La Stampa 8.2.17
L’Onu a Israele: nuovi insediamenti violano il diritto internazionale
Guterres: “Superata la linea rossa”. Si allontana la soluzione dei due Stati
di Giordano Stabile
Israele
«ha superato la linea rossa», punta «all’annessione» di parti della
Cisgiordania e viola «il diritto internazionale». A dirlo è l’Onu, prima
con il suo inviato in Medio Oriente Nicolay Mladenov e poi con lo
stesso Segretario generale Antonio Guterres. Una presa di posizione
dura, che arriva il giorno dopo l’approvazione da parte della Knesset
del provvedimento per la legalizzazione di quattromila case costruite su
terre private palestinesi.
La legge, voluta dall’ala destra del
governo guidato da Netanyahu, va in senso contrario alla Risoluzione
2334 del Consiglio di Sicurezza, approvata lo scorso 23 dicembre, quella
che chiedeva lo stop agli insediamenti nei Territori. Per questo le
parole al Palazzo di Vetro sono pesanti. Guterres ha parlato di
«violazione» che avrà «conseguenze legali di vasta portata» e ha
invitato Israele a «evitare qualsiasi azione che possa far deragliare la
soluzione dei due Stati».
«Due popoli, due Stati»
È proprio
«due popoli, due Stati» - la formula che ha retto il processo di pace
fra Israele e i palestinesi per 24 anni, dagli accordi di Oslo in poi - a
essere in pericolo. I maggiori alleati di Netanyahu, Avigdor Lieberman e
Nafatali Bennett, parlano apertamente di annessione di tutta o parte
della Cisgiordania. L’ala destra del Likud ha presentato un mese fa un
piano che lascerebbe all’Autorità palestinese solo il 39 per cento dei
Territori.
L’archiviazione della formula era tabù fino a pochi
mesi fa, ma ora, con Donald Trump alla casa Bianca, tutto è possibile.
L’Amministrazione Usa ha criticato i «nuovi insediamenti» autorizzati da
Netanyahu a partire dal 20 gennaio, oltre 6 mila nuove case, ma ha
precisato che non ritiene «un ostacolo» quelli già costruiti. Netanyahu e
Trump ne discuteranno a Washington mercoledì prossimo, il piatto forte
del summit assieme al dossier iraniano. Il 23 dicembre, quando Obama non
oppose all’Onu il veto americano alla risoluzione di condanna, sembra
lontano ere geologiche.
I Paesi arabi e l’Ue
Fra i
palestinesi e nei Paesi arabi c’è sconcerto e preoccupazione. Il
presidente Abu Mazen ha parlato di «furto di terra», attraverso un
provvedimento «inaccettabile», condannato anche da François Hollande, il
più stretto alleato in Occidente, ma agli sgoccioli del suo unico
mandato all’Eliseo. Il segretario generale della Lega araba Ahmed Abul
Gheit ha puntato il dito su una legge che «riflette le reali intenzioni
del governo israeliano e la sua posizione ostile verso la pace». Gran
Bretagna, Francia, Giordania, Turchia, e l’Ue, hanno chiesto il ritiro
del provvedimento.
La Corte Suprema
Ora la legge deve essere
controfirmata dal presidente Reuven Rivlin. Ma si annuncia già una
battaglia alla Corta Suprema. Le Ong di sinistra, come Peace Now e Yesh
Din, sono pronte a presentare ricorso e contano su un alleato di peso,
il presidente della Corte Avichai Mandelblit, che già aveva avvertito
nelle scorse settimane sul rischio per lo Stato ebraico di dover
comparire davanti al Tribunale dell’Aja in caso di annessioni.
Mandelblit
è anche il giudice che ha ordinato lo sgombero dell’avamposto di Amona,
eseguito una settimana fa. E ha fissato per il 2018 la demolizione di
altre 17 case nell’insediamento ebraico di Tapuach, vicino a Nablus.
Sono 97 gli «outpost» costruiti senza autorizzazione nei Territori. Ma
almeno 600 mila israeliani vivono ormai in 140 insediamenti realizzati
con l’approvazione del governo, a Gerusalemme Est e in Cisgiordania.