Repubblica 9.12.16
Sfida sulla leadership Pd, idea Orlando
Partito anche il risiko in vista del congresso. Il ministro della Giustizia tentato dalla corsa ma aspetta l’esito della crisi
Andrea Orlando, ministro della Giustizia uscente, potrebbe correre al prossimo congresso
Ora
la sua corrente, i Giovani Turchi, si è ricompattata e sostiene la
linea del premier dimissionario sui tempi del ritorno alle urne
Spettro scissione, Bonaccini contro Bersani: “La minoranza non può fare come vuole”
di T. Ci.
ROMA.
C’è da risolvere una crisi di governo, adesso. Ma dietro il durissimo
scontro che lacera il Pd, già si mobilitano le truppe per la battaglia
finale: il controllo del partito. Il congresso arriverà presto, molto
presto: «E sarà duro - promette Renzi - Io ci voglio andare con le mani
libere». La vera incognita, però, è il ruolo che avrà Andrea Orlando
nella campagna per la conquista del Nazareno. Proprio il ministro della
Giustizia, infatti, sta valutando seriamente di lanciare la propria
candidatura per la guida del partito. La decisione non è presa, ma il
dibattito sull’idea è aperto e serrato.
Nelle ultime ore la
corrente dei “Giovani turchi” si è ricompattata. Garantirà il proprio
sostegno alla strategia renziana nella gestione della crisi. Anche
Orlando nutre dubbi sull’ipotesi di dar vita a un esecutivo che governi
addirittura fino al 2018, come auspicato dal “partito della continuità”.
«Sarebbe una follia - ha confidato ai suoi - un regalo enorme ai
populismi». Per il ministro, l’importante è arrivare invece a una
soluzione senza cedere ad affannose rincorse elettorali, magari in
aperto conflitto con il Colle.
Il congresso, però, è un’altra
cosa. Orlando reclama da tempo nuovi equilibri e un’attenzione maggiore
al partito. Più che uno scontro con il leader, pensa a un patto
attraverso il quale gestire il Pd, sostenendo la premiership di Renzi.
Eppure, tanti “giovani turchi” non Orfini - reclamano comunque un passo
avanti, anche a costo di sfidare il segretario in carica. Proprio
questo, per paradosso, è lo sceario preferito anche da settori sempre
più ampi della minoranza bersaniana. Tra loro, alcuni ambasciatori hanno
già sondato il ministro e lasciato intendere che sarebbero disposti a
“sacrificare” Roberto Speranza in nome di questa battaglia.
Dario
Franceschini, intanto, è sempre il principale sponsor di un nuovo
esecutivo che garantisca stabilità e continuità, in linea con gli
obiettivi indicati dal Quirinale. I rapporti con il leader sono ormai
gelidi. Non a caso, una sfida di Orlando al premier potrebbe interessare
anche i franceschiniani. Proprio gli uomini del ministro dei Beni
culturali continuano a serrare i ranghi in Parlamento, forti di una
pattuglia “pesante”. Avvertito del rischio, Renzi ha già programmato le
contromisure. E selezionato il campo dello scontro: la direzione dem.
Se
i renziani sono sparuta minoranza nei gruppi parlamentari, risultano
maggioranza nell’organismo che governa il partito. La ragione? L’elenco
dei componenti fu stilato da Luca Lotti durante un’assemblea del partito
a Milano. Con grande pazienza, distribuì i pesi correntizi: 40% ai
renziani, appunto, e un altro 15% ai turchi di Orlando e Matteo Orfini.
Insieme, hanno in mano il pallino della crisi. Difficile poi che una
decisione della direzione venga disattesa in Parlamento, se non a prezzo
di uno strappo che avrebbe conseguenze clamorose sull’unità del
Nazareno.
Sullo sfondo, si continua a discutere di una scissione
della sinistra dem. Un quadro estremo, negato dai diretti interessati.
Ma che un ex bersaniano - oggi renziano - come Stefano Bonaccini non
sembra escludere: «Quando si è discusso e preso una decisione - sostiene
- anche la minoranza dovrebbe difenderla. Altrimenti c’è confusione. E
in un partito, come in famiglia, se c’è confusione si rischia di non
stare bene in salute».