lunedì 29 maggio 2017

Il Sole Domenica 28.5.17
Dibattito sulla scuola
L’equilibrio tra sapere e saper insegnare
di Manuela Ghizzoni e Mila Spicola

Con la pubblicazione del decreto legislativo n. 59 è decollata la riforma del sistema di formazione e selezione dei docenti della scuola secondaria. L’idea risale ad un progetto congiunto dei ministeri dell’istruzione e dell’università del Governo Prodi di dieci anni fa, rimasto inattuato per la conclusione anticipata della legislatura, in cui si collegavano organicamente formazione e selezione dei docenti e si rimuoveva la separazione tra università che forma (lauree e abilitazioni) e scuola che seleziona (concorsi e precariato).
Il nuovo schema prevede ogni due anni un concorso nazionale per laureati magistrali, con due prove scritte e una orale, i cui vincitori, e solo loro, saranno ammessi ad un percorso triennale retribuito di formazione e tirocinio, gestito in collaborazione tra scuola e università. Al termine del percorso, se supereranno tutte le valutazioni intermedie e finali, saranno immessi in ruolo. Gli stessi tirocinanti provvederanno durante il triennio a svolgere, almeno in parte, le supplenze necessarie alla scuola. Non più graduatorie ad accumulo di punti, corsi abilitanti vari (SSIS, TFA, PAS), concorsi elefantiaci a scadenze imprevedibili, bensì un sistema regolare nel tempo in cui gli aspiranti docenti hanno l’occasione di mettersi alla prova, prima in un concorso per merito e poi in tre anni di approfondimento culturale e professionale e di tirocinio “in corsia”, senza dover spendere fortune, anzi essendo retribuiti, e senza perdere freschezza docente in defatiganti precariati.
La sfida ha anche natura epistemologica. Servono docenti non solo ben preparati nelle loro discipline ma anche dotati di quelle professionalità pedagogiche, relazionali ed organizzative che consentano loro di traghettare una scuola molto centrata sulle conoscenze verso una in cui conoscenze e competenze si integrino armoniosamente. Per insegnare bene non basta sapere bene, ma serve anche saper trasmettere, condividere, innovare, organizzare i saperi nel rapporto educativo con gli studenti e con gli altri docenti. Serve un curriculum verticale di formazione dei docenti, che inizi con l’acquisizione dei saperi disciplinari durante gli anni universitari e prosegua, mediante un’inedita collaborazione strutturata e paritetica di scuola e università, con un progressivo approfondimento e integrazione tra teoria e pratica, in cui gli insegnanti in formazione si mettono alla prova tra i banchi con la guida di tutor scolastici e universitari, fino a maturare un’autonoma e matura professionalità.
Dopo decenni di dibattiti e tentativi abortiti il cambiamento di paradigma richiede la soluzione di molti problemi. Ma qui ci preme analizzare solo due aspetti su cui hanno attirato l’attenzione il filosofo De Caro e il matematico Di Martino in un intervento sulla Domenica del 7 maggio scorso. Il primo riguarda i 24 crediti (corrispondenti all’incirca a quattro corsi semestrali) in metodologie didattiche e in discipline antropo-psico-pedagogiche che costituiscono un requisito per partecipare al concorso e sui cui contenuti verterà la seconda prova scritta. Questi crediti non sono certo esaustivi degli strumenti pedagogici, psicologici, antropologici e di didattica disciplinare che devono essere posseduti da un docente per un approccio corretto e professionalmente esperto alle variegate e complesse realtà della scuola odierna, ma ne costituiscono una prima base e possono giocare un ruolo auto-orientativo riguardo all’effettiva propensione e attitudine all’insegnamento, soprattutto per i laureati in quelle discipline in cui la presenza delle scienze umane è molto ridotta. Sarà anche un’occasione per sviluppare nelle università questi ambiti del sapere, troppe volte mortificati, imitando l’esperienza delle discipline che li hanno già sviluppati, come la matematica, addirittura da oltre un secolo, o la musica.
