Internazionale 19.5.17
Le opinioni
Evgeny Morozov
Il nostro problema è la crisi della democrazia non gli hacker
La recente ondata di attacchi informatici (chiamata WannaCry, dal nome del software usato) che ha colpito ospedali, reti ferroviarie e multinazionali di tutto il mondo – con la richiesta di un riscatto e la minaccia di rendere inaccessibili tutti i ile – non può essere considerata solo come la bravata di un gruppo di criminali diventati all'improvviso degli hacker. Queste persone hanno sfruttato strumenti e punti deboli sviluppati originariamente dalle agenzie d'intelligence statunitensi per i loro attacchi e le loro operazioni di spionaggio e non possiamo più ignorare il fatto che la natura sempre più neofeudale della sicurezza informatica (in cui un gruppo di criminali ti chiede dei soldi minacciando di farti scomparire) nasce dalla crisi degli ideali del capitalismo democratico, schiacciato dal peso della sorveglianza permanente. La legittimità politica del capitalismo democratico, quello strano modello che ci ha portato alla fine della storia e che oggi si presenta come l'unico baluardo contro l'estremismo di destra, si basa su una chiara distribuzione dei compiti tra il governo e le grandi aziende. Il governo fa il controllore delle aziende, per proteggere i clienti dagli effetti occasionalmente nocivi di un'attività imprenditoriale altrimenti considerata benefica. Il nostro sistema è considerato democratico perché i popoli eleggono i governi e possono sempre mandarli a casa ed è anche capitalista, perché le aziende sono vincolate dalle leggi della concorrenza, che premiano l'efficienza, l'innovazione e la crescita continua. Questa logica distrugge tutto quello che è immobile e permanente e può anche produrre effetti dannosi, dai quali i nostri governi dovrebbero proteggerci. Il consenso sociale dei partiti di centrodestra e di centrosinistra si basa proprio su queste condizioni. Le questioni legate alla guerra e alla sicurezza (e gli imperativi esistenziali che impongono alla maggior parte delle società democratiche) hanno sempre creato problemi irrisolvibili al nostro sistema, come si capisce dai periodici allarmi sulle connivenze tra militari e aziende lanciati da molti politici vicini alla pensione. La democrazia viene sospesa nel momento in cui i governi controllano i lussi d'informazione, rendono segrete le comunicazioni interne ed espandono senza limiti le loro attività di sorveglianza. Le persone che si oppongono a questa struttura di potere prendono di mira le attività antidemocratiche e senza controlli del cosiddetto "stato profondo", quel sistema in cui funzionari pubblici agiscono dietro le quinte per influenzare la vita pubblica senza alcun rispetto per la classe politica democraticamente eletta. L'obiettivo degli attivisti che combattono questa tendenza, impegnati in particolare nelle campagne per la difesa della privacy, è indebolire lo stato profondo attraverso riforme e leggi a favore di una maggiore trasparenza. Il vero problema, secondo questi attivisti, è legato al cattivo funzionamento della democrazia, e possiamo facilmente ignorare la parte "capitalista" del capitalismo democratico: abbiamo bisogno di strumenti legali migliori per limitare il potere delle agenzie d'intelligence. Purtroppo, però, il mondo del 2017 non può essere inserito a forza in questo schema. Prendiamo per esempio la sicurezza informatica. Diversi "stati canaglia" lanciano attacchi contro i server dei loro nemici in Europa occidentale e in Nordamerica. Al tempo stesso, gruppi di hacker non legati ai governi colpiscono gli stessi bersagli per motivi nazionalistici o economici. Niente di tutto questo può cambiare davvero il mito su cui si basa il capitalismo democratico: i governi hanno il compito di limitare le attività dannose delle aziende e questo pericolo rende necessario un maggiore intervento dello stato. Quello che mette in difficoltà questo mito è la consapevolezza sempre maggiore, alimentata recentemente dalle rivelazioni di Wikileaks sugli strumenti di spionaggio informatico della Cia, che i punti deboli delle nostre reti di comunicazione sono stati creati proprio dai governi, visto che le agenzie d'intelligence armeggiano con le nostre smart tv e si intrufolano all'interno dei nostri sistemi operativi. Per alcuni, quelli che violano la nostra privacy hanno nobili intenzioni, come identificare i terroristi, scovare i criminali ricercati, sventare attentati e complotti contro le nostre città. Ma, a prescindere dalle intenzioni, non dobbiamo perdere di vista i grandi effetti politici prodotti da questo tipo di attività. L'espansione e il mantenimento delle capacità di sorveglianza dei governi democratici si basa su un'insicurezza strutturale permanente delle nostre reti di comunicazione. Questa insicurezza, però, viene sfruttata anche da altri, come gli stati canaglia e gli hacker. Quando l'insicurezza è strutturale, la risposta giusta non è più controlli, ma più