Il Fatto 25.5.17
Abraham Yehoshua
Lo scrittore israeliano dopo la strage: “Altro che lotta al terrore”
“E Trump li chiama ‘sfigati’ ma vende armi a chi foraggia l’Isis”
intervista di Roberta Zunini
“Non
 è un caso che nel commentare l’orribile strage di Manchester, Trump 
abbia definito i membri dell’Isis con l’aggettivo loser, che significa 
‘perdenti’ o ‘sfigati’, termini che usano gli squali di Wall Street, gli
 speculatori, gli affaristi e i conduttori dei diseducativi talent show,
 quale è rimasto Trump”.
Abraham Yehoshua comincia così, partendo 
dalla strage del concerto di Ariana Grande, i suoi ragionamenti 
sull’attualità internazionale. E sono proprio il nuovo inquilino della 
Casa Bianca e la politica estera degli Usa il filo conduttore delle sue 
parole. Con una prima critica netta: “L’accordo raggiunto tra Usa e 
Arabia Saudita non ha nulla a che vedere con il tentativo di sradicare i
 terroristi islamici e la lotta al jihad. E nemmeno è finalizzato a 
migliorare i rapporti tra il mondo arabo sunnita e noi ebrei israeliani.
 Si tratta esclusivamente di un accordo commerciale basato sulla vendita
 di armi, che ancora, purtroppo, è il motore dell’economia. Invece di 
incoraggiare e apprezzare la scelta fatta dagli iraniani votando il 
moderato Rouhani, Trump non si è fatto scrupolo a vendere armi a una 
nazione che ha sostenuto e foraggiato proprio al Qaeda e l’Isis”.
Questa
 volta, la sua voce trasferisce toni mai sentiti durante le precedenti 
interviste. Non appena gli chiediamo della visita del presidente Trump 
in Israele risponde con insofferenza.
Perché?
Voglio essere 
chiaro: il signor Trump non ha il profilo morale, l’intelligenza, la 
cultura, la sensibilità per risolvere alcunché, tantomeno una questione 
tremendamente complessa come quella israelo-palestinese. Questo signore 
conosce solo il linguaggio volgare e arrogante dei soldi e della peggior
 tv. Come ha fatto, appunto, parlando di Manchester.
Però Trump è 
stato accolto dal premier Netanyahu come una sorta di Messia e 
nonostante i servizi israeliani lo ritengano ormai inaffidabile dopo la 
rivelazione ai russi di alcune informazioni fornite alla Casa Bianca 
proprio dal Mossad. Qual è la spiegazione di questa pomposa e inedita 
accoglienza?
Che Trump non è interessato alla pace tra israeliani e
 palestinesi, come non è interessato il suo amico di famiglia Netanyahu.
 Entrambi vogliono mantenere lo status quo, quello che dicono e fanno in
 pubblico è solo una farsa. La verità è che entrambi non vogliono la 
nascita di uno Stato palestinese mentre vogliono continuare la politica 
rovinosa dell’appoggio alle colonie nei Territori palestinesi occupati. 
Non è un caso che Trump nell’incontro con Abu Mazen (presidente 
dell’Autorità nazionale palestinese, ndr) non abbia minimamente fatto 
riferimento alla soluzione dei due Stati.
Abu Mazen ha fatto troppo buon viso?
Il presidente dell’Anp è stato troppo passivo, troppo cauto. La situazione richiede una posizione più decisa.
Si riferisce al fatto che non ha sottolineato a sufficienza le conseguenze di 50 anni di occupazione israeliana?
Prima
 di risponderle sul punto voglio sottolineare che la Guerra dei Sei 
giorni, scoppiata il 5 giugno 1967, è stata giusta perché Israele stava 
per essere attaccato. Detto questo condannerò senza mai stancarmi 
l’occupazione dei territori palestinesi che ne è scaturita. A causa 
della violenza dei coloni ebrei, a causa dell’espansione delle colonie e
 alla nascita di nuove, a causa delle privazioni a cui i palestinesi che
 vivono nei Territori sono sottoposti quotidianamente da mezzo secolo, 
questa situazione non può reggere.
Mesi fa lei si è attirato 
critiche per aver detto che l’unico modo per rendere decente la vita dei
 palestinesi che vivono nei Territori Occupati sotto il controllo totale
 dell’esercito, ndr) e a Gerusalemme Est, è riconoscere loro la 
cittadinanza israeliana. La accusano di pensarla come il potente 
ministro Naftali Bennet, leader del partito dei coloni. Pensa essere 
stato mal interpretato?
Non ho mai condiviso l’annessione dei 
Territori palestinesi occupati, né di Gerusalemme est, che è la visione 
di Bennet. Ho invece asserito l’opposto: nell’attesa che nasca uno Stato
 palestinese vero e proprio, con la continuità territoriale che uno 
Stato deve avere per essere davvero tale, bisogna dare ai palestinesi 
una speranza per credere ancora nella pace. La cittadinanza 
permetterebbe loro di avere una vita più decorosa. Ripeto: non significa
 però che non credo più all’ipotesi della nascita di uno Stato 
palestinese, l’unica vera soluzione. Sono solo realista.
Intanto 
dal 17 aprile continua lo sciopero della fame di 1300 carcerati 
palestinesi. L’ispiratore è Marwan Barghouti, in carcere da 15 anni per 
il suo ruolo nella seconda intifada. Cosa ne pensa?
Che i detenuti
 palestinesi hanno ragione a scioperare perché sono discriminati e 
chiedono di poter godere degli stessi diritti di tutti gli altri 
carcerati, che sono peraltro i diritti sanciti da tutte le Convenzioni 
per i diritti umani. Israele, se vuole ancora definirsi una democrazia, 
glieli deve dare. È loro diritto.
 
