sabato 29 aprile 2017

La Repubblica 29.04.2017
Compie novant'anni l'opera che ha rivoluzionato il pensiero e la cultura del Novecento.
Il lapsus diHeidegger
Così il filosofo che cercava l'essere ritrovò soltanto il tempo
di Massimo Recalcati


Le polemiche sull'adesione al nazionalsocialismo e sul suo antisemitismo rinfocolate con la pubblicazione dei "Quaderni neri" hanno oscurato il potente contributo che Martin Heidegger ha dato alla cultura e al pensiero occidentale. In particolare è stata sommersa dalla polemica storico-politica un'opera grandiosa come "Essere e tempo" la cui prima edizione risale all'aprile del 1927, novant'anni fa. Poche sono le opere che cambiano il nostro rapporto col mondo. "Essere e tempo" è stata per molti suoi lettori una di queste. Il Cogito, la Ragione, lo Spirito, l'Idea, l'Essenza lasciano traumaticamente il posto alla scoperta del territorio accidentato dell'esistenza. Non si dovrebbe trascurare l'effetto spaesante di questa scoperta. Finalmente in un'opera di filosofia dal respiro ampio — all'altezza della "Metafisica" di Aristotele o della "Fenomenologia dello spirito" di Hegel —, non troviamo più al centro la dimensione ineffabile dell'Essenza, ma l'evento singolare dell'esistenza e lo "spessore del mondo", come direbbe Merleau- Ponty. È la tesi di Essere e tempo: l'esistenza non dipende da un'essenza data a priori, ma si determina nel suo progetto, nel suo essere gettata e aperta all'orizzonte del mondo. È un vero trauma che scuote una filosofia insterilita nel dibattito gnoseologico — divisa tra materialismo e idealismo —, conducendola di fronte all'enigma dell'angoscia e della morte. In questo, Essere e tempo rinvigorisce il passo cristiano di Kierkegaard. Si tratta di un trauma che ha generato effetti significativi non solo nella filosofia, ma nella letteratura, nella teologia, nella psichiatria, nella psicoanalisi, insomma in tutta la cultura del Novecento. Ne troviamo tracce in Sartre, Levinas, Bultmann, Tapies, Fautrier, Binswanger, Lacan, Derrida per citarne solo alcuni. Il cammino di Heidegger in quest'opera è stato paragonato al viaggio di Cristoforo Colombo: partito verso il continente ontologico della domanda sul senso dell'essere — il problema dell'essere consiste nel fatto che sebbene l'essere sia la condizione di possibilità di ogni ente, l'essere stesso non è mai identificabile, non è mai reperibile, in nessun ente particolare — , il filosofo raggiunge "involontariamente" le sponde dell'esistenza. Il carattere incompiuto di Essere e tempo sarebbe dipeso da questo sbilanciamento inatteso verso il piano dell'Esserci laddove il compito che Heidegger si prefiggeva era di impostare la domanda sul senso dell'essere e sulla differenza ontologica che distingue l'essere dall'ente in quanto presenza. Essere e tempo sarebbe dunque uno straordinario lapsus di Heidegger? Non è forse questa una convinzione presente in Heidegger stesso quando, rileggendo il suo percorso teoretico, rico- nosce il fallimento di Essere e tempo avvertendo la necessità di distinguere il suo pensiero da quei filosofi — primo tra tutti Sartre — che si erano indebitamente, ovvero "umanisticamente", appropriati delle sue tesi? Nella celebre Lettera sull'umanismo (1946) Heidegger fa i conti con questi lettori eretici che hanno travisato la centralità della sua domanda sul senso dell'essere riportandola abusivamente a quella sull'esistenza umana. In questo snodo si gioca una partita decisiva. L'evocazione dell'essere come "suolo", "piano", "orizzonte" che istituisce e subordina quello dell'esistenza non rischia di riabilitare un dispotismo ontologico che assorbe l'evento singolare dell'esistenza in una nuova forma di alienazione regressiva? È questa l'obiezione di Adorno ad Heidegger in Dialettica negativa: nell'ontologia heideggeriana l'essere s'impone sull'uomo come un nuovo nome dell'assoluto metafisico dal quale ogni soggettività dipende. È indubbio che Heidegger abbia voluto cancellare il suo lapsus per ribadire che anche in Essere e tempo al centro non c'era l'etica ma l'ontologia. Nondimeno, Essere e tempo resta una grande opera etica. Non è un caso che da essa germinino le tesi della psichiatria fenomenologica di Binswanger riprese, attraverso la mediazione di Sartre, da Basaglia e, soprattutto, quelle dell'esistenzialismo filosofico. I temi dell'opposizione kierkegaardiana e nietzschiana tra vita autentica e vita inautentica, la centralità dell'esperienza affettiva dell'angoscia, l'essere per la morte, la decisione anticipatrice, la condizione di ritardo della vita umana rispetto alle sue origini delle quali non può mai "insignorirsi", la sua fondamentale apertura verso il futuro, trovano una ripresa fedele in L'essere il nulla di Sartre. Opera in cui il problema dell'essere dilegua di fronte a quello umanissimo dell'esistenza. È lo stesso passo — con esisti diversissimi — che caratterizza un altro tra i grandi lettori di Essere e tempo, Levinas, il quale subordina l'essere al volto nudo del prossimo, l'ontologia al primato dell'etica. In gioco è come intendere la dimensione della trascendenza. Mentre la svolta ontologica dell'ultimo Heidegger sgancia la trascendenza dall'esistenza, in Essere e tempo la trascendenza resta il modo d'essere dell'esistenza. Non è la trascendenza dell'Essere che sfugge alla "presa" tecnica dell'uomo, ma è l'esistenza umana ad essere animata dalla trascendenza, dalla sua apertura sull'avvenire, dalla possibilità di scegliere ogni volta, scrive Heidegger, la propria eredità. L'ontologia arretra di fronte all'urgenza etica.