garanzie. Questo spiega perché le assicurazioni informatiche fanno sempre più affari. Oggi anche settori come quello manifatturiero (sempre più interconnesso) hanno bisogno di mettersi al riparo dalle conseguenze degli attacchi informatici. In sostanza quello delle assicurazioni informatiche (come qualsiasi altra forma di assicurazione) è un settore popolato da persone con alte rendite che pretendono un pagamento regolare da clienti che hanno bisogno dei loro servizi. La novità è che il rischio creato da questa nuova classe di persone esiste soprattutto a causa dell'attività del governo. A questo punto la logica del capitalismo democratico non è più valida: i governi non solo non mettono un freno alle attività dannose delle aziende, ma sono i primi a commetterle. A smorzare gli effetti di queste azioni sono le stesse aziende, con attività che a loro volta sono più o meno dannose. Il secondo effetto politico di questo apparato di sorveglianza in continua espansione è lo svantaggio che crea per le piccole aziende e le società senza scopo di lucro, per non parlare degli individui. Ricordate la vecchia visione utopica di un mondo digitale dove ognuno avrebbe gestito il suo server di posta elettronica e con il tempo avrebbe imparato a gestire la sua versione della casa connessa? Oggi pretendiamo una maggiore autonomia a nostro rischio e pericolo: considerando il livello di complessità degli attacchi informatici – che hanno l'obiettivo di rubare dati e inondare i siti presi di mira con un traffico fasullo – è ovvio che gli unici capaci di difendere gli utenti comuni, che siano individui o società, sono diventate le grandi aziende tecnologiche come Google, la Apple e la Microsoft. Anche questo aspetto vìola la premessa fondamentale del capitalismo democratico: i cittadini sono incoraggiati a cercare protezione nelle grandi aziende, non nei governi, che nel migliore dei casi sono la ragione per cui questa protezione è necessaria. Quando per fronteggiare gli attacchi informatici e lo spam servono forme avanzate d'intelligenza artificiale, lo spazio per le aziende più piccole si riduce. Tutto il mercato resta nelle mani di poche multinazionali, che sfruttano l'insicurezza strutturale creata dai governi per consolidare ancora di più il loro quasi monopolio. Il capitalismo democratico quindi è già diventato un capitalismo del monopolio democratico, in particolare nella sua versione digitale. L'idea che le leggi della concorrenza capitalistica possano fare pressione sui giganti della tecnologia è abbastanza bizzarra. Non esiste un garage abbastanza grande da ospitare una startup in grado di fare concorrenza a Google, che può contare su una quantità enorme di dati personali e strumenti di intelligenza artificiale. Il terzo effetto di questo nuovo compromesso postdemocratico è che, presentando l'insicurezza informatica come un fenomeno naturale e non come un problema creato dagli esseri umani, si scredita il ruolo della legge (e della politica in generale) nel mitigare i conflitti tra i cittadini e le grandi aziende. Pensate a come affrontiamo altri tipi di disastri. Sarebbe sbagliato, per esempio, affidarsi solo alla legge e alla politica per proteggerci dalle inondazioni e dai terremoti. In questi casi farsi un'assicurazione non è una cattiva idea ma questo non ci impedisce di pretendere standard edilizi più elevati. Il mondo della sicurezza informatica non segue questa logica. Immaginate se il governo inviasse regolarmente un gruppo di sabotatori ben addestrati e pagati profumatamente per indebolire le difese contro le inondazioni e i terremoti, costringendoci a rivolgerci al settore privato per la sicurezza, sotto forma di strumenti di difesa o assicurazioni. Questa è la situazione in cui siamo adesso. L'unica differenza è che le calamità informatiche sono quasi sempre create dall'uomo e sono quindi evitabili. A parole, i governi possono anche ammettere che di fronte a questi pericoli la nostra priorità è rafforzare le leggi sulla privacy, ma sappiamo tutti che finirebbero comunque con il mandare più sabotatori (con strumenti ancora più potenti) per indebolire le nostre difese. In queste condizioni chi mai potrebbe avere ancora fiducia nella legge e nella politica, invece di accettare la protezione promessa dal mercato, per quanto difettosa e costosa? Purtroppo la sicurezza informatica è solo uno dei tanti casi in cui la legittimità del capitalismo democratico (e dei partiti socialdemocratici che tradizionalmente lo difendono) non è più valida, anche se i suoi capisaldi continuano a essere riconosciuti. Non c'è da stupirsi se i partiti socialdemocratici tradizionali stanno crollando, come hanno dimostrato ancora una volta le recenti elezioni in Francia e nei Paesi Bassi. Continuano a difendere un sistema che predica bene e razzola male. EVGENY MOROZOV è un sociologo esperto di tecnologia e informazione. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Silicon Valley: i signori del silicio (Codice 2016)