Pagina 99 28 aprile 2017
Attenti, non c’è più la sinistra di governo
Analisi | Non sono scomparsi i partiti, ma i socialisti. Il primo turno francese visto da Lazar e Diamanti
di Francesco Maselli
Parigi. Il 13 giugno 1971, a Épinay-sur-Seine, un piccolo comune della provincia di Parigi, François Mitterrand vince il “congresso dell’unificazione dei socialisti” e diventa il primo segretario del Partito socialista francese con il mandato di guidare la gauche plurielle, la sinistra unita che conquisterà l’Eliseo dieci anni più tardi. Il 23 aprile 2017 il Partito socialista è al suo minimo storico (il 6,3% conquistato da Benoît Hamon al primo turno) e alla fine del suo cammino. «Probabilmente quest’elezione non segna solo la fine del Partito socialista, ma anche la fine della sinistra autonoma di governo» spiega a pagina99 Ilvo Diamanti, professore di scienza politica a Urbino e all’università Paris II Panthéon-Assas, «in tutta Europa la sinistra riformista governa, ormai, solo nelle grandi coalizioni. Succede in Germania, in Italia e probabilmente anche in Francia. La Francia era un esempio di alternanza tra destra e sinistra di governo, il primo turno ci insegna che quest’alternanza non esiste più». Emmanuel Macron, il candidato arrivato in testa, lo rivendica: il suo movimento è sia di destra che di sinistra, la sua ambizione è prendere le migliori idee delle due famiglie e governare il Paese con politiche di “buon senso”. La sinistra però non è scomparsa, è semplicemente divisa e si trova in «una grande fase di transizione di cui è difficile prevedere gli effetti», suggerisce Marc Lazar, politologo e professore a Sciences Po, la scuola di scienza politica della capitale. «È vero, il Ps come lo conosciamo cessa di esistere. Manuel Valls ha detto esplicitamente che sosterrà un governo di coalizione se sarà necessario, e i deputati a lui vicini stanno preparando l’uscita dal partito. Dubito che si candideranno con l’etichetta “PS”, penso più a un nome come Partito Democratico. Ma anche i deputati vicini ad Hamon stanno valutando se creare un piccolo partito di sinistra, che non abbia il simbolo tradizionale». Lazar allude alle prossime elezioni, le politiche, previste l’11 e il 18 giugno, mai così incerte e importanti come adesso, con il Paese diviso in quattro blocchi e una maggioranza presidenziale a rischio per entrambi i candidati approdati al secondo turno. L’ennesima, incredibile sorpresa di questa campagna presidenziale è il grande risultato di Jean-Luc Mélenchon, leader della France Insoumise, un cartello di sinistra radicale che raggiunge il 19,5%. Mélenchon è l’altra faccia dell’ondata anti-sistema che si è riversata nelle urne il week end scorso, tanto che non parteciperà al barrage républicain contro Marine Le Pen: «Ero convinto che Mélenchon non prendesse posizione», dice Lazar «anche se questo gli pone un problema: è vero che il suo entourage e forse lui stesso sono orientati verso l’astensione, anche perché tra gli attivisti della France Insoumise la percezione che Macron e Marine Le Pen siano la stessa cosa è abbastanza diffusa, ma allo stesso tempo il 47% del suo elettorato si ritiene di sinistra e il 51% dei suoi elettori voterà Macron. Mélenchon deve riuscire a gestire queste due pressioni contrarie che al momento coesistono tra i francesi che l’hanno sostenuto». Il posizionamento ambiguo si spiega con la successiva battaglia delle legislative, che la sinistra radicale può affrontare con entusiasmo vista la netta progressione rispetto al 2012, quando Mélenchon si fermò all’11%: «Non è solo il risultato sul piano nazionale ad essere francamente impressionante, ma anche le cifre raggiunte in alcune parti del Paese: Mélenchon è primo a Marsiglia con il 25%, con punte del 35% in alcuni arrondissement; nel dipartimento della periferia parigina Seine-Saint-Denis raggiunge il 34% e a Lille addirittura il 35%». Sono risultati che testimoniano un enracinement, la capacità di essere presenti, radicati sul territorio, qualità fondamentali per essere competitivi nei collegi. La sfida per Mélenchon è riuscire a eleggere un numero di deputati sufficiente a formare un gruppo e accreditarsi come sola opposizione di sinistra dopo quarant’anni di egemonia socialista. Per Macron, invece, l’ennesima sfida impossibile: vincere le elezioni legislative con candidati in massima parte sconosciuti ed espressione della società civile. «Sarà difficile per Macron avere una maggioranza all’Assemblea», dice Lazar, secondo cui il leader di En Marche! dovrà per forza di cose trattare con gli altri partiti, specialmente con Les Républicains, il partito di destra post-gollista. «Non è vero che i partiti sono finiti. I repubblicani dispongono di un apparato funzionante che sarà decisivo alle legislative, per cui Macron ha bisogno di vincere ampiamente per avere molto potere contrattuale. L’obiettivo è complesso, e Macron non è Chirac o Mitterrand, gli uomini politici del centrodestra sono esperti e non renderanno la vita facile al nuovo presidente. Sempre che venga eletto». «Marc Lazar ha sempre ritenuto l’Italia un laboratorio politico per la democrazia», sorride Diamanti, «adesso è la Francia ad essersi italianizzata», conclude.