Il Sole Domenica 28.5.17
Dibattito sulla scuola
L’equilibrio tra sapere e saper insegnare
di Manuela Ghizzoni e Mila Spicola
Con
la pubblicazione del decreto legislativo n. 59 è decollata la riforma
del sistema di formazione e selezione dei docenti della scuola
secondaria. L’idea risale ad un progetto congiunto dei ministeri
dell’istruzione e dell’università del Governo Prodi di dieci anni fa,
rimasto inattuato per la conclusione anticipata della legislatura, in
cui si collegavano organicamente formazione e selezione dei docenti e si
rimuoveva la separazione tra università che forma (lauree e
abilitazioni) e scuola che seleziona (concorsi e precariato).
Il
nuovo schema prevede ogni due anni un concorso nazionale per laureati
magistrali, con due prove scritte e una orale, i cui vincitori, e solo
loro, saranno ammessi ad un percorso triennale retribuito di formazione e
tirocinio, gestito in collaborazione tra scuola e università. Al
termine del percorso, se supereranno tutte le valutazioni intermedie e
finali, saranno immessi in ruolo. Gli stessi tirocinanti provvederanno
durante il triennio a svolgere, almeno in parte, le supplenze necessarie
alla scuola. Non più graduatorie ad accumulo di punti, corsi abilitanti
vari (SSIS, TFA, PAS), concorsi elefantiaci a scadenze imprevedibili,
bensì un sistema regolare nel tempo in cui gli aspiranti docenti hanno
l’occasione di mettersi alla prova, prima in un concorso per merito e
poi in tre anni di approfondimento culturale e professionale e di
tirocinio “in corsia”, senza dover spendere fortune, anzi essendo
retribuiti, e senza perdere freschezza docente in defatiganti
precariati.
La sfida ha anche natura epistemologica. Servono
docenti non solo ben preparati nelle loro discipline ma anche dotati di
quelle professionalità pedagogiche, relazionali ed organizzative che
consentano loro di traghettare una scuola molto centrata sulle
conoscenze verso una in cui conoscenze e competenze si integrino
armoniosamente. Per insegnare bene non basta sapere bene, ma serve anche
saper trasmettere, condividere, innovare, organizzare i saperi nel
rapporto educativo con gli studenti e con gli altri docenti. Serve un
curriculum verticale di formazione dei docenti, che inizi con
l’acquisizione dei saperi disciplinari durante gli anni universitari e
prosegua, mediante un’inedita collaborazione strutturata e paritetica di
scuola e università, con un progressivo approfondimento e integrazione
tra teoria e pratica, in cui gli insegnanti in formazione si mettono
alla prova tra i banchi con la guida di tutor scolastici e universitari,
fino a maturare un’autonoma e matura professionalità.
Dopo
decenni di dibattiti e tentativi abortiti il cambiamento di paradigma
richiede la soluzione di molti problemi. Ma qui ci preme analizzare solo
due aspetti su cui hanno attirato l’attenzione il filosofo De Caro e il
matematico Di Martino in un intervento sulla Domenica del 7 maggio
scorso. Il primo riguarda i 24 crediti (corrispondenti all’incirca a
quattro corsi semestrali) in metodologie didattiche e in discipline
antropo-psico-pedagogiche che costituiscono un requisito per partecipare
al concorso e sui cui contenuti verterà la seconda prova scritta.
Questi crediti non sono certo esaustivi degli strumenti pedagogici,
psicologici, antropologici e di didattica disciplinare che devono essere
posseduti da un docente per un approccio corretto e professionalmente
esperto alle variegate e complesse realtà della scuola odierna, ma ne
costituiscono una prima base e possono giocare un ruolo auto-orientativo
riguardo all’effettiva propensione e attitudine all’insegnamento,
soprattutto per i laureati in quelle discipline in cui la presenza delle
scienze umane è molto ridotta. Sarà anche un’occasione per sviluppare
nelle università questi ambiti del sapere, troppe volte mortificati,
imitando l’esperienza delle discipline che li hanno già sviluppati, come
la matematica, addirittura da oltre un secolo, o la musica.
