La Repubblica 15.5.17
di Diego Longhini
Parla il direttore Nicola Lagioia: “Il derby con Milano? Una scossa positiva”
Sulla scrivania un mazzo di manifesti da scartare, freschi di stampa. «Me li hanno lasciati stamattina per distribuirli. Non sono solo il direttore, mi sento ambasciatore del Salone», racconta lo scrittore Nicola Lagioia che alla fine degli anni Novanta, battendo palmo a palmo gli stand di Librolandia, ha trovato il suo primo lavoro. «Alla Castelvecchi di Roma, era il grande periodo degli editori indipendenti». Ha visto il Salone crescere anno dopo anno, «perché diventa parte della tua vita, la scandisce, come i compleanni e gli altri anniversari », e da direttore delle trentesima edizione è convinto che il derby con Milano e il suo Tempo di Libri si possa vincere. «La concorrenza ci ha fatto bene, l'effetto derby per noi è stato positivo. Ci ha costretto a fermarci e a pensare cose nuove», sottolinea. «Nuove iniziative come il Superfestival non si sarebbero fatte, oppure Gastronomica in accordo con Slow Food o il villaggio all'ex Incet con gli spettacoli serali. Milano è stata una scossa per noi». Nelle cose nuove inserisce altri progetti, come il consorzio librai e bibliotecari. «Potrà avere uno sviluppo autonomo, ma senza Salone non sarebbe nato», dice. Il direttore si ferma un attimo, guarda i manifesti e si chiede: «Li dovrò attaccare io?». Non ci sarebbe nulla di strano nel vederlo all'opera. Come non c'è nulla di strano nel vederlo smanettare sulla tastiera per confrontare le previsioni meteo nei giorni della buchmesse torinese. «Manie di controllo», ammette. «Siamo tutti carichi. I primi mesi mi svegliavo alle tre e mezza del mattino per l'ansia, ora mi sveglio alle quattro per l'eccitazione», racconta. Torino ha sentito l'affetto di chi torinese non era, come Lagioia, 44 anni, pugliese, tra i primi a prenderne le difese dopo lo strappo dell'Aie. «Ad agosto la città era smarrita, ma ha reagito. C'è stato un moto d'orgoglio. Torino e il Salone hanno una comunità che è cresciuta in questi trent'anni. Comunità che Milano non ha». Il direttore si sente già adottato. «All'inizio non è stato semplice. Gli ultimi tre mesi sono stati bellissimi. Il Salone è un grande mix tra mistero, factory e fanzine. A chi dice che Torino è una grande Cuneo, non una piccola Parigi, io rispondo che Torino è a metà tra Cuneo e Seattle. Da una parte è la grande provincia italiana, da dove io provengo. Dall'altra le cose che succedono qui non succedono altrove. Ha un'offerta culturale forte. Nulla da invidiare a Milano». E i torinesi? «Discendono da Cesare Pavese, sono chiusi, ma sanno che devono superare questo stato. C'è una macerazione, un continuo non essere risolto che è un segno di vitalità». Milano non lascerà perdere la sua Fiera, sarà un derby continuo? «È una follia rinunciare a Torino. Sarebbe come Viareggio senza carnevale e Siena senza palio». Lagioia non è estremista: «Una seconda fiera ci può stare, ma non può nascere da una spaccatura nell'Aie e come espressione della Mondadori. Piuttosto si pensi a una fiera che vada là dove i lettori non ci sono, al Sud, un secondo evento che possa germogliare e diventare come il Salone». ©RIPRODUZIONE RISERVATA