Il secondo aspetto riguarda invece i requisiti formativi per accedere ad una classe di concorso. Questo tema è strutturalmente indipendente da quello della riforma e ne sono distinti i relativi provvedimenti, per cui sussiste il rischio che, sovrapponendoli, si attribuiscano le pecche dell’uno all’altro e si finisca con l’indebolire la riforma soffocando un dibattito centrato sulle sue complesse e fertili implicazioni. L’ultima revisione delle classi di concorso è del 2016 ma ne è già in corso un’altra per rimediare ad alcune manchevolezze.
È condivisibile che si riaprano ai laureati in filosofia le porte dell’insegnamento delle materie letterarie (chiuse loro da molti anni) e che non si consenta a chi ha una limitata preparazione in filosofia di insegnarla. Così come è condivisibile una migliore preparazione in matematica di chi vorrà dedicarsi ad insegnare matematica e scienze alle scuole medie – una delle classi di concorso a spettro più multidisciplinare, difficilmente compatibile con una qualunque laurea.
Ma si comprenda preliminarmente che occorre trovare un ragionevole equilibrio tra gli approcci monodisciplinari tipici del mondo universitario e quelli multidisciplinari e interdisciplinari che sono necessari, anche per ragioni di flessibilità organizzativa ma non solo, al mondo della scuola. La riforma ha segnalato l’importanza e l’urgenza di un riassetto delle classi di concorso collegandolo ad una revisione degli ordinamenti didattici universitari e ha posto le basi per realizzarlo più facilmente derubricandolo da decreto del Presidente della Repubblica a decreto ministeriale. Speriamo che quest’occasione sia colta pienamente e saggiamente con il contributo di tutti, senza agitare bandiere corporative o spettri inesistenti.
– Deputata Pd, ricercatrice presso l’Università di Bologna
– DIPE, giàconsulente tecnico MIUR
– Manuela Ghizzoni
– Mila Spicola
La chiara e cortese risposta di Manuela Ghizzoni e Mila Spicola al nostro articolo del 7 maggio sul processo di riforma della formazione degli insegnanti conferma l’importanza di una discussione ampia e costruttiva su un tema tanto delicato. Di ciò non possiamo che ringraziare le autrici.
Il nostro articolo si proponeva di iniziare una discussione propositiva sul complesso del nuovo percorso formativo degli insegnanti. Non era nostra intenzione difendere corporativismi o individuare presunte responsabilità, anche perché l’idea di fondo del percorso formativo è a nostro giudizio convincente. È molto apprezzabile che, nel loro articolo, Ghizzoni e Spicola riconoscano la necessità di correggere alcune evidenti storture nelle norme già approvate (in particolare, l’ingiustificata penalizzazione dei laureati in filosofia). E parimenti condivisibile è il loro richiamo al ruolo cruciale che le didattiche disciplinari dovranno giocare nelle varie fasi del percorso formativo degli insegnanti, a integrazione delle metodologie didattiche generali. In alcuni ambiti, come quello matematico, queste didattiche hanno una lunghissima tradizione e si sviluppano in uno specifico settore di ricerca; in altri ambiti, andranno costruite con attenzione (come rilevava la scorsa settimana, su questo supplemento, Claudio Giunta). Questa sarà una delle tante sfide che il mondo accademico dovrà affrontare nel prossimo futuro, con l’obiettivo di formare adeguatamente insegnanti pluridisciplinari.
Il successo di questo percorso dipenderà dall’attiva partecipazione di tutte le componenti in gioco, ognuna per la sua parte: politica, scuola e università. E se, oggi come in futuro, la politica saprà coinvolgere e ascoltare tutte le parti coinvolte – come, in questa loro lettera, hanno dimostrato di saper fare Ghizzoni e Spicola – i risultati di questa e delle prossime riforme della formazione insegnanti, e più in generale della scuola, non potranno che essere positivi.
– Mario De Caro
– Pietro Di Martino