Repubblica 1.12.16
Il risparmio e le procure
Si conta una manciata di sentenze di scarsa rilevanza, mentre i danni pesano sulla vita economica e politica del Paese
di Gianluca Di Feo
PICCOLE
procure e grandi crac. Specchio di un sistema che negli scorsi anni non
è riuscito a impedire i crolli e oggi non riesce a individuare e punire
i responsabili. Le assoluzioni di Arezzo sono un campanello di allarme.
L’ENNESIMO
campanello di allarme sul rischio che il domino delle crisi bancarie
finisca per abbattersi solo sui risparmiatori: al momento non ci sono
colpevoli, né risarcimenti. Da Siena ad Ancona, da Vicenza a Ferrara, si
conta una manciata di sentenze non esecutive e di scarsa rilevanza —
come la condanna a 40 mesi in primo grado per gli ex vertici di Monte
dei Paschi — mentre i danni continuano a pesare sulla vita economica e
politica del Paese. Danni alla stabilità delle istituzioni creditizie,
minacciata dalla situazione di otto istituti — come ha ricordato pochi
giorni fa il Financial Times — in condizioni così fragili da far temere
fallimenti a catena. E danni subiti da centinaia di migliaia di
investitori, che hanno visto polverizzare i risparmi affidati a
sportelli dalla facciata solida e le casse bucate. Ferite profonde, che
eppure non sembrano ispirare né rettifiche né riforme: tutto sta
arenandosi nelle solite diatribe di partito infarcite di slogan e
invettive.
L’assoluzione dei vertici di Banca Etruria è stata
letta non solo come una sconfitta dei pubblici ministeri aretini, spesso
al centro di polemiche negli ultimi mesi, ma anche come una smentita
alla linea di Bankitalia. Soltanto le motivazioni del giudice
permetteranno di capire quanto questa lettura sia fondata, offrendo
forse la possibilità di valutare eventuali responsabilità di Palazzo
Koch nella mancata prevenzione del crac aretino. Certo è che finora le
piccole procure che hanno indagato sullo sfaldamento degli istituti
locali non sembrano avere realizzato istruttorie tempestive o efficaci
dal punto di vista dei risultati processuali. In alcuni casi, c’è forte
il sospetto che il gomitolo di relazioni intessute nel passato tra
queste banche e gli uffici giudiziari possa avere contribuito a
influenzare ritardi e omissioni: un’ombra che è stata evidenziata negli
atti del procedimento romano su Veneto Banca o nelle inchieste di questo
giornale sulla Popolare di Vicenza. Allo stesso tempo però viene da
chiedersi se queste procure di dimensioni minori, prive di magistrati e
investigatori specializzati, siano in grado di affrontare processi
complessi come quelli sui crac dei grandi istituti, che coinvolgono
operazioni internazionali, prodotti finanziari sofisticati con un
labirinto di prestiti e partecipazioni per centinaia di milioni di euro.
Non è facile passare dalla routine della provincia, dove i reati spesso
si limitano alle rapine e alle frodi fiscali, alle istruttorie su crac
miliardari e al contraddittorio con avvocati e consulenti di livello. La
sentenza di ieri, ad esempio, riguarda un giudizio abbreviato — svolto
quindi senza interrogatori di testimoni ed esame in aula delle prove —
basato solamente su tre documenti: il dossier dell’ispezione di
Bankitalia, il verbale dell’ispettore che l’ha condotta, la relazione
del nucleo aretino della Guardia di Finanza. Atti che — stando al
verdetto — non si sono rivelati determinanti.
Non è un caso se
procure dotate di maggiori risorse e che dispongono di professionalità
esperte nella materia — come Genova, Milano e Roma — abbiano realizzato
indagini e processi quantomeno con maggiore rapidità. E solo un
accertamento chiaro delle colpe, con sentenze effettive, servirà da
deterrente contro altre gestioni spericolate delle casse collettive.
Questo il punto su cui riflettere. Perché c’è bisogno di interventi che
restaurino la fiducia degli italiani nelle banche, trasmettendo il
segnale chiaro di un’inversione di rotta. Le misure possibili sono
tante, a partire da una revisione delle competenze investigative e
repressive. Da introdurre possibilmente prima che la lista dei crac si
allunghi.