Repubblica 6.12.16
Così possiamo fermare i fantasmi del Novecento
di Ian Kershaw
L’intervento
dello storico inglese Ian Kershaw sui nuovi populismi “Analogie con le
crisi di un secolo fa, ma oggi gli anticorpi ci sono”
Mentre
i movimenti nazionalisti e xenofobi si rafforzano sempre più in così
tanti paesi, mentre monta la rabbia per le mancanze dell’establishment
nel proteggere i cittadini dalle conseguenze negative del capitalismo
globalizzato, dilaga un’ansia comprensibile riguardo al futuro. I
fantasmi europei ricompaiono e ci tormentano: l’Europa sta tornando al
suo oscuro passato?
La Seconda guerra mondiale — la più grande
catastrofe nella storia europea, perfino più grave della Prima — fu il
prodotto di un’immensa crisi incrociata di conflitti etnici,
territoriali e di classe alla quale si sovrappose un lungo e rovinoso
peggioramento del capitalismo. Alla fine della guerra, tuttavia,
all’Europa fu offerta la possibilità di un nuovo inizio. Tassi senza
precedenti di crescita economica furono convogliati in politiche di
welfare che apportarono enormi benefici alle popolazioni. La
cooperazione economica aumentò gli scambi commerciali, produsse
benessere e portò a una maggiore integrazione, e in tale percorso
eliminò l’antagonismo nazionalista che aveva diabolicamente tormentato
il periodo tra le due guerre. Quel periodo “radioso” di sviluppo (quanto
meno nell’Europa occidentale) terminò durante le crisi petrolifere
degli anni Settanta, spianando la strada a un lungo periodo di
decurtazione della spesa. Gli stati dovettero affrontare nuovi e
crescenti problemi mentre faticavano a soddisfare le domande del welfare
sotto le pressioni sociali, economiche e politiche dovute alla
deindustrializzazione e a una maggiore competitività dei mercati
globali.
Queste pressioni si sono ancor più intensificate negli
anni Novanta, quando la globalizzazione è decollata andando oltre ogni
previsione. La deregulation globale delle banche ha infine portato al
drammatico tracollo del 2008, e da lì alla crisi attuale — esacerbata
dal flusso dei rifugiati provenienti dal Medio Oriente — si può tirare
un’unica linea retta.
Osservato da una prospettiva a lungo
termine, il caos attuale presenta alcune somiglianze, ma nel contempo è
molto diverso da quello del periodo interbellico. Oggi non è presente
quella combinazione di crisi che afflisse l’Europa tra le due guerre,
sebbene non si possa escludere del tutto una nuova vasta crisi bancaria
che avrebbe ripercussioni sociali, economiche e politiche enormi e
negative. L’attacco ai valori liberali è peraltro molto più forte di
quanto sia mai stato in qualsiasi momento, dal periodo interbellico a
oggi. In verità, però, quei valori ormai sono radicati molto più in
profondità in Europa di quanto fossero tra le due guerre. Di
conseguenza, benché vi siano echi dell’oscuro passato, dobbiamo tenere
ben presenti le differenze. Oggi l’Europa è un continente formato da
democrazie (anche se Ungheria e Polonia stanno dando segno di derive
autoritarie). Negli anni Trenta, invece, la democrazia era fallita in
buona parte dell’Europa. Alla fine di quel decennio vivevano sotto
qualche tipo di dittatura più dei due terzi degli europei (senza contare
i cittadini sovietici).
Una seconda differenza importante
rispetto ad allora è che oggi gli eserciti contano relativamente poco
nella politica interna europea, a differenza del ruolo preponderante che
ebbero in così tanti paesi nel periodo tra le due guerre. In terzo
luogo, nel corso degli ultimi sessant’anni l’Europa ha imparato a
collaborare, a negoziare, a interagire a quasi tutti i livelli. Pur
nelle attuali difficoltà nell’Ue, questi sono progressi molto positivi. E
infine, oggi al centro dell’Europa c’è una Germania pacifica e
internazionalista, in aperto contrasto con quella degli anni Trenta.
Anche così, il pessimismo è comprensibile. È molto inverosimile che
l’Europa possa precipitare in una guerra di grandi proporzioni che
scoppi al suo stesso interno. Sussiste invece il pericolo che possa
restare coinvolta in un conflitto scoppiato altrove, specialmente quello
potenziale tra grandi potenze nucleari come Stati Uniti, Cina e Russia.
Indubbiamente, viviamo tempi di grande incertezza. Bastano la Brexit e
il presidente Trump a farci inoltrare in territori inesplorati. Anche il
protezionismo economico pare destinato ad aumentare. Alla fine, i
confini aperti in Europa potrebbero essere messi a repentaglio da un mix
fatto di crisi dei rifugiati e dalla minaccia del terrorismo
internazionale.
Le fragilità nella zona euro potrebbero venire
completamente a galla qualora una delle sue grandi economie — per
esempio quella italiana — cadesse in qualche grosso guaio. Resta da
capire se l’eurozona sarebbe in grado di sopravvivere a una crisi di
questa entità. L’Unione europea è assai impopolare in ampie fasce della
sua popolazione in quasi tutti gli stati membri, e ancora si ignora se
sarà capace di varare quelle riforme sistemiche e fondamentali
necessarie a rivitalizzarla.
Tuttavia, è proprio questo che
occorre. La xenofobia nazionalista che sta dilagando in Europa sta
rendendo meno tolleranti le nostre società, ed è una minaccia per
chiunque sia ritenuto diverso. In ogni caso, essa non potrà risolvere i
problemi fondamentali che sorgono dalla globalizzazione. Reagire a
questi problemi vuol dire perseguire una maggiore unità, non minore; una
maggiore forma di integrazione, non minore; una maggiore e non minore
prontezza a farsi carico degli oneri comuni e a prendere di petto le
problematiche che provocano scontento sociale e frammentazione politica.
In un mondo in pericolo non ha senso alcuno ritrarsi nell’immaginaria
sicurezza dei singoli Stati-nazione, pensare soltanto a sé e tirare su
il ponte levatoio.
Un buon inizio da parte dell’Unione europea
consisterebbe nel dire addio per sempre alle politiche di austerità e
nell’introdurre misure radicali per stimolare la crescita, in
particolare alle aree più in difficoltà, specialmente nel sud
dell’Europa. Tutto ciò porterebbe speranza in ampie fasce della
popolazione, soprattutto tra i giovani, i grandi perdenti della
globalizzazione, e consentirebbe di ripristinare la fiducia nella
possibilità che l’Unione europea abbia risposte migliori per i nostri
gravi problemi che fare ritorno al pericoloso e fallito nazionalismo del
passato.
Traduzione di Anna Bissanti L’autore è noto soprattutto per gli studi sul nazismo e sulle due guerre mondiali
IL LIBRO All’inferno e ritorno di Ian Kershaw (in uscita da Laterza, trad. di G. Ferrara degli Uberti, pagg. 672, euro 28)