venerdì 9 dicembre 2016

Il Sole 9.12.16
Dem. Sospetti e riposizionamenti nel partito in vista del congresso
Renzi al bivio tra «bis» e un nome di fiducia. Nel Pd tensione sul voto
di Emilia Patta

la linea che Matteo Renzi ha dettato al Pd nella direzione di mercoledì, prima di salire al Colle per rassegnare le sue dimissioni da Palazzo Chigi, resta immutata: il Pd non darà vita all’ennesimo governo non eletto in solitario senso di responsabilità: o anche le altre forze politiche si prendono il carico del Paese oppure la strada è quella delle elezioni anticipate il prima possibile. Ossia dopo aver preso atto della pronuncia della Corte costituzionale, prevista il 24 gennaio prossimo, e dunque presumibilmente in primavera. Stamane saranno i due vicesegretari del partito, Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani, a “ricordare” la linea del «governo di tutti o voto dopo la Consulta» tramite interviste a due quotidiani. Visto che proprio un’altra intervista, quella del capogruppo in Senato Luigi Zanda al Corriere della sera, aveva provocato ieri mattina qualche malumore tra i renziani. Perché Zanda - che con Ettore Rosato, Matteo Orfini e lo stesso Guerini sarà a colloquio a nome del Pd sabato sera con il Capo dello Stato - sembrava indicare l’esigenza di un governo di legislatura che arrivasse al 2018. E contro la tentazione del voto anticipato ad ogni costo si stanno muovendo anche il ministro della Cultura Dario Franceschini e molti dirigenti che fanno riferimento alla vecchia Area Dem, la “pancia” del gruppo parlamentare alla Camera. Ma è una posizione, spiegano i protagonisti, che nulla ha a che fare con presunti complotti contro il segretario del Pd, la cui leadeship nessuno mette in dubbio. Tanto che lo stesso Franceschini precisa: «Matteo è il segretario del Pd e il partito deve seguire la sua linea». Arrivando a scherzare sul suo presunto complotto anti-Renzi con Silvio Berlusconi: «Non posso parlare, sono ad Arcore a chiudere l’accordo con Silvio...».
Certo è che la linea del voto il prima possibile è praticabile fino a un certo punto, e di questo è naturalmente ben consapevole lo stesso Renzi. Che ieri, come aveva annunciato, ha trascorso il giorno dell’Immacolata in famiglia limitandosi a fare «l’autista» per accompagnare i figli. C’è di mezzo, come è noto, la data del 24 gennaio. Solo allora, contando sul fatto che la sentenza della Consulta sarà comunque applicativa anche se non dovesse emergerne un sistema elettorale coerentissimo, si potranno eventualmente sciogliere le Camere e indire i comizi elettorali. Ma non è detto - è il ragionamento che si fa in casa renziana - che la sentenza arrivi proprio il 24, giorno dell’udienza: i giudici potrebbero anche posticiparla, tentando di spostare ancora più in là la possibile data delle elezioni... Insomma votare entro marzo o al massimo entro i primi giorni di aprile, come vorrebbe Renzi, forse non sarà possibile. E più i tempi potenzialmente si allungano più l’esigenza di mettere un sella un nuovo governo per affrontare gli impegni internazionali che attendono l’Italia, a cominciare dal G7 di maggio previsto a Taormina, si fa forte. Quindi, se il governo di responsabilità nazionale proposto dal Pd dovesse, come appare naufragare, sarà necessario mettere in piedi un governo a guida Pd che traghetti il Paese fino a primavera e oltre (l’ultima finestra prima della sessione di bilancio è giugno). Tale governo potrebbe essere presieduto da una personalità vicina a Renzi: il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio (magari con il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan a ricoprire anche la casella di vicepremier), lo stesso Padoan o il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. O, perché no, il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone.
Ma certo il modo più sicuro che avrebbe Renzi per gestire direttamente i tempi della legislatura è restare lui stesso a Palazzo Chigi, se a chiederglielo fosse il Pd e anche qualche altra forza politica. Non è sfuggita ieri la posizione del grillino Luigi Di Maio: «Non serve un governo per fare una legge elettorale. Renzi si è dimesso: resta in carica per forza per gli affari correnti, si aspetta la sentenza della Consulta e si va a votare». Reincarico o rinvio alle Camere per la fiducia, questa resta di fatto un’opzione. Da qui il dilemma di Renzi, consapevole che restare a Palazzo Chigi lo esporrebbe al fuoco incrociato degli stessi grillini e delle opposizioni tutte, che avrebbero buon gioco ad accusarlo di voler restare attaccato alla poltrona.
Per ora la palla è comunque nelle mani degli altri partiti («vediamo che cosa propongono», ripete il leader Pd) e del Capo dello Stato. E Renzi intanto già pensa al congresso anticipato del partito per fare chiarezza all’interno. Congresso per il quale si stanno in fondo riposizionando tutte le correnti, come comincia ad emergere dai distinguo sulla formazione del governo. In campo, forse, anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando a rappresentare l’ala governativa di sinistra. Per il resto «saranno gli elettori del Pd, con le primarie aperte, a chiudere i conti con la minoranza bersaniana», è il pensiero del leader. E non c’è dubbio che avere le mani libere dal governo favorirebbe Renzi sia nella preparazione del congresso sia nella futura campagna elettorale.