Il
secondo aspetto riguarda invece i requisiti formativi per accedere ad
una classe di concorso. Questo tema è strutturalmente indipendente da
quello della riforma e ne sono distinti i relativi provvedimenti, per
cui sussiste il rischio che, sovrapponendoli, si attribuiscano le pecche
dell’uno all’altro e si finisca con l’indebolire la riforma soffocando
un dibattito centrato sulle sue complesse e fertili implicazioni.
L’ultima revisione delle classi di concorso è del 2016 ma ne è già in
corso un’altra per rimediare ad alcune manchevolezze.
È
condivisibile che si riaprano ai laureati in filosofia le porte
dell’insegnamento delle materie letterarie (chiuse loro da molti anni) e
che non si consenta a chi ha una limitata preparazione in filosofia di
insegnarla. Così come è condivisibile una migliore preparazione in
matematica di chi vorrà dedicarsi ad insegnare matematica e scienze alle
scuole medie – una delle classi di concorso a spettro più
multidisciplinare, difficilmente compatibile con una qualunque laurea.
Ma
si comprenda preliminarmente che occorre trovare un ragionevole
equilibrio tra gli approcci monodisciplinari tipici del mondo
universitario e quelli multidisciplinari e interdisciplinari che sono
necessari, anche per ragioni di flessibilità organizzativa ma non solo,
al mondo della scuola. La riforma ha segnalato l’importanza e l’urgenza
di un riassetto delle classi di concorso collegandolo ad una revisione
degli ordinamenti didattici universitari e ha posto le basi per
realizzarlo più facilmente derubricandolo da decreto del Presidente
della Repubblica a decreto ministeriale. Speriamo che quest’occasione
sia colta pienamente e saggiamente con il contributo di tutti, senza
agitare bandiere corporative o spettri inesistenti.
– Deputata Pd, ricercatrice presso l’Università di Bologna
– DIPE, giàconsulente tecnico MIUR
– Manuela Ghizzoni
– Mila Spicola
La
chiara e cortese risposta di Manuela Ghizzoni e Mila Spicola al nostro
articolo del 7 maggio sul processo di riforma della formazione degli
insegnanti conferma l’importanza di una discussione ampia e costruttiva
su un tema tanto delicato. Di ciò non possiamo che ringraziare le
autrici.
Il nostro articolo si proponeva di iniziare una
discussione propositiva sul complesso del nuovo percorso formativo degli
insegnanti. Non era nostra intenzione difendere corporativismi o
individuare presunte responsabilità, anche perché l’idea di fondo del
percorso formativo è a nostro giudizio convincente. È molto apprezzabile
che, nel loro articolo, Ghizzoni e Spicola riconoscano la necessità di
correggere alcune evidenti storture nelle norme già approvate (in
particolare, l’ingiustificata penalizzazione dei laureati in filosofia).
E parimenti condivisibile è il loro richiamo al ruolo cruciale che le
didattiche disciplinari dovranno giocare nelle varie fasi del percorso
formativo degli insegnanti, a integrazione delle metodologie didattiche
generali. In alcuni ambiti, come quello matematico, queste didattiche
hanno una lunghissima tradizione e si sviluppano in uno specifico
settore di ricerca; in altri ambiti, andranno costruite con attenzione
(come rilevava la scorsa settimana, su questo supplemento, Claudio
Giunta). Questa sarà una delle tante sfide che il mondo accademico dovrà
affrontare nel prossimo futuro, con l’obiettivo di formare
adeguatamente insegnanti pluridisciplinari.
Il successo di questo
percorso dipenderà dall’attiva partecipazione di tutte le componenti in
gioco, ognuna per la sua parte: politica, scuola e università. E se,
oggi come in futuro, la politica saprà coinvolgere e ascoltare tutte le
parti coinvolte – come, in questa loro lettera, hanno dimostrato di
saper fare Ghizzoni e Spicola – i risultati di questa e delle prossime
riforme della formazione insegnanti, e più in generale della scuola, non
potranno che essere positivi.
– Mario De Caro
– Pietro Di Martino