La Lettura del Corriere 28.5.17
La razza non c’entra Il razzismo è politica
Il pregiudizio è una faccenda complicata, mostra lo storico portoghese Francisco
di Antonio Carioti
Bethencourt
nel suo libro Razzismi (il Mulino). Si nutre in primo luogo di fattori
politici, sostiene, ma anche culturali e religiosi. Varia inoltre
radicalmente da un Paese all’altro, tanto è vero che la stessa persona
può oggi essere considerata nera negli Stati Uniti e bianca in Brasile.
«Il contesto storico è cruciale per capire il razzismo», dichiara a «la
Lettura» l’autore, docente al King’s College di Londra. «La
discriminante del colore divenne più importante nelle colonie inglesi
d’America (poi staccatesi da Londra e divenute Usa), dove le persone di
razza mista persero posizioni nel volgere tra il Seicento e il
Settecento e poi di nuovo con il dibattito sull’estensione della
schiavitù nei nuovi territori dell’Ovest, prima della Guerra civile.
Negli Stati Uniti, dove gli schiavi non furono mai in maggioranza,
neppure al Sud, la solidarietà bianca venne costruita a spese degli
afroamericani e dei mulatti, etichettati come neri. La regola
dell’ipodiscendenza, per cui una goccia di sangue africano rende una
persona nera, escluse i meticci. Invece in Brasile la maggioranza della
popolazione coloniale era nera già nel Seicento e i bianchi avevano
bisogno di un ammortizzatore per mantenere l’equilibro sociale. Questo è
il motivo per cui gli individui di razza mista venivano emancipati e
riconosciuti. A lungo andare in Brasile la classe sociale divenne più
importante della razza: oggi i mulatti di ceto medio o elevato sono
considerati bianchi, mentre negli Usa sono classificati neri. Negli
Stati Uniti l’eredità dello schiavismo non è stata superata, benché in
Brasile la pelle scura sia generalmente identificata con le classi
umili».
Il razzismo, secondo Bethencourt, nasce da motivazioni
politiche, non dalla classificazione sedicente «scientifica» delle
stirpi umane: «Il pregiudizio riguardante la discendenza combinato con
azioni discriminatorie precede le teorie razziali. La prova schiacciante
si trova nella penisola iberica del Quattrocento, dove il pregiudizio
contro ebrei e musulmani venne proiettato sui mori e gli israeliti
convertiti al culto cattolico, creando una barriera tra cristiani mai
vista prima, che contraddiceva il messaggio universalista predicato da
San Paolo. Ho trovato anche prove del fatto che la teoria delle razze
non sorge nel Settecento, ma nel Cinquecento, alimentata dall’espansione
oltremare delle potenze europee. Il frontespizio dell’ Atlante di
Abraham Ortelius (1570) mostra già una prima classificazione gerarchica
tra gli esseri umani, attraverso la rappresentazione dei continenti con
l’Europa in posizione preminente rispetto all’Asia (seconda) e l’Africa
in terza posizione, America e Oceania in fondo».
Che ruolo gioca
la religione nelle pratiche discriminanti? «Conta ancora oggi. I
musulmani, nella percezione occidentale, sono tutti aggregati in una
stessa categoria, anche se appartengono a etnie molto diverse,
dall’Indonesia ai Balcani. Nella Spagna della prima età moderna il
pregiudizio abbinato a misure discriminatorie contro ebrei e musulmani
convertiti a forza dimostra che il motore del razzismo è il progetto
politico di monopolizzare le risorse a vantaggio del gruppo dominante.
Ho trovato conferma di questa tesi analizzando casi del genere in varie
situazioni geografiche e cronologiche. La religione ha sempre giocato un
ruolo, specie nei pogrom antisemiti della Russia zarista, nel genocidio
degli armeni, nella Shoah».
Ma perché il libro comincia con le
crociate? Nel mondo antico il razzismo non esisteva? «I pregiudizi circa
la discendenza etnica — risponde Bethencourt — esistevano certamente
nell’antichità: li ha studiati lo storico Benjamin Isaac. Ciò che mi è
stato più difficile provare è l’esistenza di discriminazioni
sistematiche contro etnie specifiche in quel periodo storico. Il libro
comincia con le crociate perché la mia ipotesi è che il razzismo sia
collegato all’espansione europea. E le crociate furono il primo periodo
in cui gli europei conquistarono nuove terre dopo la fine dell’Impero
romano d’Occidente. Ho trovato chiari elementi di razzismo nelle
“crociate occidentali”, cioè la Reconquista cristiana della penisola
iberica. Il caso delle crociate in Oriente per il controllo della
Terrasanta, come osservo nel libro, è più complesso».