Corriere 16.6.16
Il professore vuole essere equidistante tra le sinistre
di Massimo Franco
Più
 si schermisce, più Romano Prodi rischia di assumere un ruolo centrale 
nel centrosinistra del futuro. Quasi certamente non come candidato a 
Palazzo Chigi. Semmai, come «padre nobile» e, se possibile, «ricucitore»
 di un’area lacerata da divergenze politiche e rancori personali. Ha 
incontrato sia Giuliano Pisapia, proiettato verso la creazione di una 
sinistra alternativa al Pd, sia l’ex premier e segretario dem, Matteo 
Renzi: a sottolineare un’equidistanza che suona come critica a quanti, 
nei due tronconi del suo schieramento, ragionano in termini di scontro e
 di conflitto.
Non solo. Ieri, al Senato, il presidente del 
Consiglio, Paolo Gentiloni, ha reso un omaggio a Prodi quasi deferente, 
spiegando che sulla Cina e la politica estera «è un punto di 
riferimento. E approfitto di essergli amico per chiedergli qualche 
dritta». Insomma, si tratta di una presenza ingombrante: forse, più che 
per volontà dell’ex presidente della Commissione Ue, per il malessere e 
la crisi di leadership vissuti a sinistra. È curioso che poco dopo le 
parole di Gentiloni sulla dimestichezza prodiana sui temi 
internazionali, Renzi abbia voluto far sapere che non ieri ma mercoledì 
aveva incontrato anche lui un esponente del Partito comunista cinese, 
dopo Gentiloni.
Sono indizi di una competizione sottotraccia non 
tanto per la leadership governativa, ma per definire la fisionomia del 
centrosinistra di qui alle elezioni; e soprattutto in seguito. Prodi è 
l’espressione di una strategia che ha come bussola il maggioritario, 
come obiettivo una coalizione che unisca le componenti della sinistra, e
 come primo avversario il centrodestra di Silvio Berlusconi.
Sotto
 questo aspetto, si indovina una sintonia con l’ex sindaco di Milano, 
Pisapia: una persona alla quale il Prodi premier chiese di diventare il 
ministro della Giustizia. Eppure, il fondatore dell’Ulivo si terrà 
lontano dalla manifestazione del suo gruppo nascente il 1° luglio a 
Roma. Non vuole diventare argomento di ulteriore divisione, né crede a 
ritorni al passato. In più, rispetta la leadership di Renzi nel Pd come 
l’unica che finora si sia manifestata e affermata. La sensazione, 
tuttavia, è che ritenga gli ultimi mesi della sua segreteria una 
collezione di errori; e che tema un ulteriore calo del Pd, a cominciare 
dai ballottaggi alle Comunali del 25 giugno.
E comunque, non ha 
nascosto la contrarietà alle aperture di Renzi a Forza Italia come 
alleato di governo dopo il voto: soprattutto se, come sembra, prevalesse
 la spinta al sistema proporzionale e non fossero possibili maggioranze 
omogenee in Parlamento. La cerchia renziana ha già cominciato a 
martellare. Intuisce che il ruolo di Prodi cresce, come referente di 
fatto in nome dell’unità: così forte da oscurare il segretario, e da 
ostacolare il suo progetto e la sua voglia di tornare a Palazzo Chigi. 
Anche perché Gentiloni è già lì.