedini che Gianni Letta, negli ultimi giorni, hanno avuto e continuano
avere non pochi contatti operativi con i fedelissimi di Renzi: per
parlare di legge elettorale, certo, ma anche degli accordi di cui sopra.
Se
millanti o meno è impossibile dirlo ma l’ex Cavaliere con qualche
esponente del suo partito si è detto disponibile per alcuni ministeri da
assegnare, e poco importa che i numeri al momento, sia del Pd che di
Forza Italia, non autorizzano conclusioni univoche. Dalle parti di
Arcore sono convinti che una campagna elettorale di Berlusconi può
valere 8 punti percentuali, e che il partito degli azzurri dunque, che
oggi viaggia sul 15%, sia proiettato almeno verso il 20%.
Auspici,
o meglio calcoli, ai quali di solito l’ex premier è stato sempre molto
attento, e che in questo caso confliggono con i conti di Salvini e della
Lega. I rapporti fra Berlusconi e il leader del Carroccio sono ai
minimi storici, i due non si parlano da due mesi, e ancora ieri il
secondo ha chiesto al primo «un chiarimento», assicurando che la sua
Lega «non andrà mai con la sinistra. Altri invece tengono i piedi in sei
scarpe, pronti all’inciucio...».
Facile a questo punto immaginare
la campagna elettorale: fra pochi giorni a Genova si vota per il
rinnovo del sindaco e nello staff dell’ex Cavaliere raccontano che segue
in modo distratto la vicenda, quasi sperando che l’alleanza fra Lega e
Forza Italia, in questo caso, in Liguria, suggellata da Giovanni Toti,
incontri una sorta di stop definitivo.
Berlusconi infatti è
convinto che il centrodestra italiano è arrivato in qualche modo al
capolinea, «se è, non può che essere populista, cosa che non ci
appartiene». E dunque meglio Renzi, che sarà anche «poco affidabile, ma
almeno ha il merito di aver ucciso i comunisti che aveva in casa». E se
la sentenza di Strasburgo ora non è più attesa con la stessa impazienza
di prima (con il voto in autunno Berlusconi non ha più come primo
obiettivo una riabilitazione politica), di sicuro restano i paletti
dell’accordo sulle norme elettorali col Pd: «Sbarramento al 5%, liste
proporzionali di lunghezza adeguata, metodo proporzionale di
attribuzione dei seggi, su base nazionale, analogo a quello utilizzato
in Germania, escludendo qualsiasi ipotesi di voto di preferenza».