venerdì 5 maggio 2017

La Repubblica 01.05.2017
Il caso/
A Trapani l’inchiesta gemella a quella di Catania
era in corso da un anno: “Clamore dannoso”
L’ira dei pm che indagavano in silenzio
di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti


TRAPANI. Un'indagine nata per caso dall'inchiesta sul direttore della Caritas di Trapani che faceva ottenere permessi di soggiorno ai migranti in cambio di prestazioni sessuali, poi corroborata da importanti elementi venuti fuori in occasione di sbarchi e arresti di scafisti, costituisce oggi il contenitore processuale di quella che gli inquirenti definiscono la «più avanzata» delle inchieste sul fronte dei presunti contatti tra trafficanti di uomini e alcune organizzazioni umanitarie di recente fondazione. Quelle che per il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro sono «ipotesi di lavoro» basate su «certezze» ma non su prove utilizzabili processualmente, a Trapani sono qualcosa di più. Qui, da molti mesi ormai, ci sono telefoni che "parlano", verbali di interrogatorio di migranti salvati da navi umanitarie ma anche di alcuni "scafisti per necessità", migranti ai quali i trafficanti hanno offerto il viaggio gratis chiedendo loro di mettersi alla guida di gommoni sgangherati per poche miglia in attesa dell'arrivo delle navi dei soccorsi. A differenza di Catania, a Trapani l'inchiesta, rimasta segretissima fino ad ora, conta su atti di polizia giudiziaria, raccolti dagli investigatori della squadra mobile coordinati dal sostituto procuratore Andrea Tarondo, lo stesso titolare dell'inchiesta che ha portato all'arresto e alla condanna di don Salvatore Librizzi, allora direttore della Caritas, alla testa di una vera e propria holding di cooperative che, d'intesa con l'allora vescovo Micciché - anche lui sotto inchiesta e costretto alle dimissioni dal Vaticano - aveva fatto dell'accoglienza ai migranti un enorme business con tanto di uso distorto dei contributi dell'8 per mille. Sull'inchiesta trapanese gli inquirenti si mantengono abbottonatissimi senza nascondere il disappunto per il clamore scatenato dalle dichiarazioni di Zuccaro. «Stiamo lavorando da molti mesi in silenzio assoluto, ben prima che il rapporto di Frontex accendesse questo dibattito - si limitano a dire - e adesso questi riflettori accesi rischiano seriamente di compromettere un lavoro serio e importante su fatti concreti». Nessuna inchiesta generalizzata sull'operato delle Ong, ma indagini partite dall'individuazione e dall'arresto di scafisti, corroborate dal sequestro dei loro telefoni cellulari e dall'analisi delle rubriche e del traffico di dati, incroci di tabulati e intercettazioni disposte a caccia di riscontri delle testimonianze di migranti e scafisti. Sono stati loro a raccontare le nuove modalità dei viaggi, ormai di poche miglia, diretti non più sulle coste della Sicilia ma verso la zona, a ridosso del confine delle acque libiche, in cui incrociano le navi delle Ong. Agli scafisti, dotati di telefono, il compito di sollecitare i soccorsi. E il numero chiamato - in qualche caso - non sarebbe quello della sala operativa della Guardia costiera di Roma. È un sistema che tra l'altro avrebbe fatto precipitare a prezzo di saldo il costo della traversata, vista la sua breve durata su mezzi di fortuna: 4-500 euro contro i 5.000 di tre anni fa.