il manifesto 28.5.17
Israele cede, successo per lo sciopero della fame dei detenuti palestinesi
Israele/Territori
occupati. Dopo 40 giorni il digiuno è terminato venerdì notte, dopo ore
di trattative tra gli scioperanti, le autorità carcerarie e la Croce
Rossa. Israele costretto ad accettare alcune delle richieste presentate
dal promotore della protesta, il leader incarcerato di Fatah Marwan
Barghouti che emerge ancora più popolare e influente
di Michele Giorgio
RAMALLAH
Si festeggiava la “vittoria” ieri in piazza Yasser Arafat a Ramallah
dove per 40 giorni, sotto la tenda del “presidio permanente”, centinaia
di persone, in maggioranza giovani, hanno partecipato a dibattiti e
incontri a sostegno dello sciopero della fame cominciato lo scorso 17
aprile da 1500 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Il digiuno
di protesta è terminato nella notte tra venerdì e sabato, all’inizio
del mese di Ramadan, con un accordo tra gli scioperanti, le autorità
carcerarie israeliane e la Croce Rossa. Caldo e il digiuno per il
Ramadan non hanno impedito alla folla di sostenitori, attivisti e
familiari dei detenuti, di celebrare, con canti politici e danze
tradizionali, quello che i palestinesi descrivono come un successo
sull’ostinazione del governo Netanyahu che – a differenza dello Shin
Bet, il servizio di sicurezza interno – si era dichiarato contro
qualsiasi ipotesi di trattativa con i detenuti che chiedevano migliori
condizioni di vita nei penitenziari. E invece quel negoziato escluso per
oltre un mese i funzionari del “Servizio delle prigioni israeliane”,
alla fine hanno dovuto avviarlo, nel carcere di Ashkelon, prima con i
rappresentanti degli scioperanti – Ahmad Barghouthi, Nasser Uweis, Ammar
Mardi e Nasser Abu Hmeid – e poi con l’ispiratore principale della
protesta, con l’anima del digiuno andato avanti per 40 giorni, Marwan
Barghouti. Il leader del partito Fatah in Cisgiordania, in carcere del
2002, con il quale sino a quel punto avevano evitato ogni forma di
dialogo è stato centrale per sbloccare la trattativa. «Soltanto quando
(gli israeliani) hanno coinvolto Marwan è stato possibile arrivare
all’intesa che garantirà ai nostri fratelli incarcerati migliori
condizioni di vita», spiegava ieri Issa Qaraqe, del Comitato nazionale
di sostegno ai detenuti.
Sui miglioramenti strappati a Israele,
fino a ieri sera regnava l’incertezza. I detenuti hanno ottenuto
l’aumento delle visite dei familiari, da una a due volte al mese. Le
autorità israeliane si sono impegnate a revocare le restrizioni che
limitavano l’accesso alle prigioni ai familiari adulti dei reclusi.
Invece non è chiaro se i detenuti godranno davvero dell’installazione di
telefoni pubblici nelle prigioni e della possibilità di accedere alla
visione di un maggior numero di canali televisivi. Niente da fare per la
fine delle detenzioni amministrative, quelle senza processo.
Dallo
sciopero della fame appena terminato è emerso anche un traguardo
personale raggiunto da Marwan Barghouti. Superando l’ostruzionismo di
non pochi palestinesi, molti dei quali ai vertici del suo partito, e la
non collaborazione del movimento islamico Hamas – impegnato in un nuovo
scontro con Fatah e il presidente dell’Anp Abu Mazen – il principale
promotore della protesta ha confermato la sua popolarità nelle strade
dei Territori occupati, anche se i suoi familiari preferiscono
ridimensionare questo aspetto. «Non è la vittoria di mio padre, è la
vittoria di tutti i prigionieri e di tutti i palestinesi. La battaglia
portata avanti da tanti detenuti, di ogni orientamento politico, ha
confermato che i palestinesi otterranno i loro diritti solo quando
saranno di nuovo uniti e determinati», ripeteva ieri Qassam Barghouti,
il figlio del leader di Fatah, tra militanti e amici che si
abbracciavano nella sede del Comitato “Free Marwan Baghouti” a Ramallah.
L’esito
dello sciopero della fame avrà un impatto anche sui rapporti di potere
ai vertici di Fatah dove sono diversi i candidati a prendere il posto
dell’82enne presidente dell’Anp Abu Mazen. «Marwan Barghouti era già
molto popolare e adesso lo è ancora di più. Il suo prestigio è più forte
nella base di Fatah – spiega l’analista Ghassan Khatib – ora è il
principale candidato a succedere ad Abu Mazen, gli altri pretendenti si
sono tutti indeboliti». Come Barghouti potrà diventare presidente è un
interrogativo senza risposta da anni. È in carcere, sconta cinque
ergastoli, ed è difficile immaginare che Israele possa scarcerarlo alla
luce delle dichiarazioni nettamente contrarie a questa possibilità
espresse dal premier Netanyahu e da altri leader politici. «Mai dire
mai» avverte Khatib «le condizioni attuali non permettono la liberazione
di Barghouti. Le cose però potrebbero cambiare e, comunque, a decidere
non sarà solo Israele».