il manifesto 27.5.17
Il «drago» cinese indebitato
Nuova
finanza pubblica. Forte è il timore che un'improvvisa crisi di Pechino
riporti il mondo in una cupa recessione; ci si può attendere che il
contagio verrebbe contenuto, ma non l’effetto domino di un crollo della
crescita del paese sull’economia mondiale
di Matteo Bortolon
È
notizia di questi giorni che Moody’s ha declassato la Cina, ritenendola
poco affidabile visto il mostruoso debito da essa accumulato. Il
governo (ovviamente) protesta contestando la metodologia di calcolo.
Quasi
dieci anni sono passati dallo scoppio della Grande Crisi globale e
sembra che il tempo non sia trascorso. Quasi non ci ricordiamo più di
cosa hanno combinato le agenzie di rating. Si tratta di soggetti privati
che forniscono periodicamente delle pagelle sulla solidità finanziaria
di aziende e Stati. Più le garanzie sono solide più il soggetto in
questione verrà ritenuto affidabile sui mercati e potrà attirare
investimenti. Il problema è da una parte che, in quanto fortemente
collegate al profitto speculativo rappresentano un po’ la finanza che
giudica se stessa; Moody’s per esempio è posseduta da Moody’s
Corporation, nel cui azionariato compaiono come maggiori proprietari
Berkshire Hathanway, società finanziaria fra le più grandi al mondo
capitanata da Warren Buffet (il terzo uomo più ricco del mondo),
Vanguard Group, uno delle più grandi società d’investimenti al mondo e
BlackRock, altra nave ammiraglia della finanza speculativa. Dall’altro
tali agenzie, al centro di macroscopici conflitti d’interesse, hanno
fatto errori di valutazione clamorosi, dichiarando sicure banche e
aziende che pochi giorni dopo si sarebbero dimostrate completamente
marce.
Se ci sono tutti i motivi per non fidarsi troppo di tali
istituti, la valutazione non pare dar luogo a sospetti di esagerazione.
Se nel suo ultimo testo il grande economista G. Arrighi vedeva ancora
una differenza dell’assetto economico cinese rispetto al capitalismo,
oggi si fatica davvero a non considerare come essenziale l’omologazione
del paese asiatico ad esso. Non solo per la grande quota di investimenti
occidentali in Cina, diventata la mecca (come è risaputo) di molte
delle maggiori multinazionali manifatturiere. Ma anche per aver
riprodotto la dinamica dell’economia a debito in tempi serratissimi e
proporzioni mostruose. L’indebitamento pubblico è basso (circa il 20%
sul Pil, anche se secondo altre valutazioni oltrepasserebbe il 60%) ma
quello delle famiglie è stato calcolato arrivi al 43% sul Pil. Vista la
consistenza dell’economia del paese comincia ad essere una cifra
rispettabile (il Pil è circa 11mila miliadi di dollari, a fronte di una
crescita di un risicato 7%). Ma l’Oedc in un rapporto di marzo scorso
calcolava il debito delle imprese non-finanziarie al 160% sul Pil.
Le
stime della Banca Mondiale sono simili se non peggiori. Tutto ciò
porterebbe la mole del debito (pubblico, privato, e aziendale) sopra il
200% (e secondo alcuni verso il 250%!) sul Pil. A questo andrebbe
aggiunto il giro d’affari del settore bancario non ufficiale, detto
sistema bancario ombra: trattasi di istituti che sebbene operino in
tutte le attività di credito non hanno una reale regolamentazione. Nei
paesi occidentali è riconoscita ufficialmente dal 2007-08 la
pericolosità di una crescita di questo tipo di attività perché la legge
normalmente fissa limitazioni e vincoli per limitare i rischi delle
attività bancarie, che invece il sistema ombra è lietissimo di ignorare
per macinare profitti – aumentando però la fragilità di tutto il
sistema, dando luogo a spiacevoli effetti domino. Nessuno sa la
dimensione di questo fenomeno in Cina, secondo alcune analisi 8-20% sul
Pil, per altre fino a 70-80%.
La crescita della mole di
indebitamento e di attività creditizie sregolate è un sintomo abbastanza
sicuro di finanziarizzazione spinta dell’economia e di bolle
finanziarie. Per questo forte è il timore che una improvvisa crisi
cinese riporti il mondo in una cupa recessione; in virtù del forte
controllo politico esercitato sul paese dal Partito Comunista Cinese
(che non ha mai abolito i vincoli alla circolazione dei capitali) ci si
può attendere che il contagio verrebbe contenuto, ma non l’effetto
domino di un crollo della crescita del paese sull’economia mondiale. E
in quasi dieci anni non abbiamo elaborato nessuno strumento per
ridimensionare veramente la mole della finanza.