Repubblica 8.12.16
Il partito del vitalizio non vuole il voto, una maggioranza invisibile
di Alberto D’Argenio
ROMA.
 E’ come se una guerra generazionale stesse attraversando il Palazzo. 
Giovani contro vecchi. Anche se questa volta i ruoli si rovesciano e a 
difendere il privilegio sono i giovani. Che meditano, ne parlano nei 
classici capannelli nei corridoi di Camera e Senato. E studiano il 
blitz. Con un solo obiettivo: mettere le mani sulla pensione. Urgenza 
che potrebbe anche mandare all’aria i piani dei leader che aspirano a 
chiudere subito con questa legislatura e giocarsi tutto al voto. La 
storia inizia nel 2012, quando sotto la pressione dell’opinione 
pubblica, governava Monti, venne abolito il famigerato vitalizio per i 
parlamentari. Al suo posto arrivò la più sobria pensione. Che il 
parlamentare matura - con calcolo contributivo come tutti i dipendenti 
pubblici e da incassare dopo il 65esimo compleanno - solo al termine 
dell’intera legislatura. Che ai fini pensionistici viene però acquisita 
dopo 4 anni, sei mesi e un giorno. Per deputati e senatori attuali il 
giorno fatidico è il 15 settembre 2017. Nove mesi contando da oggi.
Un’eternità
 in tempi di incertezza politica e tentazione di voto anticipato. Che 
però potrebbe non essere così facile da imporre. Non solo la volontà del
 Colle di andare avanti, ma anche il fatto che quasi due parlamentari su
 tre sono alla prima legislatura. I neo-eletti sono 608 su 945. 417 
deputati su 630,191 senatori su 315. Una maggioranza invisibile nella 
quale la parte del leone la fanno i 163 neofiti eletti sotto le insegne a
 cinque stelle. Sono loro ad avere trasformato quella attuale nella 
legislatura più giovane della storia repubblicana.
Certo, da qui 
ad immaginare che il correntone degli aspiranti pensionati possa 
materializzarsi dal nulla e formare una maggiorana di governo, appare 
difficile. Ma ben più possibile è che il trasversalissimo partito dei 
giovani cerchi un escamotage per arrivare alla pensione senza clamori e 
senza tradire i propri partiti. Qualche parlamentare di lungo corso ne 
ha sentito parlare, e giura che non passeranno: «Figurarsi se approviamo
 una cosa così demenziale », assicura Gregorio Fontana, forzista alla 
quarta legislatura e questore della Camera. Gli fanno eco diversi 
colleghi, «non lo permetteremo, arriverebbero con i forconi e faremmo un
 danno all’immagine di tutti».
Ma cosa preoccupa tanto i “vecchi 
politici”? Il blitz. Ovvero la richiesta all’ufficio di presidenza di 
Camera e Senato di votare una delibera che cambi le regole (di 
soppiatto, senza passare dall’aula) e anticipi a quattro gli anni per 
arrivare alla pensione. Che così magicamente arriverebbe il 15 marzo, in
 tempo per le eventuali elezioni di maggio o giugno. «Uno di questi è 
venuto da me a parlarne», testimonia il capogruppo del Misto Pino 
Pisicchio, altro deputato di lungo corso ormai alla sesta legislatura. E
 non sottovaluta il rischio della figuraccia epica nemmeno Roberto 
Calderoli, vicepresidente del Senato mago delle tattiche parlamentari: 
«Il momento migliore per il blitz - allerta i colleghi - sarebbe in 
estate, tra il voto e l’insediamento del nuovo Parlamento ». Esattamente
 quando la scusa delle poche settimane che li dividono dalle pensione 
potrebbe fare breccia. Anche se poi lo stesso Calderoli ammette: «Ma con
 Grasso e Boldrini che poi la richiesta passi mi sembra difficile».
 
