Corriere 19.6.17
«Il Papa da Don Milani è un bel segno Non era un marxista, ma un prete vero»
di Gian Guido Vecchi
CITTÀ
DEL VATICANO «Salii da Firenze con un compagno di seminario, su una
Lambretta. Andare a trovare Don Milani a Barbiana era proibito. Appena
ci ha visti, per prima cosa ha chiesto: “Voi due, avete il permesso del
rettore?”. E noi: no. Aveva uno sguardo che ti inchiodava. “Male”, ci
fa. “Già solo per questo vi sbatterei fuori, perché siete
disobbedienti!”». Il cardinale Gualtiero Bassetti sorride, «era fatto
così, ti aggrediva per metterti alla prova, “L’ho sempre detto, io, che
sarei l’unico a poter fare l’educatore in seminario!”, ma poi ci fece
entrare…».
I tempi cambiano. Il giovane seminarista di allora è
appena stato scelto dal Papa come presidente della Conferenza episcopale
italiana. E domattina Francesco andrà a Barbiana e prima ancora a
Bozzolo, nel Mantovano, per pregare sulle tombe di don Lorenzo Milani e
don Primo Mazzolari, ovvero il prete trentunenne che nel ’54 fu mandato
in esilio ecclesiastico nel Mugello e il parroco che ad ogni libro
veniva messo all’indice dal Sant’Uffizio.
Che cosa significa per la Chiesa italiana, eminenza?
«È
un segno molto bello. Il Papa parla anche attraverso i segni. E vuole
indicare ai sacerdoti e ai vescovi di oggi due modelli di “Chiesa in
uscita”, due pastori che “hanno l’odore delle pecore”, capaci di
cogliere i segni dei tempi e sempre dalla parte dei dimenticati, degli
ultimi. Le più belle pagine della Chiesa sono state scritte da anime
inquiete, diceva don Mazzolari. Vale anche per don Lorenzo. Erano
diversi ma entrambi profetici, lontani dalle etichette cui si tenta
talvolta di ridurli».
Quali etichette?
«A don Milani, per
esempio, hanno cucito addosso dei vestiti che non erano suoi. È una
personalità complessa, difficile da afferrare perché aveva un pensiero
fermo nei principi ma in costante evoluzione. L’hanno definito ribelle,
disobbediente alla sua Chiesa, il prete rosso. Ma lui, come don
Mazzolari, è sempre stato fedele alla sua Chiesa, anche nei momenti più
difficili. Ed era temuto non solo dai conservatori. Ricordo che una
volta disse: il vescovo mi proibisce di parlare alla casa del popolo di
Vicchio e io obbedisco, ma faccio un piacere ai comunisti».
E perché?
«Perché
parlava chiaro, e non era tenero con nessuna parte. La verità era
quella e la diceva. Già nelle esperienze pastorali, del ’54, accusava i
comunisti di tradimento nei confronti dei poveri: nelle case del popolo
date giochi e valigette borghesi! Li invitava a trasformarle in scuole,
piuttosto».
Per quale ragione fu esiliato a Barbiana?
«
Talvolta è destino dei profeti il non essere compresi. Dava fastidio la
sua scelta radicale per i poveri, la scuola, il suo lottare contro le
ingiustizie. Ragazzi sfruttati, in fabbrica per sedici ore con salari
minimi. Aveva capito che i ricchi possono scegliere quello che vogliono
ma per i poveri c’è solo un destino bieco. E il Vangelo lo portava a
stare dalla parte degli ultimi, i dimenticati, non perché fosse un
sociologo né tantomeno un marxista, ma perché era un prete. Tanti fanno
confusione: poteva arrivare a conclusioni simili, ma diverse erano le
premesse. Penso alla tonaca...».
La tonaca?
«Quando Paolo VI
autorizzò il clero a indossare il clergyman , credo sia stato l’unico
della nostra diocesi che rimase in tonaca. Forse aveva letto Bernanos,
il curato di campagna che dice: porto una veste da beccamorto, ma
annuncio il Risorto. Un prete fino in fondo. In una lettera del 25
febbraio 1952 scrive che l’ingiustizia sociale non è cattiva anzitutto
perché danneggia i poveri ma perché è peccato, offende Dio e ritarda il
suo regno. Anche la cultura diventava per lui uno strumento per
evangelizzare i poveri. La scuola per i poveri, gli operai, i contadini,
divenne il mezzo di questa sua catechesi: crescere i giovani per farne
uomini più liberi, più giusti e in fondo più cristiani».
Il Vangelo «sine glossa»…
«Don
Milani veniva da una famiglia altoborghese, colta. Arrivò a Barbiana e
non c’era nulla, niente acqua, né luce, né gas, né strade. Bisognava
vederla, a quei tempi: solo una piccola canonica in cima a un poggio in
mezzo al bosco, e 84 anime. La madre gli scrisse: vedrai, il cardinale
ti ha mandato là per tenerti lontano dalle chiacchiere, ma poi torni.
Lui le rispose: hai capito male, la dignità di un prete non sta nel
numero di fedeli, ma nel modo in cui si rapporta al Vangelo».