venerdì 16 giugno 2017

Corriere 16.6.16
Il professore vuole essere equidistante tra le sinistre
di Massimo Franco


Più si schermisce, più Romano Prodi rischia di assumere un ruolo centrale nel centrosinistra del futuro. Quasi certamente non come candidato a Palazzo Chigi. Semmai, come «padre nobile» e, se possibile, «ricucitore» di un’area lacerata da divergenze politiche e rancori personali. Ha incontrato sia Giuliano Pisapia, proiettato verso la creazione di una sinistra alternativa al Pd, sia l’ex premier e segretario dem, Matteo Renzi: a sottolineare un’equidistanza che suona come critica a quanti, nei due tronconi del suo schieramento, ragionano in termini di scontro e di conflitto.
Non solo. Ieri, al Senato, il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha reso un omaggio a Prodi quasi deferente, spiegando che sulla Cina e la politica estera «è un punto di riferimento. E approfitto di essergli amico per chiedergli qualche dritta». Insomma, si tratta di una presenza ingombrante: forse, più che per volontà dell’ex presidente della Commissione Ue, per il malessere e la crisi di leadership vissuti a sinistra. È curioso che poco dopo le parole di Gentiloni sulla dimestichezza prodiana sui temi internazionali, Renzi abbia voluto far sapere che non ieri ma mercoledì aveva incontrato anche lui un esponente del Partito comunista cinese, dopo Gentiloni.
Sono indizi di una competizione sottotraccia non tanto per la leadership governativa, ma per definire la fisionomia del centrosinistra di qui alle elezioni; e soprattutto in seguito. Prodi è l’espressione di una strategia che ha come bussola il maggioritario, come obiettivo una coalizione che unisca le componenti della sinistra, e come primo avversario il centrodestra di Silvio Berlusconi.
Sotto questo aspetto, si indovina una sintonia con l’ex sindaco di Milano, Pisapia: una persona alla quale il Prodi premier chiese di diventare il ministro della Giustizia. Eppure, il fondatore dell’Ulivo si terrà lontano dalla manifestazione del suo gruppo nascente il 1° luglio a Roma. Non vuole diventare argomento di ulteriore divisione, né crede a ritorni al passato. In più, rispetta la leadership di Renzi nel Pd come l’unica che finora si sia manifestata e affermata. La sensazione, tuttavia, è che ritenga gli ultimi mesi della sua segreteria una collezione di errori; e che tema un ulteriore calo del Pd, a cominciare dai ballottaggi alle Comunali del 25 giugno.
E comunque, non ha nascosto la contrarietà alle aperture di Renzi a Forza Italia come alleato di governo dopo il voto: soprattutto se, come sembra, prevalesse la spinta al sistema proporzionale e non fossero possibili maggioranze omogenee in Parlamento. La cerchia renziana ha già cominciato a martellare. Intuisce che il ruolo di Prodi cresce, come referente di fatto in nome dell’unità: così forte da oscurare il segretario, e da ostacolare il suo progetto e la sua voglia di tornare a Palazzo Chigi. Anche perché Gentiloni è già lì.