sabato 29 aprile 2017

La Repubblica 25.04.2017
Elezioni francesi: In testa al primo turno il centrista Emmanuel Macron, poi Marine Le Pen – Crolla il Psf e non sfonda la sinistra radicale di Mèlenchon
Il primo round elettorale ha lanciato il leader di En Marche - Ma il giovane ex ministro è adesso chiamato a fare i conti con i suoi limiti politici
Macron ha già vinto?
Favorito per l’Eliseo, deve convincere l’altra Francia
di Marc Lazar


Parigi
La domanda potrà sembrare strana, ma facciamola comunque. Emmanuel Macron è in grado di vincere il 7 maggio e diventare presidente della Repubblica? Probabilmente sì, anche se nulla è ancora deciso: un elettore su due ha scelto un candidato della protesta e dell’ostilità verso l’Europa. Ma un conto è vincere, un conto è convincere. L’entusiasmo che si è impadronito dei suoi sostenitori, che hanno festeggiato il risultato del primo turno del loro beniamino come se avesse già vinto il ballottaggio, non deve occultare qualche interrogativo suscitato dal suo incontestabile successo. L’epopea personale di Macron, cominciata un anno fa con un gruppetto di fedeli nello scetticismo generale, presenta dei limiti, innanzitutto di ordine politico. Il candidato di En Marche! ha ottenuto soltanto il 24,01 per cento dei suffragi, un risultato scadente nella storia del Quinta Repubblica per un candidato chiamato a vincere le elezioni. Un sondaggio Ipsos mostra che il 57 per cento dei suoi elettori lo ha scelto per il programma (contro il 79 per cento di quelli che hanno votato Marine Le Pen): quindi è ben lontano dall’aver convinto, tanto più che le sue proposte sono rimaste spesso ambigue. Macron ha beneficiato di un voto «utile» dei francesi che volevano evitare un secondo turno tra Marine Le Pen (che tutti gli istituti di sondaggi davano qualificata per il ballottaggio) e Fillon o Mélenchon. I suoi elettori vengono dalla sinistra (ha raccolto il 47 per cento dei consensi di chi ha votato François Hollande nel 2012) e dal centro (il 43 per cento degli elettori di François Bayrou nel 2012), e poco dalla destra (il 17 per cento degli elettori di Nicolas Sarkozy nel 2012). Dunque ha un elettorato piuttosto sbilanciato sul centrosinistra, come dimostra anche la geografia dei suoi voti. Per il secondo turno Macron dovrà spostarsi a destra, se vuole accentuare il suo vantaggio sulla Le Pen, a rischio di indisporre i suoi elettori di sinistra. L’elemento più preoccupante viene dalla vera e propria frattura sociologica che contrappone gli elettori di Emmanuel Macron a quelli di Marine Le Pen. Due France si delineano. La Francia di Macron, più di otto milioni e mezzo di elettori, è quella dell’Ovest, delle grandi città, delle professioni superiori (il 33 per cento dei dirigenti), delle persone istruite (il 30 per cento dei francesi che hanno un livello di studi superiore a tre anni dopo la maturità), di quelli che dichiarano di vivere «facilmente» dei redditi del proprio nucleo familiare (il 32 per cento) e infine degli ottimisti. Tutto il contrario dell’elettorato di Marine Le Pen, che con il 21,3 per cento dei suffragi ha progredito di oltre un milione e duecentomila elettori rispetto al 2012. È presente nelle piccole e medie città, nelle campagne, in certe periferie delle grandi agglomerazioni urbane. È in testa fra gli operai (il 37 per cento) e gli impiegati (il 32 per cento), fra le persone che dispongono di un reddito inferiore a 1.250 euro al mese (il 32 per cento), fra quelle con livello di istruzione inferiore alla maturità (il 30 per cento), fra chi dichiara di faticare a vivere con il proprio reddito (il 43 per cento) ed è seconda fra i disoccupati (il 26 per cento). Quanto a Jean-Luc Mélenchon, ha ottenuto il 19,6 per cento dei voti (3 milioni in più in 5 anni), sfondando fra i giovani della fascia d’età 18-24 anni (il 30 per cento contro il 21 per cento della Le Pen e appena il 18 per cento per Macron, che in cambio ottiene il 28 per cento dei suffragi nella fascia 25-34 anni), fra i disoccupati (il 31 per cento), gli operai (il 24 per cento contro il 16 per Macron), gli impiegati (22 per cento contro il 19 per Macron) e le persone con un reddito inferiore a 1.250 euro al mese (il 14 per cento per Macron). Nel suo discorso di domenica, che assomigliava più al discorso di un vincitore definitivo della competizione, Emmanuel Macron ha insistito sul consenso trasversale e la rottura che sostiene di incarnare. Rottura in particolare rispetto al «sistema». Il che è abile ma poco credibile. Per via del suo percorso personale di giovane brillante, passato attraverso le scuole più prestigiose e che ha ricoperto incarichi di alto livello nel settore bancario e nello Stato, ma anche a causa di una parte del suo entourage: uomini – di grande valore – che simboleggiano il potere, come Jacques Attali, Alain Minc, Pierre Bergé, senza parlare dei tanti esponenti politici come François Bayrou o Dominique de Villepin, e di esperti e intellettuali di primo piano. Marine Le Pen, che dice di parlare a nome del popolo anche se fa pure lei parte del sistema, lo stigmatizza come il rappresentante per eccellenza della casta europeista e globalista. Queste tematiche possono sedurre una parte supplementare dell’elettorato popolare, a destra, a sinistra e tra gli astensionisti (il 30 per cento dei quali ha meno di 35 anni e il 25 per cento è salariato e disoccupato), anche se non può sperare di prevalere. Emmanuel Macron deve rivolgersi a quella Francia lasciata in disparte dalla globalizzazione, che soffre, che aspira alla protezione, che è tentata dal ripiegamento su se stessa e che potrebbe esprimere con tutti i mezzi la sua collera sociale. Se sarà eletto, vincere senza convincere ostacolerebbe molto presto la sua azione. Lui lo sa benissimo. Ma basterà per riuscire?
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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