lunedì 29 maggio 2017

Repubblica 29.5.17
Lo scrittore Assaf Gavron sulla scelta alla vigilia dei cinquant’anni dalla Guerra dei Sei Giorni
“Il governo nei tunnel del Muro del Pianto così Netanyahu sfida chi vuole la pace”
di Francesca Caferri

Il 5 giugno di 50 anni fa Israele lanciava l’Operazione Focus, un attacco aereo su larga scala che segnava l’inizio della Guerra dei Sei Giorni. Per ricordare l’attacco militare che resta ancora il maggior successo bellico nella Storia dello Stato ebraico — prese possesso delle Alture del Golan, la penisola del Sinai, la Striscia di Gaza e subito dopo di Gerusalemme Est — il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha convocato ieri una seduta speciale del governo in uno dei tunnel che corrono al di sotto del Muro del Pianto. Un gesto volto a ribadire la sovranità israeliana su tutta la città di Gerusalemme, che non ha mancato di indignare i palestinesi — «provocatorio » nelle parole del negoziatore Saeb Erekat — e quella parte degli israeliani che non concorda con le politiche del primo ministro. Ma soprattutto un gesto dal valore altamente simbolico: pochi giorni dopo che anche il presidente americano Donald Trump aveva rifiutato di farsi accompagnare da Netanyahu nella visita al Muro del Pianto, proprio per non infiammare gli animi dei palestinesi, il premier, nelle parole del quotidiano Haaretz, «ha voluto dimostrare che Israele è in pieno controllo» della zona. Un anticipo di quello che accadrà nei prossimi giorni, quando le celebrazioni per l’anniversario entreranno nel vivo. Ad Assaf Gavron, uno dei principali scrittori israeliani contemporanei, assurto con il suo romanzo “La Collina” a coscienza critica della sinistra nazionale, abbiamo chiesto il perché di questa scelta.
Gavron, che messaggio trasmettono le foto del governo riunito in una zona contesa?
«Quelle foto sono il tentativo di mostrare che Gerusalemme è una città unita. Ma contrastano con la realtà: la realtà è che Gerusalemme non è una città, sono due. Ci sono differenti sistemi burocratici, diversi sistemi di istruzione e di trasporto e ci vivono persone diverse: ebrei solitamente benestanti a Ovest, arabi solitamente poveri a Est. Due mondi opposti, due stili di vita opposti».
Il premier Netanyahu non sarebbe d’accordo con il suo giudizio: uno dei progetti approvati ieri prevede la costruzione di una funivia per collegare Gerusalemme Ovest alla città vecchia, situata a Gerusalemme Est, in un tentativo di unire le due zone… «Il mio non è un giudizio: è un fatto. Basta aprire gli occhi per vedere i due mondi che ci sono in quella città. Le rispondo con un altro fatto: in quella riunione è stato approvato anche un nuovo sistema di fognature per Gerusalemme Est: il che le dice che anche le fognature sono separate in questa città. Oltre a tutto il resto ».
La città è sotto un controllo unico da 50 anni: davvero non è cambiato nulla?
«È cambiato che è una città fallita. L’unica capitale al mondo, credo, che non viene riconosciuta dalla maggior parte dei Paesi stranieri e in cui non ci sono ambasciate, perché tutte sono a Tel Aviv».
Cinquanta anni dalla Guerra dei Sei giorni: che Paese è quello che si presenta a questo appuntamento?
«Un Paese diviso, in cui una buona parte della cittadinanza non si riconosce nel governo. Ma questa non è una novità: è accaduto per anni da voi in Italia quando c’era Silvio Berlusconi, accade oggi negli Stati Uniti con Donald Trump. I sistemi democratici concedono il potere a chi prende più voti: posso non essere d’accordo, ma questo è quello che è accaduto qui. È un Paese con molti problemi quello che si specchia in questi 50 anni, che ancora convive con la realtà dell’occupazione e che pare avere sempre meno speranze».
La sua di speranza qual è?
«Fatico a dirle cosa vedo nel futuro di questo Paese, non saprei davvero dire cosa sarà di noi. Posso solo sperare che questo periodo finisca presto e che si riesca a creare una vera convivenza con i palestinesi».